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LA POETICA VISIVA DI MARK KOSTABI:

l’alienazione codificata nel gesto pittorico
venerdì 12 settembre 2025 di Silvana Carletti

Argomenti: Arte, artisti


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Elisabetta Cuchetti - Storica d’Arte e Curatrice del catalogo.

Tra gli artisti più emblematici della tarda postmodernità, Mark Kostabi ha costruito, sin dagli anni Ottanta, una pratica pittorica fondata su un linguaggio visivo radicalmente sintetico, al tempo stesso seduttivo e perturban

Le sue figure senza volto — corpi stilizzati, privi di identità e collocati in ambienti geometrici e prospetticamente perfetti — hanno generato una grammatica estetica immediatamente riconoscibile, capace di attraversare i decenni con sorprendente coerenza, pur aprendosi a tensioni e mutamenti interni.

La cifra più evidente della pittura di Kostabi è l’eliminazione del volto: ogni figura umana, pur esprimendo atteggiamenti, gesti, posture, è priva di tratti somatici, resa anonima, intercambiabile, simbolica. In questa scelta si condensa un’intera visione del soggetto moderno: non più individuo irripetibile, ma ingranaggio all’interno di dinamiche collettive e spesso alienanti. La rappresentazione del corpo — sempre armonico, sessualmente neutro, sospeso tra classicismo e fumetto — diventa un segnale visivo universale, un’icona della condizione umana spogliata della sua narrazione personale.

Nella grande tela The Studio System (1991), ad esempio, l’intero processo artistico viene rappresentato come un’organizzazione industriale: operai creativi — disegnatori, modellatori, pittori — lavorano alla costruzione di opere in serie, sotto la supervisione invisibile di un sistema gerarchico. L’artista si decostruisce, si moltiplica, si frammenta. La produzione dell’arte si rivela essere una rete complessa, meccanica, impersonale. L’opera smaschera così il mito dell’autorialità romantica e svela il funzionamento del sistema dell’arte come luogo di compromessi, deleghe, mercificazione.

La componente teatrale è centrale nel linguaggio di Kostabi. Ogni scena appare come un palcoscenico, scandito da quinte, gradini, colonne, geometrie rigorose. I suoi interni monumentali — reminiscenze della metafisica di de Chirico ma anche dell’architettura razionalista — non sono meri sfondi, bensì dispositivi ideologici: spazi mentali, proiezioni simboliche, strutture del pensiero. Gli ambienti che abitano opere come The Gilded Trap of Ambition (2021) o Romance in Motion (2023) non sono mai luoghi realistici, bensì architetture dell’inconscio sociale, dispositivi scenici che orchestrano il movimento coreografico delle figure.

Questi corpi, privati della loro identità ma pieni di tensione espressiva, mettono in atto delle micro-drammaturgie: c’è chi offre un libro, chi disegna, chi corre, chi scompare. Ogni gesto è amplificato, quasi rituale. L’individuo diventa gesto puro, funzione all’interno di una narrazione sociale che ha smarrito la coerenza dell’io. Eppure, in questo sistema ordinato, si percepisce una forma di resistenza: una spiritualità larvata, una tensione verso l’oltre.

Le opere più recenti di Kostabi, come Wings of Awareness (2025) e Overture to the Unknown (2025), segnano un’evoluzione sottile ma significativa nella sua poetica. Si affacciano simboli di ascensione, ali, aperture verso la luce, presenze spirituali. Non si tratta di una rottura, ma di un approfondimento: la struttura rimane intatta, la figura è ancora spersonalizzata, ma emerge un’energia verticale, una ricerca di consapevolezza che scardina — almeno in parte — la gabbia dell’alienazione.

Qui l’arte non è più solo una denuncia del sistema, ma anche un varco. Una possibilità di concentrazione, di silenzio, di senso. Overture to the Unknown, in particolare, suggerisce una soglia: un preludio verso ciò che non è ancora definito, ma che si intuisce necessario. È come se il soggetto, dopo essere stato annientato dalle logiche dell’efficienza e del desiderio, cercasse ora una forma altra di presenza.

L’intero corpus di Kostabi può essere letto come un manuale iconografico del presente. L’Artista riprende e reinventa simboli della storia dell’arte — le mani di Michelangelo, le posture classiche, gli spazi rinascimentali — per inserirli in un contesto di crisi, disorientamento, ripetizione. In The Rhythm of Inspiration (1995), l’euforia creativa si trasforma in caos comunicativo, un’esplosione coloristica che riflette il rumore della società mediatica. Le figure sembrano danzare e soffrire allo stesso tempo, travolte da una sinfonia di stimoli e aspettative.

Kostabi ha inoltre avuto il merito — e la lucidità — di trasformare se stesso in opera: musicista, autore televisivo, performer, creatore di oggetti e concetti. Il suo essere artista coincide con l’essere sistema. Ma proprio in questa consapevolezza si annida la forza critica della sua pittura: ogni tela è un atto di smascheramento, una domanda sull’identità, un invito a cercare e riconoscere — nella bellezza patinata della superficie — le fratture invisibili dell’io.

L’arte di Mark Kostabi è una macchina concettuale travestita da pittura decorativa. È lucida, ironica, inquieta. Dietro il colore brillante si nasconde una diagnosi spietata della società contemporanea; all’interno della perfezione geometrica, il vuoto dell’identità; nella molteplicità dei personaggi, l’uniformità della condizione umana. In un’epoca in cui tutto è visibile, Kostabi ci mostra ciò che non ha volto. E ci chiede, con insistenza, chi siamo davvero, quando smettiamo di essere “qualcuno”.

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