Inaugurata a Roma a Palazzo Bonaparte, martedì 11 febbraio 2025, alla presenza del Presidente Mattarella e della Regina Sofia di Norvegia, la mostra di Edvard Munch (già passata a Milano con presenze record di visitatori) che celebra l’artista norvegese tanto difficile da ammirare fuori dal suo paese, dato che la quasi totalità delle sue opere sono custodite al Munch Museum di Oslo che, in questa occasione, ha acconsentito ad un prestito senza precedenti con cento capolavori tra i più iconici, come La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901), Danza sulla spiaggia (1904), nonché una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) ormai celebrata come la rappresentazione simbolica di un’epoca tragica come quella tra le due guerre mondiali.
L’esposizione Munch. Il grido interiore è stata prodotta da Arthemisia con la Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Poema, ricostruisce il percorso artistico del pittore, dagli esordi, ai temi a lui cari, fino alle ultime opere nel leitmotiv di indagare la tormentata essenza della condizione umana.
Curata da Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo dell’artista, con la collaborazione scientifica di Costantino D’Orazio, è realizzata in collaborazione col Museo MUNCH di Oslo patrocinata dal Ministero della Cultura, la Regione Lazio, il Comune di Roma – Assessorato alla Cultura, della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma e del Giubileo 2025 – Dicastero per l’Evangelizzazione.
Edvard Munch (1863-1944) è tra i principali artisti simbolisti del XIX secolo, anticipatore dell’Espressionismo, noto soprattutto per l’intensità emotiva delle sue opere. Ebbe una vita contrassegnata da tragedie personali, come la perdita della madre, della sorella e del padre e la tormentata relazione con Tulla Larsen, lutti e traumi che rappresentano quel materiale emotivo sul quale l’artista ha costruito la sua poetica che si è fusa con la passione per le energie della natura attraverso il suo talento. I volti senza sguardo che rappresenta, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, la necessità di esprimere i suoi dolori e le sue angosce trasformandoli in messaggi universali.
Sgomento, visioni, violenza emotiva diventano immagini potenti, dall’emotività a volte diretta, altre soffocata, in una ripetizione ossessiva con l’intento di riprodurre il più fedelmente possibile il forte impatto emotivo delle scene registrate nella memoria. Tra le opere più celebri L’urlo, un dipinto che è ormai diventato iconico dell’angoscia umana e del malessere interiore. Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico.
A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese, è del 1892 la sua prima personale berlinese, reputata scandalosa, tanto da venir considerato da quel momento, un’artista eversivo e maledetto, alienato dalla società. Si dedicò alla produzione di stampe sperimentando tecniche innovative e diventando molto influente in questo campo con una produttività dal ritmo serrato che lo porteranno ad un esaurimento e a ricoveri volontari nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo.
Tra il 1908 e il 1909 tra relazioni amorose dolorose, un traumatico incidente e l’alcolismo lo portarono “sull’orlo di un precipizio”, un crollo psicologico risolto con il ricovero in una clinica privata. Tornato in Norvegia e stabilitosi al mare, si dedicò ai paesaggi e al progetto di giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo, opere tra le più grandi dell’Espressionismo europeo a rappresentare il suo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo. Nel 1914 tornato a Oslo, continuerà il suo lavoro sperimentale fino alla morte nel 1944 ad un mese dal suo ottantesimo compleanno.
LA MOSTRA
Edvard Munch fu un uomo d’immagini quanto di parole, i suoi disegni sono pieni di annotazioni, aneddoti, lettere, persino una sceneggiatura per il teatro. Questa esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore, lo portarono ad indagare temi universali come quello della nascita, della morte, dell’amore; il mistero della vita, i disagi psichici dell’esistenza umana, l’instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali, il vuoto lasciato dalla morte.
La mostra ha come asse portante il ‘grido interiore’, costruito attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, uno scenario capace di toccare ed evocare le esperienze emotive e sensoriali, ritrarre quindi non la realtà ma ciò che la memoria ricorda attraverso le emozioni vissute, rappresentando nell’arte figurativa ciò che alla fine dell’Ottocento si andava sperimentando in psicologia, scienza, filosofia, relazionando ciò che l’occhio vede ed i contenuti della mente che condizionano quella vista.
Considerato precursore dell’Espressionismo e persino del Futurismo del XX secolo nella sua capacità di esplorare le forze impercettibili, tutt’oggi “parla” alle visioni interiori e alle preoccupazioni anche di noi, uomini e donne dell’età moderna. Le sue creazioni puntano a rendere visibile l’invisibile.
Nella Prima sezione – Allenare l’occhio
Munch riteneva che la mente individuale, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi dessero forma alla percezione diretta della realtà, fino a sostituirla: “Non dipingo la natura: la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto.” La sua arte si fa portavoce di un’introspezione emotiva che diventa centrale nelle sue opere, come nelle sue pitture più intense dei primi anni, come Autoritratto (1881-82), Malinconia (1900-1901) e Il circolo bohémien di Kristiania (1907). Munch è attento alle immagini, ai suoni, ai colori, persino alle vibrazioni percepibili nell’aria; è estremamente consapevole dei modi in cui le emozioni filtrano le sue esperienze del mondo, riflettendo la ricerca di Hermann von Helmholz e del filosofo William James. Nei suoi scritti annota più e più volte come la sua vista influenzi la sua esperienza sensoriale, incluso i suoni che sente e gli stati emotivi che prova, producendo capolavori come L’urlo.

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La Seconda sezione
Quando i corpi si incontrano e si separano. Nel 1890 Munch scrive il “Manifesto di Saint Cloud”, un testo poetico per chiarire le sue scelte artistiche: “Un braccio forte e nudo; un collo possente e abbronzato; una giovane donna che reclina il capo sulle curve del seno. Chiude gli occhi ed ascolta con labbra aperte e tremanti le parole che lui sussurra nei suoi capelli lunghi e sinuosi. Vorrei dar forma alla scena come vi assisto ora, ma avvolta in una foschia azzurra. Queste due persone in tale momento in cui non sono sé stesse, ma solo uno delle migliaia di anelli sessuali che concatenano ciascuna generazione all’altra. Le persone dovrebbero comprenderne la santità, la grandiosità, e togliersi il cappello come se stessero entrando in chiesa. Ne realizzerei diversi, di dipinti simili. Non sarebbero più ambienti, o uomini che leggono, o donne che lavorano a maglia a essere dipinti, ma persone in carne e ossa, che respirano e sentono, soffrono e amano...” In un’epoca di promiscuità tanto pubblica quanto privata, Munch è determinato a rendere visibile la “grandiosità della sessualità” un punto di vista avanguardistico e controverso non di rado alcune sue immagini sono state accusate di misoginia e l’artista è stato accusato di rappresentare il rapporto tra uomini e donne come una battaglia tra i sessi, mentre invece esprime empatia nei confronti di coloro, che indipendentemente dal genere, sono irretite dalla seduzione e rovinate dalla dissoluzione dell’amore.
Negli anni ‘90 del XIX secolo Munch organizza le sue immagini di desiderio erotico, risveglio sessuale e desolazione in una serie chiamata “Amore” che verrà ulteriormente sviluppata nei decenni successivi e trasformata nella serie “Il Fregio della vita”, a simboleggiare il ciclo essenziale della vita umana. In mostra sono presenti opere come Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (Fregio di Linde) del 1904 e Madonna (1895).

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La Terza sezione – Fantasmi - Dagli anni ’80 del XIX secolo, a cominciare dalla La bambina malata le opere di Munch cominciano a raccontare i suoi ricordi filtrati attraverso l’esercizio pittorico e la scrittura, un’attitudine che durerà per tutto il resto della sua vita. L’infanzia di Munch è costellata di perdite importanti: a cominciare dalla madre morta di tubercolosi quando Edvard ha appena cinque anni, poi la sorella maggiore Sophie, con cui ha un rapporto speciale, si ammala della stessa malattia un mese prima che l’artista compia tredici anni. La perdita del padre, quando il pittore si trova in Francia, e poi del fratello Peter Andreas ad appena trent’anni, negli anni ‘90 del XIX secolo sono esperienze di lutto che diverranno tra i più toccanti indagati da Munch.
Nei paesi nordici, erano comuni le raffigurazioni sentimentali della malattia, Munch le rappresenta con una carica drammatica d’angoscia, quella che si prova nel guardare qualcuno morire, la lotta con la paura della morte che affrontano i malati. Sono immagini di allucinazioni, ombre che si allungano dietro alle figure, rivoli di colore che evocano la dissoluzione dei corpi, a suggerire come un malato fa esperienza del mondo. L’atto di richiamare alla memoria quelle sofferenze gli permette di liberarsi dei dettagli superflui e connettersi invece con i momenti più significativi e importanti del suo passato, quasi una regressione psicologica attraverso le immagini rappresentate, un diario psicologico andare alla ricerca di quei fantasmi, come accade per la realizzazione della scenografia per la rappresentazione berlinese proprio dell’opera Spettri di Henrik Ibsen. Qui possiamo ammirare opere celeberrime, come Sera. Malinconia (1891), Disperazione (1894) L’urlo (1895), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893).

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Quarta sezione – Munch in Italia. Il suo primo viaggio nella Penisola risale al 1899, assieme all’amata Tulla Larsen, il viaggio è un disastro, a Firenze tra malattia, alcol, litigi vede la separazione dei due. A quel punto Munch si dirige a Roma, dove si confronta con la tradizione italiana. Questa nuova fase, in parte ispirata dall’arte di Raffaello, include l’elaborazione del suo Fregio della vita in un allestimento architettonico narrativo, ma anche gli altri dipinti monumentali devono un tributo al Rinascimento Italiano. Il pittore tornerà in Italia nel 1922 trascorrendo un intero giorno ad esplorare la Basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Nel 1927 passa un mese a Roma, cercando l’ispirazione tra i tesori di Roma: “Dato che sto lavorando con i grandi formati, per me è fondamentale poter ammirare gli affreschi di Michelangelo e Raffaello” scrive. Durante la sua permanenza, si reca in pellegrinaggio al Cimitero Acattolico per visitare la tomba dello zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia che morì a Roma lo stesso anno della nascita di Edvard e che fu tra i primi acattolici a poter accedere all’archivio Vaticano.
Quinta sezione – L’universo invisibile Per Munch la Terra è un elemento dotato di coscienza e respiro, come molti intellettuali del suo tempo, egli segue il dibattito sul rapporto tra scienza, tecnologia, religione e misticismo. Un collega riporterà la sua affermazione più incisiva in merito: “La terra è un gigantesco atomo vivente…Ha pensieri e una volontà; le nuvole sono il suo respiro, i temporali i suoi sbuffi profondi, la lava rovente il suo sangue brillante. Perché, allora, non dovrebbe anche il Sole avere una volontà, grazie a cui irradia la luce di cui è ricco in tutto lo spazio? Tutto ha vita e volontà e movimento, le rocce e i cristalli quanto i pianeti.” Attratto dal monismo, secondo cui la mente e la materia, le forze invisibili e il mondo materiale convergono, il cui promotore Ernst Haeckel, scienziato tedesco specializzato in anatomia comparata e tra i primi promotori del Darwinismo in Europa; la considerava la forza di cui è permeato l’universo, capace di animare i rapporti evolutivi tra esseri viventi e materia inanimata. Una cosmologia personale modellata sull’idea che l’ambiente fisico e i corpi delle creature agiscano gli uni sugli altri, permettendo alle energie invisibili (come le radiazioni solari, l’elettromagnetismo, la telepatia, la crescita cellulare) di interagire con il mondo visibile. Qui troviamo Uomini che fanno il bagno (1913-1915), Onde (1908) e Il falciatore (1917).
Sesta sezione – Di fronte allo specchio (Autoritratto) Munch fu un prolifico creatore di autoritratti, proprio come Rembrandt e Picasso, il soggetto offriva al pittore la possibilità di esplorare l’espressione, la postura, i piani di luce e ombra e altre caratteristiche del soggetto umano grazie al modello sempre disponibile e a basso costo: sé stesso. Oltretutto gli autoritratti possono essere veicolo di auto-invenzione ed espressione d’identità artistica, Munch esplora questa dimensione teatrale con capacità eccezionale. L’artista posa con originalità davanti allo specchio, come fosse un oggetto di scena che può assumere il ruolo di diversi personaggi: la litografia del 1895 paragona l’artista ad uno spettro simbolista, come se stesse osservando il mondo da una lapide, con la testa immersa nel vuoto, incorniciata da un’iscrizione e da un braccio scheletrico. Nel 1903 il pittore inserisce il suo corpo nudo tra le fiamme dell’Inferno. I suoi autoritratti sono alternati con altri suoi temi, che di volta in volta sceglie per condividere il suo stato psicologico. Con la pittura allo stesso tempo, Munch tiene traccia del suo invecchiare, degli effetti del passare del tempo, ne Il viandante notturno (1923-24) raffigura l’artista che sbircia da un lato della composizione, come una vittima dell’insonnia che vaga tra le stanze della propria casa. Nell’ Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940-1943) si ritrae a settant’anni con le sue mani prolifiche penzolanti e inerti ai lati del corpo. In tal senso lo specchio è uno strumento molto peculiare, suo complice durante i tentativi di auto-invenzione.
Settima sezione – L’eredità di Munch. Durante tutta la sua carriera, Munch è stato un grande sperimentatore che ha saputo fondere diverse e numerose forme di creatività: dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia, mantenendo una straordinaria coerenza ed un potere evocativo che ancora oggi è estremamente contemporaneo. L’esposizione ci permette di rileggere attraverso le sue precise scelte compositive, l’immaginario disturbante, inquieto, eppure seducente, i paesaggi accomunati dalla sua personale e innovativa costruzione dello spazio, che utilizza una prospettiva irregolare, definita spesso da un elemento architettonico che cattura il nostro sguardo all’interno del quadro. Accade con la balaustra nel dipinto Donna sui gradini della veranda (1942), con il viale nel Muro di casa al chiaro di luna (1922-1924) o con la staccionata ne Le ragazze sul ponte (1927). Elementi che invitano lo sguardo ad entrare nella scena, a partecipare con coinvolgimento all’emozione ritratta.

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Munch studiò la tradizione rinascimentale italiana, assorbì il Post impressionismo di Cézanne, Gaugin e Van Gogh, interagì con gli Espressionisti, il suo maggior merito è nella capacità di trovare un linguaggio personale, applicando con una certa libertà collaudata regole geometriche inedite, nelle quali il colore, steso in campiture ampie e decise, assume un potere straordinario.
La sua ricerca, non del tutto chiarita, fu la premessa per la nascita di quelle Avanguardie che nel XX Secolo porteranno gli artisti a cercare soluzioni sempre più radicali, non apprezzate dal pubblico nell’immediato, ma destinate a definire il nostro immaginario e diventare gli strumenti migliori per raccontare le nostre emozioni più profonde.
L’esposizione è un’occasione che non può essere persa.

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