Ogni anno, il 7 febbraio, si celebra la Giornata mondiale contro bullismo e cyberbullismo con l’obiettivo di sensibilizzare giovani e adulti su un fenomeno crescente e preoccupante. L’istituzione di una giornata mondiale su tale problema nel 2017 intendeva sollecitare l’intera società a riflettere e cercare soluzioni contro ogni forma di bullismo, un comportamento violento, che può essere fisico ma anche verbale, intenzionale e prolungato nel tempo, esercitato con la precisa volontà di nuocere ad un’altra persona, scelta come vittima. E quando il bullismo avviene via social con chat e foto che offendono o deridono ecco che il bullismo diventa cyberbullismo che ancor più mina l’autostima e causa gravi danni a livello psicologico.
Anche in Italia la giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo è stata istituita dal MIUR (Ministero dell’istruzione, università e ricerca) in concomitanza con il Safer Internet Day (la giornata mondiale per la sicurezza in rete), ponendosi come obiettivo quello di sensibilizzare la società su questo importante tema. Un nodo blu è stato scelto come simbolo per evidenziare che per riuscire a sradicare questo fenomeno è necessaria la collaborazione di tutti. In effetti “Il Nodo Blu – le scuole unite contro il bullismo” è un invito a tutti gli istituti scolastici ad unirsi contro tutte le forme di bullismo per non essere soli, per parlarne e denunciare i soprusi, poiché per combattere questo fenomeno occorre l’aiuto della comunità, in primo luogo quella che ha il dovere di educare.
Purtroppo il bullismo spesso conduce a gravi conseguenze, come viene evidenziato anche dal cinema. Quest’anno il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, di Margherita Ferri, ha raccontato la vera storia di Andrea Spezzacatena, quindicenne vittima di bullismo e cyberbullismo, che si tolse la vita il 20 novembre 2012.
Sulla tragica vicenda la madre Teresa Manes scrisse il libro “Andrea, oltre i pantaloni rosa” (Ed Graus) che così viene presentato: “Andrea è uno dei capitoli della mia vita, il più bello, quello la cui fine non vorrei mai leggere, ma è finito”: sono queste le parole di una madre che ha perso suo figlio (…) Fiumi di inchiostro sono stati spesi per la scomparsa del ragazzo dai pantaloni rosa. Questo è il racconto doloroso, straziante, a volte delirante ma sempre attento ad ogni sfumatura, della perdita di una madre; la ricostruzione di quegli attimi; la difesa di chi non poteva più difendersi; il tentativo di comprendere e di aiutarsi; la speranza che questo possa aiutare altri”.
Anche un secondo libro, Il ragazzo dai pantaloni rosa (Ed. Graus 2024), di Ciro Cacciola e Maria Francesca Rubino è stato utilizzato per la sceneggiatura di Roberto Proia per il film omonimo. Ecco come viene presentato: “Questo romanzo, novellizzazione della sceneggiatura scritta da Roberto Proia per l’omonimo film (…) immagina la vita di Andrea prima del suo tragico epilogo: gli anni piccoli, le vacanze, l’allegria, i giochi, gli amici, la famiglia ancora unita prima della separazione dei suoi genitori, la sua passione per la musica e per il cinema. E poi, inevitabilmente, l’adolescenza, i “pantaloni rosa”, la sua sensibilità, la spietatezza dei giovani coetanei, la persecuzione dei social network, la fine della gioia. La vicenda di Andrea ha rappresentato il primo caso in Italia di bullismo e cyberbullismo che ha portato al suicidio di un minorenne”. Come molti già sanno, il titolo del film fa riferimento al lavaggio sbagliato che trasformò in color rosa i pantaloni rossi che Teresa aveva regalato al figlio. Andrea decise di indossarli ugualmente, senza pensare al bullismo che avrebbero scatenato nei suoi compagni di scuola che arrivarono ad aprire una pagina FB intitolata “Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa”, per continuare ad offenderlo in tutti i modi possibili, finché purtroppo Andrea decise di uccidersi.
“Il film vuole invitare all’emp
atia, a mettersi nei panni degli altri. Mi auguro che riesca nell’obiettivo, che abbia un impatto sui ragazzi e sugli adulti. Perché il bullismo non è un fenomeno diffuso solo nelle scuole, tra i ragazzi. Bullismo significa anche violenza, discriminazione. E queste sono proprie di tutta la società, in particolare nel momento attuale- Ha affermato la regista- Andrea non ha condiviso il suo dolore, la sua angoscia con la famiglia, né con l’amica, spero che il film possa spingere i ragazzi che stanno vivendo questa situazione a parlarne con i genitori, gli amici, gli insegnanti, perché condividere il peso lo attenua. Andrea non l’aveva mai fatto e nel film l’ho voluto raccontare in maniera netta. Lui piano piano si allontana dalla madre, forse per proteggerla, per non darle delusioni. E così facendo si sobbarca tutto il peso della sua situazione e ne viene schiacciato”.
Per un approfondimento di tale tema, per la sottoscritta si rivelò illuminante il convegno- dibattito “Oltre il Bullismo”, organizzato anni fa dal Club Soroptimist di Napoli, con la partecipazione della dott. Amina Lucantonio, preside in pensione e allora presidente del suddetto club, la dott. Gabriella Colla e alcuni alunni di licei e scuole medie. Ricordo che A. Lucantonio definì il fenomeno come una manifestazione di una società carente di valori etici i cui veloci cambiamenti rendono ancor più difficili interventi appropriati. G. Colla, autrice del testo “Bullismo e altre sfide”, attraverso un breve excursus storico mise in evidenza che di bullismo si parlò per la prima volta in Norvegia negli anni ’70 quando fu studiato con un costante monitoraggio su scuole e alunni: “il bullo” (dall’inglese bull= toro), benché si scateni contro i più deboli con violenze fisiche e psicologiche, è in realtà a sua volta un debole che maschera i suoi gravi problemi esistenziali con l’aggressività. Oggi purtroppo alle manifestazioni tradizionali si sono unite quelle di tipo informatico, cioè il cosiddetto “cyberbullismo”, esercitato attraverso cellulari e social network.
Ai giovani fu poi rivolta la domanda “che cos’è secondo voi il bullismo?” ed essi individuarono alcune significative definizioni, come “prevaricazione, vessazione, ignoranza, protagonismo”, raccontando alcuni episodi accaduti ai loro amici e mettendo in rilievo la presenza del “mobbing” nelle loro scuole, termine di solito riferito al mondo lavorativo, può essere usato oggi anche per definire una forma sottile di “scherno” esercitata da un gruppo su ragazzi più fragili. Citando il testo “Volevano uccidere la mia anima” di M. Cappelletti, uno degli alunni asserì che il mobbing non è meno grave del bullismo, poiché può condurre anche al suicidio e concluse il suo intervento evidenziando tra le principali cause i cattivi esempi dei genitori e la violenza della società in cui viviamo. Alla domanda “come si può combattere tutto ciò?” , i ragazzi risposero che la lotta è possibile evitando una deleteria omertà con la coraggiosa denuncia dei colpevoli, mentre la dott. Colla sottolineò che a ciò va aggiunta una specifica preparazione dei docenti per ben operare sul campo, nonché una proficua collaborazione tra scuola, famiglia e le organizzazioni già presenti sul territorio in ogni regione.
Interessante è notare che alle stesse conclusioni giunge il testo “Bullismo e Cyberbullismo” di Alessandro Meluzzi (Ferltrinelli). Nella presentazione del libro si legge quanto segue.: “Il bullismo rappresenta una forma estrema di degenerazione nel mondo adolescenziale. Il bullo è un violento ma spesso è fragile: un ragazzo che cerca un tentativo di affermazione violenta per la compensazione di sentimenti di fragilità e inferiorità nei confronti del mondo.(…)L’amplificazione prodotta dai media e dai social network estremizza questa condizione, anche perché la dimensione degli smartphone, che diventano ricevitori e trasmettitori nello stesso istante, fa sì che la prodezza del bullo possa diventare uno spettacolo con decine di migliaia di accessi. Il bullo è la classica figura di un carnefice-vittima: un carnefice perché produce dolori e sofferenze negli altri come tutti gli psicopatici e i sociopatici, ma anche una vittima perché viene immediatamente isolato e stigmatizzato, considerato un soggetto borderline nella propria comunità sociale di riferimento di suoi pari”.
Giovanna D’Arbitrio