Complice la tumultuosità dell’adolescenza, le prime cotte e un interesse crescente per altre cose, come la lettura e il cinema d’autore. Lorenzo è l’unico a parlare la mia stessa lingua e a rompere i silenzi di lunghe giornate trascorse in casa a studiare poco e divagare molto.
Il terzo anno mi mette di fronte a una scelta, che in realtà è abbastanza obbligata. Sono alquanto insoddisfatta della scuola che frequento, del luogo in cui si trova e dei tanti compagni con scarse aspirazioni. C’è la possibilità di scegliere un altro indirizzo di studi per il triennio, è quello di programmatore informatico. Pare si studi di più e il corpo docente sia il fiore all’occhiello dell’intero istituto.
Su una classe di 26 persone siamo solo in due, io e Anna, a decidere di partecipare alle selezioni per passare al corso programmatori. Superato il test di ammissione, ci ritroviamo in III Bp, presso la sede centrale. Un vero salto di qualità sotto tutti i punti di vista: aule vere, spazi ampi, palestra e laboratorio d’informatica. Il corpo docente dell’indirizzo programmatori è giovane e motivato. Le occasionali ore scoperte sono oggetto di disputa tra gli insegnanti, che vogliono accaparrarsele per finire quello o l’altro argomento. Spesso le lezioni si protraggono oltre il regolare orario scolastico, con conseguente perdita dell’autobus per tornare a casa, ammesso che passi…
Il professore d’inglese, Michele Capone, nello spiegare gli argomenti della sua materia crea delle vere e proprie sitcom. Siccome ha molte classi, non ricorda i nostri nomi e puntualmente interroga il primo e l’ultimo studente dell’elenco alfabetico, dimenticando di annotarne il voto. Mentre con l’indice scorre i nomi sul registro, i miei compagni Arnone Maria e Vitagliano Massimo sono già in piedi.
A fine quadrimestre è cronicamente senza valutazioni e interroga a tappeto perfino nel suo orario di ricevimento dei genitori, in sala docenti. Esigente nella pronuncia, ci assegna lunghe traduzioni in alfabeto fonetico, che mi tengono sveglia fino a notte fonda. A lui devo la passione per la lingua inglese che mi porterà negli USA, circa dieci anni dopo, per scrivere e poi discutere una tesi in lingua inglese, su un argomento di diritto internazionale: The Napster case – Economic and legal aspects.
Il professore di ragioneria, Pino Tondo, vidima e numera tutte le pagine dei nostri registri di partita doppia, cosicché è impossibile strappare fogli e allo stesso modo sono vietate cancellature e scarabocchi. Alla chiusura del bilancio il pareggio è un obbligo e il falso è ancora un reato. Ogni tanto e con scarso preavviso, chiede la consegna dei registri per controllare che siano stati svolti tutti gli esercizi in maniera corretta e “pulita”. Per noi significa ore al telefono e qualche notte sugli esercizi per capire come va fatta quella scrittura di assestamento o l’altra di liquidazione periodica dell’IVA.
Le professoresse di italiano e di tecnica bancaria, Marmorale e D’Antò, sono fari della coscienza, impetuosi soffi di vento sulla brace del mio idealismo donchisciottesco. In occasione dell’omicidio di Salvatore Richiello, ragazzino di 12 anni ucciso in un agguato camorristico perché al posto sbagliato nel momento sbagliato, la professoressa D’Antò è entrata in classe con il quotidiano “Il Mattino” e gli occhi gonfi di pianto. Ci ha mostrato la sua foto e condiviso il suo dolore materno per la giovane vita spezzata in modo crudele. In classe silenzio tombale e ammirazione intrisa di lacrime. Due giorni dopo c’è la mia foto nella cronaca locale dello stesso giornale, partecipo col mio striscione a una manifestazione contro le stragi camorristiche per le vie del centro di Napoli.
I professori delle altre discipline sono più o meno allineati, la classe attenta e competitiva ad eccezione di un piccolo gruppo di compagni. Sono gli anni più belli. Quelli delle gite, delle cotte per il giovane prof. di diritto “Federfico”, delle feste dei 18 anni, delle uscite in giro per la città, degli amici per la vita: Anna e Giovanni.
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