È stato detto più volte che l’Italia è il paese dell’arte per eccellenza e, indubbiamente, al di là delle esagerazioni che parlano di un fantomatico 60-70% del patrimonio storico-artistico mondiale (cosa assolutamente infondata), ci fa piacere credere che l’arte possa diventare il nostro fiore all’occhiello, in grado di attrarre nel nostro paese sempre più turisti e di
conseguenza maggiore afflusso di risorse.
Purtroppo i danni ai nostri beni culturali, dovuti a eventi catastrofici (alluvioni, terremoti, vandalismo), ma soprattutto all’incuria, sono continui ed è ovvio che lo Stato debba investire molto per il restauro e la manutenzione degli stessi, ma è altrettanto vero che questo patrimonio vada arricchito, quando è possibile, con nuove acquisizioni, che servano soprattutto a integrare ciò che abbiamo, in modo da “colmare le lacune e ricucire la storia”, come specifica il sottotitolo della mostra “Lo Stato dell’arte - L’arte dello Stato. Le acquisizioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”, ospitata a Castel Sant’Angelo dal 26 maggio al 29 novembre 2015.
Realizzata dal Polo Museale del Lazio, diretto da Edith Gabrielli, e dal Centro Europeo per il Turismo, Cultura e Spettacolo, presieduto da Giuseppe Lepore, la singolare esposizione intende illustrare le ragioni che hanno spinto i dirigenti museali a individuare e acquistare determinate opere d’arte, ovvero “i modelli virtuosi di comportamento” da parte dello Stato, come ha precisato Mario Lolli Ghetti, curatore della mostra insieme a Maria Grazia Bernardini.
Un caso emblematico potrebbe essere l’acquisto di una parte di un polittico di cui lo Stato possegga già altri elementi. È il caso, per esempio, del Polittico degli Zavattari, nella Collezione di Castel Sant’Angelo: 5 pannelli della composizione erano stati donati da un collezionista nel 1928 e in tempi recenti altri due pannelli sono stati acquistati dallo Stato, restaurati e ricongiunti al resto.
Un esempio altrettanto valido potrebbe essere quello dell’acquisto nel 2007 di un ritratto della poetessa lucchese Teresa Bandettini (più nota col nome arcadico di Amarilli Etrusca, 1763-1837) che, raffigurata da Gaspare Landi in sembianze di Musa, è stata scelta come copertina del catalogo (Gangemi Editore). Non è forse giusto che Lucca possa avere nel proprio museo nazionale un dipinto che restituisca alla città l’ambiente culturale di un fecondo periodo letterario e artistico?
Le sezioni espositive accolgono sia reperti archeologici, sia opere d’arte moderne e contemporanee, secondo una logica espressa da titoli sintetici (ovvero Tornare a casa. Restare a casa. Colmare le lacune. Ricongiungere le collezioni storiche. Tornare a corte. Raccontare una storia. Continuare la tradizione), che vengono comunque ampiamente chiariti da testi esplicativi in italiano e in inglese.
Tra le opere esposte nella prima sezione troviamo un nucleo della Collezione Ruspoli, costituita a seguito degli scavi condotti a partire dall’Ottocento nell’area del santuario di Diana Nemorense. Nel corso degli anni molti reperti erano stati alienati, ma nel 2003 lo Stato acquistò gli ultimi 125 pezzi rimasti, quando stavano per essere venduti, evitandone un’ulteriore dispersione e destinandoli al Museo delle Navi di Nemi. In mostra ammiriamo in particolare una statua di Atena/Minerva in marmo pavonazzetto (con testa moderna in marmo bianco), una statua di Apollo acefala in marmo bianco e una stele del I secolo con un’ampia iscrizione contenente un elenco di doni ai fana (piccoli templi) di Iside e Bubasti, divinità religiose egizie che testimoniano il sincretismo religioso che si diffuse nel santuario dopo la conquista dell’Egitto.
In un’altra sezione troviamo un reperto proveniente dalla stessa area laziale (per l’esattezza da Grottaferrata), ma in questo caso si tratta di un recupero effettuato nel 2014 dalla Guardia di Finanza. Si tratta di un bellissimo cratere marmoreo del II-III secolo con corsa di amorini su bighe. Si contano tre carri e sono ben visibili le strutture del circo con 14 delfini marmorei, che servivano per contare i giri dei carri, e gli spettatori collocati su una tribuna. Il cratere probabilmente era adibito a urna cineraria. La sequenza dei tre amorini, in una gara che allude alle difficoltà della vita, rimanda ad analoghe scene presenti in alcuni sarcofagi, in particolare quelli utilizzati per la deposizione di bambini. Nella sezione Restare a casa sono collocati, invece, due vasi apuli della Collezione Jatta a Ruvo di Puglia, il cui acquisto ha evitato il disastroso trasloco di una raccolta archeologica storica.
Colmare le lacune è ovviamente la sezione più ricca e articolata, che affronta il tema degli acquisti mirati a integrare i vuoti più evidenti nel percorso espositivo dei singoli musei. Ciò è particolarmente utile soprattutto nel caso in cui i musei, specie quelli accademici di fondazione ottocentesca, o quelli di recente istituzione, vogliano presentare un quadro idoneo a illustrare lo sviluppo delle scuole pittoriche, come nel caso del Tiepolo (Madonna in gloria con i santi Giorgio e Romualdo) delle Gallerie dell’Accademia a Venezia, o vogliano esaltare le glorie locali, come è stato per la Galleria Nazionale di Cosenza con l’acquisizione di tele dei calabresi Mattia Preti (Cristo risorto appare alla Maddalena in veste di giardiniere) e Francesco Cozza (San Francesco d’Assisi confortato dall’Angelo), databili entrambe al settimo decennio del XVII secolo.
Uno splendido dipinto di Artemisia Gentileschi (Susanna e i vecchioni), firmato e datato 1652, solo da poco ha avuto il giusto riconoscimento nella Pinacoteca Nazionale di Bologna, dove era pervenuto nel 1948 come opera della bolognese Elisabetta Sirani. Un Beato Angelico (Ritratto del Beato Vincenzo Ferrer) è stato acquistato per il Museo di San Marco di Firenze e altri interventi mirati sono stati gli acquisti per la Galleria degli Uffizi, che costituisce il più completo esempio di museo dell’arte italiana (sono in mostra il cinquecentesco Ritratto di Alessandro Achillini di Amico Aspertini, e l’Annunciazione di Matthias Stomer, del 1634-38).
Come esempio indicativo dell’integrazione delle collezioni si è evidenziata la politica di acquisizioni nei confronti dei musei napoletani e campani con le importanti immissioni di opere rinascimentali (Madonna in trono di Andrea da Salerno, Museo di Capodimonte, Napoli e La Carità di Annibale Caccavello, Museo di San Martino, Napoli) o i grandi acquisti e le ingenti donazioni in memoria di Giuseppe Tucci del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.