“I CAVALIERI”
di Aristofane
adattamento e regia:
Cinzia Maccagnano
con:
Raffaele Gangale, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Cristina Putignano, Marta Cirello, Andrea Maiorca, Maria Chiara Pellitteri
Nuovo appuntamento per il 𝗙estival del Teatro Classico di Formia 2025, presso l’Area Archeologica di Caposele, sabato 26 luglio, alle ore 21,30, I Cavalieri, adattamento e regia, Cinzia Maccagnano, con: Raffaele Gangale, Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Cristina Putignano, Marta Cirello, Andrea Maiorca, Maria Chiara Pellitteri. Un capolavoro della commedia greca, di straordinaria attualità. Rappresentata nel 424 a. C., è una feroce satira contro la classe politica ateniese e la sua degenerazione. Durante la guerra del Peloponneso, Atene è governata da un demagogo arrogante che asseconda i peggiori istinti e la credulità del popolo. Liberare la città da questo individuo è il fulcro su cui è costruita la vicenda. L’allestimento, poetico e suggestivo, misto a una marcata comicità, ci fa rivivere la ricca inventiva del teatro di Aristofane, scandita da un gioco preciso di movimenti, fra maschere e un Coro di cavalieri/burattini.
NOTE DI REGIA
Sulla scena del nostro circo decadente campeggia un cartello con la scritta “Cercasi Caratterista”, ovvero l’attore capace di interpretare personaggi caricaturali ed eccentrici, quindi il ruolo necessario alla commedia e, nel caso de I Cavalieri, necessario anche alla scena politica, che conquisti il pubblico e Popolo. La commedia comincia con due servi, due servi di casa, servi del Popolo, due “comici dell’arte politica” che si autodefiniscono servi dello Stato, i quali, non soddisfatti del proprio tornaconto, cercano una strada per liberarsi di tale Paflagone, demagogo arrogante e ruffiano, che di mestiere fa il conciapelli, il quale asseconda i peggiori istinti del Popolo e ne trae vantaggio solo per sé. In breve, ci mostrano l’unica strada possibile che per scalzare un farabutto: ne serve uno peggiore.
E lo trovano: un salsicciaio, un uomo che viene dalla strada, il quale si dichiara ignorante e ladro perciò, si direbbe, non adatto a fare politica. Ma i due servi lo adulano e convincono che ha tutte le doti necessarie, che anzi è proprio “un politico nato” e che sono pronti a garantirgli l’appoggio necessario di una parte di società: lo sosterranno i Cavalieri. Ecco, quindi, che comincia la girandola di numeri che altro non sono che scontri verbali, come nelle tribune politiche con tanto di par condicio, e azioni ruffiane nei confronti del Popolo, come le continue false promesse di piazza di ogni tempo. Interessante però è la visione che di Demos, ovvero Popolo, ci dà Aristofane: un vecchio egoista e corruttibile, intento solo al proprio benessere, credulone, pronto a scegliere come proprio governate chi promette di trattarlo meglio.
Ma in un a parte rivela al pubblico che gli piace fare lo scemo! Allevare in Parlamento chi lui stesso sceglie, esaltandolo e rendendolo tronfio, finché non si senta insoddisfatto e allora, come un Tiranno, lo farà cadere. Insomma, la volgarità, l’egoismo, la cialtroneria del tempo sembrano proprio coincidere con quelli del nostro. E i Cavalieri? Chi sono? Nella società Ateniese era una classe sociale che oggi potremmo individuare in quella della media borghesia. Ma nella nostra società, a mio avviso, le varie classi sociali hanno ridotto notevolmente le differenze. I Cavalieri sono strumento dell’azione demagogica dei politici, e, in un coro in particolare, rivelano il loro stare dalla parte del Poeta, il loro essere attori.
Aristofane stesso si fa difendere da loro. Perciò ho voluto identificare i Cavalieri con gli artisti che in tutti i tempi e in quello nostro più che mai, sono mossi ancora da ideali e sempre pronti alla “lotta”, ma poiché tenuti sempre allo stato di necessità, ecco che finita la protesta promossa da interessi politici, tornano “in quinta”, come burattini, vivi, ma non autonomi. In tutto questo circo, spietato e a tratti zotico, che è la vita sociale e politica di cui ci parla Aristofane e anche di questi tempi, mi mancava una voce “popolare” che nel Popolo rappresentato di Aristofane non c’è. Allora mi è venuta in soccorso la poesia ironica, satirica e sentimentale di Trilussa che in 3 quadri ferma il ritmo serrato della scena per consegnarci una morale, una riflessione che, come dice Pasolini, è “una desolata incredulità nelle cose del mondo”.
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