L’Omaggio a Carlo Levi. L’amicizia con Piero Martina e i sentieri del collezionismo ripercorre la storia artistica del pittore, scrittore e intellettuale torinese, soprattutto nel legame umano, intellettuale e artistico che lo ha legato a Piero Martina, pittore anch’egli torinese, sostenuto dallo stesso Levi sin dai primi anni di carriera.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, la mostra vanta la collaborazione della Fondazione Carlo Levi, l’Archivio Piero Martina e la Collezione Angelina De Lipsis Spallone, nella curatela di Daniela Fonti e Antonella Lavorgna (Fondazione Carlo Levi) e Antonella Martina (Archivio Piero Martina), per la sezione dedicata alla Collezione Angelina De Lipsis Spallone: Giovanna Caterina De Feo.
Il progetto espositivo con la collaborazione della Fondazione Carlo Levi di Roma e l’Archivio Piero Martina di Torino ha ricostruito oltre tre decenni di sodalizio fra i due artisti, che condivisero e esperienze di vita sia sotto il profilo artistico, politico e sociale (la battaglia per un’arte europea, la dissidenza nei confronti del fascismo, l’approdo a Roma nel periodo della ricostruzione post-bellica). In mostra oltre sessanta opere provenienti dalla Fondazione Carlo Levi e dall’Archivio Piero Martina, oltre che da importanti istituzioni culturali e collezioni pubbliche e private, opere dagli esiti espressivi molto diversi tra loro, accomunate però da un identico sguardo di umana partecipazione e dalla volontà di indagare senza retorica la realtà del nostro Paese. Importante fu anche il legame di Levi con Roma, dove visse stabilmente dal 1945 fino alla sua morte, una città che rappresentò una fonte d’ispirazione continua, oltre che luogo d’impegno civile da ritrarre come il simbolo di un’Italia in trasformazione e dove attrasse, per una breve stagione, anche l’amico Piero Martina.
Nell’esposizione anche la storia di un’altra amicizia, quella tra Linuccia Saba, figlia di Umberto Saba e compagna di Carlo Levi, e Angelina De Lipsis Spallone, nota collezionista romana che, dalla morte del pittore, ha arricchito la propria collezione privata (oltre 300 quadri) con l’acquisizione di diciannove dipinti inediti di Levi, oggi finalmente visibili nella speciale sezione di chiusura della mostra romana.
Carlo Levi conosce Piero Martina negli anni Trenta, quando questi si fa conoscere negli ambienti artistici torinesi, mentre Levi è già un pittore affermato. Nel 1938 la prima Mostra di Martina alla Galleria Genova presentata dallo stesso Levi che, sostiene e incoraggia con amicizia e stima il giovane artista alla ricerca di un linguaggio espressivo autonomo.
Già dalla prima sezione La formazione, l’ambiente intellettuale torinese possiamo fare un raffronto tra le opere più rappresentative dei due artisti del periodo, benché ancora sotto l’influsso della cultura figurativa del gruppo dei “Sei di Torino” che Levi aveva contribuito a fondare, l’artista ritrae figure dapprima in volumi netti sotto una luce quasi magica, (quasi “realismo magico”) per poi passare ad una pennellata morbida e avvolgente di naturale sensualità (Le officine del gas, 1926; Lelle seduta con cappellino, 1933); la pittura di Martina, invece, appare quasi come uno schermo colorato e iridescente che anziché rivelare le figure, le nasconde (Interno dello studio con cappello, 1937 Figura con maschera, 1938, Ritratto di donna con cappello, 1937).

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La seconda sezione Da Torino a Roma: suggestioni, aperture e nuove ricerche si passa dal periodo torinese, in cui il fascino discreto della loro città si rivela nei ritratti di familiari e amici, nelle nature morte e negli scorci cittadini realizzati dai due artisti (Tramonto con la Mole, del 1942, di Piero Martina), a quello romano caratterizzato dalla tragica incombenza della guerra e dai continui spostamenti dei due artisti. Costretto al confino in Lucania, dopo diversi arresti tra il 1934 e il 1938, Carlo Levi vivrà come un nomade tra Francia e Italia nell’intento di evitare la persecuzione della polizia fascista, le leggi razziali e la deportazione. Gli incontri con Martina non si interrompono, nel 1942 le loro case a Torino verranno distrutte durante un bombardamento, sono dello stesso anno i Ritratti che l’uno fa dell’altro

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. Martina utilizza un linguaggio più contemporaneo con un uso del colore più fermo e studiato, prendendo le distanze dalle atmosfere intimiste e delicate dei primi lavori (Ragazza al clavicembalo, 1940; Rose e conchiglie, 1942). Levi, invece, a partire dal suo confino lucano, si orienta verso i temi sociali, rappresenta la condizione di miseria dei contadini del sud Italia, abbandonando le trasparenze per concentrarsi su strutture robuste, dense e “ondose” che occupano e definiscono lo spazio percepito come mobile e trascorrente (Autoritratto con fornello, 1935 ) Tetti di Roma, 1951.

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Dopo una breve parentesi fiorentina nel 1943 e l’esperienza alla Biennale del 1948, alla quale entrambi partecipano, il punto di svolta sarà agli inizi degli anni Cinquanta quando Martina, quarantenne, si stabilisce a Roma dove Levi risiedeva già dal 1945. Frequenteranno i vivaci circoli artistici della Capitale, centro nevralgico di un movimento artistico che una volta riconquistate le libertà espressive dopo il ventennio fascista, converge da tutta Europa in tutte le arti, sia nella letteratura, nel cinema che nella fotografia. La terza sezione La stagione dell’impegno civile - coincide con il confronto sociale nel paese e una fase di profonda consapevolezza sul loro ruolo intellettuale rispetto ai contadini e alla classe operaia. Le opere più sperimentali di Martina legate ai temi del lavoro operaio (La Tessitrice n.2, 1952, La manifattura tabacchi, 1956) sono accanto alla pittura ruvida di Levi che ritrae le difficoltà delle classi subalterne e contadine del Sud (Il Ragazzo Aleandro, 1952, Fratelli, 1953, Contadine rivoluzionarie, 1951).
Tra gli anni Sessanta e oltre, i due artisti si dedicano ad una ricerca più personale, lontana dal dibattito contemporaneo. La quarta sezione, Il nudo e il paesaggio, temi coinvolgenti, in risalto i lavori delle loro ultime stagioni pittoriche, dall’orizzonte tematico simile dominato da un rinnovato interesse per la natura, un Eden popolato da nudi e silhouette, antiche divinità e inattese apparizioni. Tra i due artisti, anche in questo caso, il prodotto pittorico risulta all’estremo opposto: figure in primo piano, assottigliate e indecifrabili, caratterizzano i dipinti di Martina, la cui pittura – sia che si concentri sulla rappresentazione di paesaggi che su quella di nudi corporei – si ritrae dal fondo per miscelarsi nell’incontro tra luce e colore (come in Paesaggio meridionale, 1949 e Alberi e Nudi nella vigna verde, 1961.

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Levi sperimenta piuttosto la materia densa e afosa, rappresentazione di un mondo vegetale drammatico e onirico. I nudi e i paesaggi dai colori levigati degli anni giovanili, lasciano ora il campo a opere complesse come Donne furenti del 1934, Alberi del 1964 o Vigna del 1962

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Nell’ultima sezione esposte le opere di Carlo Levi della Collezione di Angelina De Lipsis Spallone. Medico, collezionista, amante dell’arte, Angelina De Lipsis Spallone (1926-2020) ebbe sempre uno sguardo attento alla migliore arte nazionale e internazionale del suo tempo. I diciannove dipinti inediti di Carlo Levi, sono esposti per la prima volta, furono acquisiti grazie all’amicizia con Linuccia Saba, figlia di Umberto e compagna di Levi negli anni romani. Questa raccolta racconta quasi per intero il percorso dell’artista: dagli esordi, con la Natura morta del 1926, il Piccolo nudo di poco successivo o il giovanile Autoritratto in rosa del 1928, agli anni Trenta, segnati dall’esperienza dei “Sei di Torino” (La Donna sul divano, il Ritratto sulla sedia a sdraio (Francesca) e la Donna col cagnolino) e dall’influenza espressionistica su alcuni suoi lavori (La Raccoglitrice di Conchiglie, il Nudo di Palazzo Altieri e una Natura Morta). Dello stesso periodo anche Il Nudo di donna che reca sul verso Donna con il cappellino, un intenso ritratto di Paola Olivetti. Con la svolta neorealista degli anni Cinquanta e il Ciclo della Lucania rappresentato dal dipinto La Madre, si conclude la sezione con le ultime stagioni pittoriche degli anni Sessanta e Settanta con gli alberi e le vedute del Ciclo di Alassio (La Vigna, Il Paesaggio di Alassio con falò, L’erpice e gli Attrezzi) e i quadri della serie degli Amanti, (tema già elaborato dall’artista negli anni Trenta e ricorrente nell’ultimo ventennio del suo percorso) caratterizzato dai profili di un uomo e di una donna che si fondono, unendosi in un unico abbraccio.
Nel logo: AUTORITRATTO CON FORNELLO
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