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MOSTRA CARAVAGGIO 2025

inaugurata il 7 marzo si potrà visitare fino al 6 luglio 2025,
venerdì 14 marzo 2025 di Patrizia Cantatore

Argomenti: Mostre, musei, arch.


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A Palazzo Barberini, luogo simbolo della connessione tra l’artista e i suoi mecenati, una mostra per raccontare la forza innovatrice della pittura di Caravaggio nel panorama artistico, religioso e sociale del suo tempo.

La mostra, inaugurata il 7 marzo si potrà visitare fino al 6 luglio 2025, può essere considerata l’evento del Giubileo 2025, 24 capolavori tra i più noti, alcuni di recente attribuzione, anche alcuni esposti per la prima volta in Italia, accanto alle opere provenienti da collezioni private raramente visibili. Nata dalla collaborazione tra le Gallerie Nazionali di Arte Antica con la Galleria Borghese, il supporto della Direzione Generale Musei – Ministero della Cultura e con il sostegno del Main Partner Intesa Sanpaolo, la mostra CARAVAGGIO 2025 è stata curata da Francesca Cappelletti, Maria Cristina Terzaghi e Thomas Clement Salomon.

L’esposizione mira ad approfondire una riflessione sul significato dell’arte di Caravaggio, la sua innovazione iconografica e artistica sia nel panorama artistico, religioso e sociale del suo tempo che la profonda influenza avuta sulla storia dell’arte e sull’immaginario collettivo contemporaneo.

L’eccezionalità di questo evento è poter ammirare l’una accanto all’altra, opere mai esposte insieme, come il Ritratto di Maffeo Barberini, pubblicato da Roberto Longhi nel 1963 e mai esposto al pubblico fino a pochi mesi fa, insieme all’altro ritratto omonimo appartenente alla collezione delle Gallerie Barberini. La prima versione della Conversione di Saulo della cappella Cerasi, di proprietà privata insieme ai quadri de I Bari (oggi al Kimbell Art Museum di Fort Worth), la Buona Ventura, suo pendant commissionato dal Cardinal Del Monte nel 1595 ed oggi alla Pinacoteca Capitolina. La magnifica tela di Marta e Maria Maddalena proveniente dal Detroit Institute of Arts, USA, tra la Giuditta e Oleoferne delle Gallerie Nazionali di Arte Antica e la Santa Caterina d’Alessandria, già acquistata da Antonio Barberini nel 1628 dalla collezione del cardinal del Monte e oggi al Museo Nacional Thyssen- Bornemisza a Madrid. La cattura di Cristo prestito della National Gallery of Ireland, di Dublino, accanto a l’Ecce Homo di Madrid, recentemente riscoperto (2021) e tornato in Italia dopo quattro secoli.

MICHELANGELO DA CARAVAGGIO, nasce a Milano, dove viene battezzato il 30 settembre 1571 nella parrocchia di Santo Stefano in Brolo. Poco si sa della sua giovinezza, è certo che nel 1584 viene mandato dalla madre a studiare presso la bottega di Simone Peterzano, un pittore tardomanierista allievo di Tiziano. Di lui ritroviamo tracce nel 1595, anno in cui giunse a Roma, dove per guadagnarsi da vivere vende quadri a basso costo, collabora con un famoso artista, Giuseppe Cesari detto il Cavalier d’Arpino e conosce quello che sarà il suo primo importante committente, il cardinal Francesco Maria Del Monte, diventando uno dei pittori più originali e richiesti dell’epoca, con prestigiose commissioni pubbliche come: le Storie di San Matteo in San Luigi dei Francesi e i dipinti per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Nel 1606, all’apice del successo, un evento tragico e inaspettato gli cambierà la vita: durante una partita di pallacorda uccide Ranuccio Tomassoni ed è costretto a lasciare Roma, trovando rifugio prima nei feudi dei Colonna, poi a Napoli e successivamente a Malta, dove arriva nel 1607. Insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine per il suo valore artistico, sarà incarcerato a causa di una rissa e riuscirà a darsi alla fuga rifugiandosi in Sicilia, prima a Siracusa e poi a Messina, sbarcherà di nuovo a Napoli nel 1609 tentando di ricucire attraverso i buoni uffici dei Colonna, con il papa e la possibilità di riceverne la grazia. Sarà proprio questa notizia a spingerlo a ripartire per Roma, dove non giungerà mai. Molte le ipotesi sul quel che gli accadde, convinzione della tradizione lo collocano morto sulla spiaggia di Porto Ercole consunto dalla malaria.

Recenti studi da parte del Prof. Pacelli dell’Università di Napoli, supportato da documenti dell’archivio di Stato e dell’Archivio Vaticano, sposta nella laziale Palo (l’attuale Ladispoli) il luogo della morte. Per Pacelli, Caravaggio fu assassinato da emissari dei cavalieri di Malta con il "tacito assenso della Curia Romana". Quindi secondo la tesi del Prof. Pacelli non morì di malaria né raggiunse la Toscana, ma proprio a Palo fu sbarcato per essere imprigionato e poi rilasciato per poi vagare a piedi verso Porto Ercole, disperato perché non trovava più le sue “robe”, i dipinti che aveva portato con sé, in questo vagare sarebbe morto colto da febbre malarica. Secondo la tesi, il corpo del pittore, più che a Porto Ercole, dovrebbe essere cercato a Civitavecchia, dove pure nella biografia redatta dal medico del papa Giulio Mancini, è fatto morire (salvo poi correggerla in Porto Ercole). La crudele persecuzione per i fatti sanguinosi di cui fu protagonista lo seguirono nel suo vagabondare in vita fin oltre la morte, nel tentativo di damnatio memoriae.

L’ESPOSIZIONE consta di quattro sezioni che esplorano i quindici anni dell’ascesa artistica di Caravaggio: dall’arrivo a Roma intorno al 1595 fino alla morte a Porto Ercole nel 1610.

La prima sala, è dedicata al DEBUTTO ROMANO, le molte difficoltà affrontate, il transito nella bottega del noto e ammirato pittore Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, dove venne impiegato per dipingere fiori e frutti. Il rapporto si deteriorerà nel giro di otto mesi, ma l’esperienza dei Naturalia lascerà tracce importanti e profonde in Caravaggio, sia nelle successive nature morte, come nelle primissime opere quale il Mondafrutto (The Royal Collection / HM King Charles III). (fig. 1)

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Il dipinto, secondo Mancini, fu realizzato dal Merisi durante la sua permanenza presso Monsignor Pandolfo Pucci, un prelato originario di Recanati. La tela, o una sua copia (ne furono fatte molte), appartenne pure al letterato Cesare Crispolti che considerava l’opera, l’emblema della giovinezza simboleggiata dal frutto (un limoncello di Sorrento), che necessita di ammaestramento (sbucciata) per scartare la scorza amara lasciando emergere la dolcezza. Accanto a questo, per la prima volta insieme, il Bacchino malato (Galleria Borghese) autoritratto di Caravaggio che veste i panni di Bacco, il Dio del furor e dell’ispirazione artistica. Realizzato quando lasciò la bottega del d’Arpino, il dipinto fu collocato con l’aiuto dell’amico pittore Prospero Orsi nella bottega di un rivenditore di quadri nei pressi di San Luigi dei Francesi. La tela fa parte del grande gruppo di opere sequestrate al Cavalier d’Arpino, che nel 1607 entrarono nella collezione del cardinale Scipione Borghese. Sarà grazie alla frequentazione di Orsi che venne in contatto nell’estate del 1597 con l’eclettico cardinale, cultore di musica e canto, Francesco Maria del Monte, cui appartennero i Musici, la Buona Ventura e i Bari

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capolavori di quella “pittura comica” che caratterizza la fase giovanile di Caravaggio, marcatamente segnata dall’uso della luce eppure non ancora distinta dai chiaroscuri della maturità. Di questo periodo anche la commissione del banchiere Ottavio Costa, proprietario del bellissimo San Francesco in estasi, prima opera sacra eseguita dall’artista a Roma.

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Nel 1600 il successo del pittore è sancito dall’incarico di dipingere due tavole per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo: la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di Saulo (Coll. Odescalchi) (fig. n. 12), di cui è esposta in mostra la prima redazione, differente dalla versione finale sia per il supporto utilizzato, una tavola di legno cipresso di grandi dimensioni (237×189 cm), molto più preziosa della tela che per l’impianto iconografico, in questa prima versione infatti San Paolo è ritratto come un uomo anziano su cui Cristo irrompe in prima persona illuminandolo; nel secondo che si trova nella chiesa a Piazza del Popolo, è un giovane soldato caduto da cavallo perché accecato da una luce sfolgorante. Non vera la storia del rifiuto del quadro perché ritenuto inadeguato, piuttosto perché troppo grande e pesante per essere posizionato nella cappella.

La seconda sezione, INGAGLIARDIRE GLI OSCURI, introduce la rara produzione ritrattistica del pittore che, secondo le fonti archivistiche e le stampe, fu molto vasta e stimata, anche se ne abbiamo pochissime testimonianze.

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Qui troviamo accostate per la prima volta le due versioni del ritratto di Maffeo Barberini, provenienti entrambe da collezioni private, la versione “Corsini”, attribuita a Caravaggio da Lionello Venturi (1912) (fig. n. 4), Gianni Papi e Keith Christiansen (2010), esposta di fianco a quella riscoperta e attribuita da Roberto Longhi (1963) e unanimemente condivisa da tutti gli studiosi. Lo stupefacente naturalismo di queste opere, dimostra come seppure ritenuto un genere minore, il ritratto ebbe un ruolo importante, spingendolo a ritrarre nobili prelati o illustri personaggi, mentre per i dipinti a soggetto religioso, persone appartenenti ai ceti sociali più umili, eternandone per sempre la memoria.

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È il caso della modella che presta il suo volto alla Marta e Maria Maddalena (fig. n.5), Giuditta che decapita Oloferne e la Santa Caterina d’Alessandria (fig. n.6), identificabile con la celebre e bellissima cortigiana Fillide Melandroni. Secondo Bellori, biografo di Caravaggio, sarà proprio questo dipinto a segnare una svolta importante, perché iniziò ad utilizzare la tecnica di «ingagliardire gli oscuri» che caratterizzerà da quel momento in poi le sue opere, fino alla tele mature per la cappella Contarelli nella chiesa di San Luigi dei Francesi.

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Nella terza sala, IL DRAMMA SACRO TRA ROMA E NAPOLI, sancisce il passaggio della poetica di Caravaggio, dopo la commissione per il ciclo del San Matteo in San Luigi dei Francesi, ai temi sacri con stile tragico, come la committenza di Ciriaco Mattei e Ottavio Costa, per i quali realizzò rispettivamente La cattura di Cristo (National Gallery of Ireland, Dublino) (fig. n.7). Il dipinto ha come fulcro il bacio di Giuda, il gesto simbolico del tradimento che precede la cattura di Cristo da parte di un soldato, mentre alle sue spalle, un giovane, identificato spesso con San Giovanni Evangelista, cerca di fuggire alla presa di un soldato. All’estrema destra, Caravaggio si raffigura come Diogene in cerca del vero, che alza la lampada per illuminare il volto di Cristo, una composizione che sembra lo scatto di un fotoreporter ante litteram, cogliendo l’attimo in cui tutto accade, dal tradimento alla cattura. Nella parete di destra un San Giovanni Battista dalla collezione del The Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City – Missouri), affiancato ad un dipinto con lo stesso soggetto conservato alle Gallerie Nazionali di Arte Antica. Sono del 1606 durante la sua fuga nei possedimenti Colonna, che realizzò la Cena in Emmaus e – forse – il San Francesco in meditazione, stesso periodo del David e Golia (fig. n.8) della Galleria Borghese, dipinto in cui, Caravaggio si dipinse nella testa mozzata del gigante Golia, mentre David con lo sguardo triste e malinconico, regge una spada sulla quale sono vergate le cifre H.O.S.: Humilats Occidit Superbiam (l’Umiltà ha avuto ragione della Superbia) un quadro per cercare probabilmente il perdono del cardinal Del Monte.

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Qualche mese dopo a Napoli, città che lo accolse e dove lascerà opere magnifiche, dipinse l’Ecce Homo (fig.n.9), recentemente rinvenuto in Spagna, e uno dei suoi capolavori, la Flagellazione fig. n. 11),

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realizzata per la cappella di San Domenico Maggiore è senza dubbio tra le opere più importanti e drammatiche eseguite da Caravaggio a Napoli che ne decreterà il successo. Il dipinto è costruito intorno alla bellissima e scultorea figura di Cristo dal corpo bagnato di luce in una simbolica ostensione davanti alla colonna mentre i suoi aguzzini sono intenti a flagellarlo. .

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L’ultima parte della mostra, FINALE DI PARTITA, raccoglie le sue ultime opere durante l’esilio, il vagabondare da Napoli verso Malta nell’estate del 1607, con la speranza di entrare nell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, provando ad ottenere il perdono di Papa Paolo V Borghese. Saranno opere come il Ritratto di cavaliere di Malta, che Caravaggio riuscirà ad ottenere il cavalierato ma, coinvolto in una rissa con un altro membro dell’Ordine, verrà incarcerato. Raggiunta la Sicilia, Siracusa e poi Messina, dopo una fuga rocambolesca, tornerà a Napoli dove realizzerà le sue ultime opere, tra le quali il San Giovanni Battista della Galleria Borghese e il Martirio di Sant’Orsola (fig. n.10),

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dipinto per Marcantonio Doria in onore della figliastra Anna Grimaldi, monaca in un monastero di Napoli con il nome di Orsola, è probabilmente l’ultimo quadro eseguito da Caravaggio, poco prima di quel viaggio che gli sarà fatale. Dal carteggio tra Doria e l’agente napoletano, emerge che per velocizzare l’asciugatura, la tela fu esposta al sole riportando dei danni a cui il pittore pose rimedio. Caravaggio non ritrae la santa con i simboli del martirio, ci porta dentro i fatti, il personaggio a sinistra è Attila in abiti secenteschi, completamente avvolto dalle tenebre, nell’attimo in cui ha appena scagliato la freccia e sembra pentito del suo gesto, allenta infatti la presa sull’arco, mentre la smorfia di dolore sembra dire "che cosa ho fatto?". Davanti a lui c’è Sant’Orsola, trafitta dalla freccia appena visibile sul suo seno inondata dalla luce della luna, la testa piegata di lato, mentre con le mani sta spingendo indietro il petto come per vedere lo strumento del suo martirio. Più che dolore, sembra già in una dimensione di disinteressata rassegnazione, il suo volto e le mani bianchissime preludono alla sua immediata morte. Tra i volti degli aguzzini emerge l’autoritratto in luce di Caravaggio che osserva la scena, turbato dal dramma della fine della vita. Il quadro, rientrato dalla National Gallery di Londra e di proprietà della Banca Intesa San Paolo, ha avuto per l’occasione di questo evento, una revisione conservativa con risultati sorprendenti, che permettono di ammirarlo in un rinnovato splendore.

Venticinquesima opera della mostra – extra moenia ma visitabile durante la mostra – è il Giove, Nettuno e Plutone, unico dipinto murale eseguito da Caravaggio nel 1597 (ca) all’interno del Casino dell’Aurora, a Villa Ludovisi (Porta Pinciana) su commissione del cardinale del Monte per il soffitto del camerino in cui praticava l’alchimia. L’opera, raramente accessibile, raffigura infatti un’allegoria della triade alchemica di Paracelso: Giove, personificazione dello zolfo e dell’aria, Nettuno del mercurio e dell’acqua e Plutone del sale e della terra.

L’arte di Caravaggio ha attraversato il tempo soprattutto per il suo realismo, che si distingue dal naturalismo e si radica in quell’etica religiosa promossa da Carlo Borromeo nella diocesi lombarda. Un’etica che si concentrava sull’accettazione della dura realtà, rifiutando le convenzioni e l’ideale estetico. Caravaggio preferiva cercare il "vero", basandosi sui fatti concreti, piuttosto che sull’invenzione, aspirava ad un ideale pratico nella pittura, che si contrapponesse al valore intellettuale delle teorie, la pittura diventa un’attività morale che vuole rappresentare la realtà immergendosi in essa e vivendola. Praticando la pittura si rifà o si rivive il fatto, come oggi accade con la settima arte, la cinematografia, se ne scoprono i motivi profondi e gli esiti trascendenti.

Caravaggio approfondisce la realtà e la concentra nell’attimo preciso di vita che ritrae. I suoi protagonisti pur impersonando eroi mitologici o divini, sono uomini e donne comuni, carnefici e vittime del loro tempo come del tempo ideale del mito e del dramma che portano sulla tela. La sua pittura rivela la miseria e la brutalità del tempo, facendo emergere in maniera potente e immediata la verità del mondo segnato dalla violenza, dalle sofferenze e dalla povertà ed è questo che affascina e attrae il pubblico.

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CARAVAGGIO 2025 è un progetto delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, realizzato in collaborazione con Galleria Borghese, con il supporto della Direzione Generale Musei – Ministero della Cultura, con il sostegno del Main Partner Intesa Sanpaolo, con il supporto tecnico di Coopculture per i servizi al pubblico e di Marsilio Arte per la pubblicazione del catalogo. Urban Vision è media partner; Dimensione Suono Soft è radio partner.

Si ringraziano i prestatori che hanno reso possibile la mostra, tanto le collezioni private che hanno preferito rimanere anonime, quanto i musei pubblici e privati quali Detroit Institute of Art (Detroit, US), Kimbell Art Museum (Fort Worth, US), Metropolitan Museum of Art (New York, US), , Nelson-Atkins Museum of Art (Kansas City, US), Wadsworth Atheneum of Art (Hartford, US), .Museo Nacional Thyssen-Bornemisza (Madrid, ES), National Gallery of Ireland (Dublino, IE), Royal Collection Trust (Londra, UK) Galleria Borghese (Roma, I), Gallerie d’Italia (Napoli, I), Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti (Firenze, I), Musei Capitolini (Roma, I) Pinacoteca di Brera (Milano, I), Museo e Real Bosco di Capodimonte - Patrimonio FEC (Napoli, I),

 

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