Come sottolinea la presentazione dello spettacolo, Moby Dick trascende la sua natura animale per diventare simbolo di una condanna, una maledizione che si trasforma in una sfida mortale tra uomini a bordo del Pequod. Il vascello stesso non è una semplice nave, ma un’entità stregata che trascina inesorabilmente la sua ciurma verso la perdizione. Il doblone d’oro promesso sull’albero maestro e il patto di sangue suggellato dai marinai non sono che una chiamata mefistofelica, un invito a sfidare l’ignoto e a perdersi negli abissi della non-conoscenza.
Al centro di questo vortice sta Achab, interpretato da Ovadia. Non è solo un capitano ferito nel corpo e nell’orgoglio, ma un uomo consumato dalla vendetta, un essere empio che ha voltato le spalle a Dio, spingendosi oltre ogni limite umano e violando ogni legge morale e divina. La sua furia cieca è ossessionata dalla balena bianca, incarnazione del male ai suoi occhi.
A fargli da contraltare, come uno specchio della coscienza che Achab tenta di soffocare, c’è Starbuck. Egli è la voce della prudenza, della ragione e della fede. Testimone di una visione teocentrica del mondo, si oppone fermamente alla blasfemia dell’odio di Achab, diventando il suo alter ego, la parte recondita e tormentata della sua stessa anima.
La regia di Guglielmo Ferro sceglie di far iniziare la narrazione direttamente sul ponte del Pequod, epicentro della tragedia imminente. Qui, in un susseguirsi frenetico di eventi – tempeste furiose, estenuanti battute di caccia, avvistamenti illusori, bonacce snervanti, ma anche canti, riti pagani e preghiere disperate – si consuma il destino di tutti i personaggi: da Queequeg a Pip, da Ismaele a Tashtego, da Flask a Stubb.
Se è la follia a guidare Achab nella sua ricerca maniacale della balena, è nel confronto serrato con Starbuck che il capitano sperimenta l’orrore più profondo: quello della propria coscienza riflessa. Il testo suggerisce una potente metafora: Moby Dick è la malattia di Achab, ma Starbuck ne è la manifestazione clinica. La balena lo tormenta con la sua assenza elusiva, mentre Starbuck lo sfida con la sua presenza costante e giudicante. Il loro conflitto diventa uno specchio incrinato in cui galleggia il peccato originale, un abisso nero che inghiotte la bianca ossessione.
Le scenografie di Fabiana Di Marco e i costumi di Alessandra Benaduce completano l’opera, creando un mondo visuale che fa da contorno alla drammaticità della storia. Le musiche di Massimiliano Pace contribuiscono a sottolineare il clima di agitazione, mentre le fotografie di Riccardo Bagnoli catturano i momenti più significativi, rendendo ogni scena un quadro vivente.
Non cercate redenzione a bordo del Pequod in questa messa in scena. Ciò che attende lo spettatore è una discesa nell’oscurità, avvolta in una fitta nebbia esistenziale e morale. Un’occasione imperdibile per vedere un grande interprete come Moni Ovadia dare corpo a uno dei personaggi più iconici e tormentati della letteratura mondiale, in uno spettacolo che promette intensità e riflessione profonda.
www.teatroquirino.it
Centro Teatrale Bresciano - Teatro Quirino - Compagnia Molière
presentano
MONI OVADIA
GIULIO CORSO
MOBY DICK di Herman Melville adattamento Micaela Miano
con
Tommaso Cardarelli, Nicolò Giacalone, Pap Yeri Samb, Filippo Rusconi,
Moreno Pio Mondì, Giuliano Bruzzese, Marco Delle Fratte
scene Fabiana Di Marco
costumi Alessandra Benaduce
musiche Massimiliano Pace
foto di scena Riccardo Bagnoli
video Lorenzo Bruno e Igor Renzetti
regia GUGLIELMO FERRO
date e orari
MAR 1 apr 25 ore 21.00
MER 2 apr 25 ore 21.00
GIO 3 apr 25 ore 17.00
VEN 4 apr 25 ore 21.00
SAB 5 apr 25 ore 17.00
DOM 6 apr 25 ore 17.00
LUN 7 apr 25 riposo
MAR 8 apr 25 ore 21.00
MER 9 apr 25 ore 19.00
GIO 10 apr 25 ore 17.00
VEN 11 apr 25 ore 21.00
SAB 12 apr 24 ore 17.00
SAB 12 apr 25 ore 21.00
DOM 13 apr 25 ore 17.00