Sansone, fotografo per scelta di vita, per necessità esistenziale, più che per necessità economica o identificazione nel mestiere, napoletano, reporter a partire dagli anni ’50, fece parte di quella “schiera romana” di fotoreporter che segnò la stagione di grande fermento culturale nell’ambito del fotogiornalismo italiano.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e organizzata da Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana di Brescia, la mostra è curata da Renato Corsini e Margherita Magnino. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.
Nel percorso espositivo si potranno ammirare le fotografie realizzate dagli anni ’50 fino alla fine degli anni ’60, in America, in Giappone e naturalmente in Italia per un totale di circa sessanta immagini in bianco e nero con stampa ai sali d’argento su carta baritata.
Nel titolo della mostra vi è il senso del lavoro del fotografo, quella libertà che fece scattare in Nicola Sansone la passione per la fotografia: la libertà del viaggio, la libertà di rispondere alla sola committenza per lui possibile, quella dell’onestà intellettuale personale e il desiderio di farsi testimonianza degli eventi. La censura dei stampa, dei responsabili delle immagini, dei capo redazione vengono dopo, operano a posteriori e si assumono la responsabilità, storica, di avere o non avere scelto in modo corretto.
Negli anni 50 e 60, Nicola Sansone è tra gli altri della “banda” della colonna romana della fotografia, contraltare di quella milanese identificata nel covo nel celebrato Bar Jamaica, entrambi espressione di un modo di interpretare il giornalismo che, come recita Uliano Lucas, “getta il proprio sguardo oltre i consueti modi di utilizzare la fotografia della stampa italiana del tempo e scopre il linguaggio delle immagini come strumento di denuncia e di libertà, di rottura e di indipendenza”.
Nicola Sansone (1921-1984), napoletano, inizia nel 1949 l’attività di fotogiornalista nella quale presto coinvolge il fratello minore Antonio. Fondano, nel 1957, con Calogero Cascio, Caio Garrubba, Franco Pinna e altri, l’agenzia Realfoto. I fratelli Sansone raccontano l’talia del dopoguerra documentando gli aspetti sociali e culturali del Paese, la permanenza delle tradizioni ma anche le trasformazioni, tra la campagna e la periferia, le borgate, i nuovi luoghi di aggregazione. Eppure non si limitano solo a questo, nel suo archivi ritroviamo i protagoni e i luoghi della scena politica: congressi, incontri, conferenze di partito.

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A Roma lavora come fotografo di scena e ritrattista a Cinecittà, realizza servizi in esclusiva su Stefania Sandrelli, Claudia Cardinale, Monica Vitti, Lucia Bosè; ritrae artisti e intellettuali come Eugenio Montale, Cesare Zavattini, Rafael Alberti. E’ un fotografo che non esclude spazi ma li amplia, compie numerosi réportage all’estero, soprattutto nei paesi del "socialismo reale", che avevano la possibilità di pubblicazione dalla stampa di impronta progressista legata alla sinistra italiana e non. Importanti i suoi servizi sui disordini in Algeria (1959) durante e dopo il processo di decolonizzazione; la movimentata scena politica dei paesi africani (è in Congo nel 1963) toccati da guerre e rivoluzioni. È incaricato di seguire le conferenze eurasiatiche di Cuba e Kartoum, la seconda conferenza dei Paesi Arabi (1969). Realizza servizi sulla vita quotidiana e politica della Cecoslovacchia, della DDR, dell’Unione Sovietica, viaggia e lavora in Irlanda, Tunisia, Turchia, Grecia. I suoi reportage vengono pubblicati sia su testate italiane che estere, come L’ Espresso, Vie Nuove, Le Ore, Il Mondo, Stern.
L’archivio, custodito dalla figlia Lea, come “un tesoro nascosto” torna alla luce nel 2020, quando Renato Corsini decide di organizzarlo e interpretarlo nell’intento di proporlo nella sua completezza per valorizzarne il valore artistico e storico del lavoro di questo fotografo sensibile e immerso nella realtà che ritrae, riportandoci le immagini di un’Italia quasi dimenticata.