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C’è del sacro? Il funerale di papa Francesco o della Chiesa.


giovedì 24 aprile 2025 di Andrea Comincini

Argomenti: Opinioni, riflessioni


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«Liturgia – come poesia – è splendore gratuito, spreco delicato, più necessario dell’utile. Essa è regolata da armoniose forme e ritmi che, ispirati alla creazione, la superano nell’estasi”

Sono parole di Cristina Campo, scrittrice poetessa ma soprattutto fervente cattolica e tradizionalista la quale, insieme a tanti altri, non vide mai di buon grado la svolta conciliare che secondo lei allontanò la chiesa di Roma dalle proprie fondamenta. Tra le caratteristiche di quel mondo “tradito” c’era anche la messa in latino. La “lingua morta”, proprio perché consegnata all’immutabilità, era più adatta ad esprimere quel legame con l’invisibile, l’Eterno, il mistico, che oggi non solo sembra essersi sciolto, ma addirittura sostituito con un patto effimero tra consumatori secolarizzati. In un libro a cura del filosofo J. Shaw, The Latin Mass and the Intellectuals: The Petitions to Save the Ancient Mass from 1966 to 2007 (Arouca Press, 2023) si legge:

Il 3 aprile 1969 la costituzione apostolica Missale Romanum, introdusse il Novus Ordo Missae, al quale si oppose, nell’ottobre dello stesso anno, il Breve esame critico del Novus Ordo Missae, dei cardinali Antonio Bacci e Alfredo Ottaviani. Il 16 luglio 1971, in una seconda petizione internazionale, oltre cento eminenti personalità chiedevano alla Santa Sede «di voler considerare con la massima gravità a quale tremenda responsabilità essa andrebbe incontro di fronte alla storia dello spirito umano se non consentisse a lasciar vivere perpetuamente la Messa tradizionale». Molti dei firmatari erano gli stessi del precedente appello. I nuovi erano altrettanto illustri, come Romano Amerio, Agatha Christie, Henri de Montherlant, Robert Graves, Graham Green, Alfred Marnau, Yehudi Menuhin, Malcolm Mudderidge, Guido Piovene, Bernard Wall. La petizione del 1971 riuscì a ottenere una ristretta libertà per la sopravvivenza della Messa antica nel Regno Unito, ma ebbe soprattutto un forte valore simbolico.

Appare evidente come questo sentimento abbia trovato parecchi riscontri, e rimandi a qualcosa di più ampio, ovvero una nostalgia per una Chiesa oggi un po’ smarrita. Qual è dunque la grande paura che affligge parte del mondo dei fedeli e del clero? Il suo nome è semplice: modernità. Con la secolarizzazione la Chiesa ha perso terreno: le statistiche attuali ci parlano di un crollo drastico delle vocazioni, di una percentuale di persone atee atea in aumento esponenziale, di parrocchie vuote e di una incapacità di adeguarsi al mondo. L’atomismo individualista cifra del nostro tempo, farcito da un consumismo edonista spesso di bassa lega, sembra aver la meglio anche sulle questioni metafisiche, ormai messe da parte, simili a un vecchio rottame di cui si riconoscono le forme ma non più a cosa servisse.

Insomma, il mondo non avrebbe bisogno del Sacro – o almeno così sembra. Teologia e Metafisica sono cassettiere inutili, piene di orpelli da buttare. Delle questioni “ultime” non se ne parla. Bisogna vivere e godere, il resto sono chiacchiere da nevrotici. Tralasciando la democraticità della nevrastenia, presente spesso più nei laici, arriviamo alla prima delle questioni fondamentali, ovvero l’atteggiamento di una parte della chiesa davanti a questa presunta catastrofe. Uomini e donne come Cristina Campo hanno cercato nel rifugio e nel conforto della tradizione una possibile ancora di salvezza per chiudere i boccaporti e non far affondare la nave. Storicamente, questo passaggio epocale si può riassumere proprio analizzando gli ultimi tre pontificati; da qui è possibile capire il tratto principale della mentalità dominante dentro e fuori le mura vaticane. Con Giovanni Paolo II ci troviamo davanti a un pontefice abile nel domare la modernità e addirittura a utilizzarla a favore della Chiesa. Impresa possibile soltanto grazie al suo carisma fuori dal comune. Woytila riusciva a essere un uomo della Chiesa antica ma contemporaneamente consapevole della forza dei nuovi mezzi di comunicazione, dell’aspetto “televisivo” della società dello spettacolo. Ha ottenuto il massimo possibile in un mondo in cambiamento. Questo pontificato tuttavia non poteva risolvere lo scontro, ma solo rimandarlo. Con Benedetto XVI assistiamo al tentativo di ricordare l’aspetto trascendente che la chiesa dovrebbe avere – sempre per alcuni: non comunità del mondo, ma nel mondo. Corpo mistico il quale, sebbene aperto alle suggestioni dell’Illuminismo, non si pone sulla sua scia ma a capo di esso. Intellettuale raffinatissimo, Benedetto XVI non fu mai capito. Lui e il mondo si trovavano in due pianeti diversi, a parlare lingue troppo distanti. La chiesa di Ratzinger ha provato a ricollocarsi nel terreno del predecessore, ma la mitezza di carattere del papa tedesco e un mondo ancora più secolarizzato e smaliziato hanno reso la sua missione poco influente. Travolta dagli scandali, e nel procinto di vivere la fase di maggior intensità della spettacolarizzazione della comunicazione, con il sorgere di facebook e dell’informazione orizzontale, quel pontificato si è dimostrato uno spartiacque: tra modernità e tradizione il compromesso è parso impossibile.

Ed ecco, infine, arrivare un papa “dalla fine del mondo”. Bergoglio ha rappresentato e vissuto lo scontro tra chiesa e modernità da un punto di vista diverso: la modernità ha ragione, e per sopravvivere bisogna essere nel mondo, il più possibile. Il suo linguaggio, la gestualità, la naturale simpatia che ispirava hanno conquistato ovviamente moltissime persone non credenti, figlie di quel mondo secolarizzato da cui proveniamo, ma ha suscitato anche reazioni nervose all’interno del Vaticano. Giudicato per alcuni troppo permissivo e contemporaneo, ha ricevuto notevoli critiche dall’ala conservatrice della chiesa. Le sue interviste in un noto programma televisivo italiano hanno creato imbarazzo se non scandalo: può un papa annullare le differenze tra lui e gli altri? È accettabile sentirlo parlare con un linguaggio così “normale”? La sua voce a favore dei poveri, degli immigrati, degli ultimi del mondo ha d’altra parte reso quest’ultimo pontificato estremamente attento ai diritti umani, alle fragilità del sistema ecologico, alla diffusa disuguaglianza che attanaglia la nostra società. Ma un papa che benedice la versione religiosa dei Pokemon non incrina alle fondamenta la sua stessa chiesa nell’autoproclamarsi altro dal mondo?

La critica più dura che ha subito riguarda la scomparsa del Sacro dal suo vocabolario. Anche quando parlava di Cristo e dei Sacramenti, Begoglio appariva propenso a tratteggiare i lineamenti di un grande uomo carismatico e non del figlio di Dio; indugiava troppo in una narrazione popolareggiante, priva di mistero. La chiesa di Francesco è apparsa a molti una sorta di Onlus, una comunità fraterna intenta a sfamare le persone in fila alla Caritas e a predicare una fratellanza laica. Tralasciando chi lo attaccava perché ritenuto fintamente progressista, è indubbio quanto la chiesa da lui guidata si prestasse a essere la manifestazione di un corpo sconfitto, arresosi alla secolarizzazione e in definitiva schiacciato. La Chiesa come multinazionale della fede sarà stata combattuta, ma non vi sono tracce di spiritualità in chi ha vinto. Ed ecco la seconda questione fondamentale. Per alcuni – e da qui anche il successo a sinistra – la chiesa deve proprio essere così: nel mondo, e del mondo. Una organizzazione che si affianca ad Amnesty e Croce Rossa, e che si occupa dell’aldilà in termini simbolici. Non bisogna farsi distrarre dalle Vie Crucis o altro. Quella ritualità non ha contatti con il mistico, non lo reclama, ma rappresenta il contenitore ideale e confortevole alle istanze dell’anima di ognuno, perché è il singolo a farla da padrona. La parabola discendente della chiesa, vista in un’altra ottica, apparirebbe ascendente! Tra chiesa e modernità, con Bergoglio vince la seconda. Per alcuni è un bene, per altri una debacle.

Si dipana la matassa. Per molti la vera chiesa è questa, dunque il risultato degli ultimi anni è giudicato positivamente. A sostegno usano dire che vi sia “un ritorno ai vangeli”, alle prime comunità cristiane; per gli “antagonisti” è una sconfitta spirituale poiché la chiesa è sacralità e tradizione, e non mondanità. Ma di chi parliamo? I primi sono i secolarizzati che accettano la chiesa solo se declinata nei loro termini, altrimenti la bollano come oscurantista, mentre i secondi sono i tradizionalisti che rivendicano un primato sul moderno, e oggi spesso si sposano con il sovranismo nazionale, evidenziando, tutti, quanto la questione sia sempre eminentemente politica e sostenuta rispettivamente da partiti politici.

Possiamo dire senza possibilità di esser smentiti che parlare di “ritorno allo spirito dei vangeli” è espressione grossolana e qualunquista, perché anch’essi sono il frutto della teologia, e la tradizione non è un surplus ma un elemento chiave della chiesa, almeno dal 325 D.C., dopo il concilio di Nicea. Prima c’erano tanti cristianesimi, e quindi i fautori di un ritorno alle origini compiono una operazione ideologica scorretta e si rifanno a quelle tradizioni materialiste che leggevano e leggono la figura di Gesù in termini mondani. Ma lasciamo stare e torniamo al punto. Ci sono due chiese. Per Cristina Campo, se la comunità dei credenti non si distingue e si sottrae al mondo, è perduta. I conservatori insistono su questa posizione, additando ai progressisti una colpa grave, ovvero essere dei collaborazionisti del moderno. Per i liberali del Vaticano, la linea da seguire è quella di Bergoglio. Il mondo della politica si ritrova in questi due schieramenti.

Terza questione: come sopravviverà la chiesa? Trasformandosi completamente in una società per fedeli azionisti, dove il sacro è relegato in qualche università pontificia? Vivrà tornando a un mondo in cui si prenderanno di nuovo le distanze dal moderno? Non avrà comunque scampo? Difficile rispondere. È chiaro che ogni auspicio parte da due premesse, cioè considerare positivo o negativo il persistere o meno della Chiesa, e nel caso della prima opzione, se questo stare fra la gente sia da intendere in termini secolaristici o meno.

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Vaticano

Si potrebbe sostenere che una chiesa senza il sacro non abbia più ragioni di esistere, e le motivazioni a supporto sarebbero molte; e sarebbe anche utile chiarire se quella sacralità debba essere da lei rappresentata, o da altri. L’ultima domanda per noi fondamentale tuttavia è un’altra. È davvero un risultato positivo una società secolarizzata, “libera” dal trascendente (anche un trascendente che non si rispecchi in nessun credo positivo), una società dove l’Oltre è solo un residuo superstizioso che “accompagnava l’antichità” oppure ci troviamo a vivere una tragedia in atto, una amputazione dell’animo umano, un annichilimento frutto di un tratto preciso del moderno, foriero di guai? Davvero teologia e metafisica sono inutili? Intendiamo dire che se la dimensione del trascendente non sia una sbavatura dell’intelletto ma un tratto coessenziale alla natura umana, forse ci stiamo dirigendo verso l’autodistruzione e i tradizionalisti, seppur riprovevoli la maggior parte delle volte dal punto di vista politico, hanno colto un tema essenziale, trascurato da chi vorrebbe una chiesa smart e alla moda. Ecco allora che quest’ultima, se vuol esser guida spirituale, dovrà decidere “quanto differisce dal mondo”. Una sfida enorme, difficilissima. Ora che siamo prossimi a un nuovo Conclave, e la Provvidenza soffierà tra i magnifici affreschi vaticani, possiamo solo sperare in uno Spirito Santo particolarmente ispirato, capace di donarci un nuovo Santo Padre in grado di affrontare le sfide eccezionali che questi tempi ci costringono a vivere, senza dimenticare quanto quelle sfide siano anche le nostre.

 

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