In genere il termine competizione designava la gara, la lotta, il misurarsi con qualcuno per la conquista di un primato e, come ambito molteplice di azione interumana, essa racchiudeva i campi dello scambio amichevole, dal gioco alla competizione sportiva, ora invece troppo spesso si trasforma fenomeni di violenza e distruttività.
Edgar Morin, il grande sociologo francese, noto per le sue teorie sulla “complessità”, autore di numerosi libri, trai quali “Insegnare a vivere” e “I sette saperi” in campo educativo, di fronte alle sfide della globalizzazione, ha ipotizzato un nuovo assetto mondiale basato su solidarietà terrestre, visione unitaria di cultura e sapere, riforma di istruzione ed educazione e consequenziale necessità di educare gli stessi educatori. Secondi lui mondializzare dovrebbe significare favorire le cooperazioni economiche, sociali e culturali, senza distruggere le vitalità locali, regionali e nazionali. Insomma mirare a simbiosi culturali, capaci di unire ciò che ciascuna di esse ha di meglio, operando in tal modo una metamorfosi che miri all’unità salvando le diversità umane
Tralasciando per un attimo tali dotte definizioni e immergendoci nella vita quotidiana, possiamo costatare senz’altro che la competizione galoppante, o competitività come oggi si preferisce dire, ha raggiunto livelli stratosferici in una “lotta al coltello” soprattutto in campo lavorativo, a causa di massima deregulation nel free trade che accresce il livello di competitività internazionale. Ovviamente milioni di persone sono messe sotto pressione da tale sistema che si espande e si rafforza. La lotta per conquistarsi benessere e spazi sempre più esigui si sta impadronendo delle nostre vite in molteplici campi, favorendo comportamenti aggressivi non solo nei rapporti di lavoro, ma in tutti i rapporti umani.
“Be competitive!”, il nuovo slogan dell’economia, in effetti si sta infiltrando sottilmente anche nei processi educativi in famiglia e a scuola. Fin dalla culla i bambini sono nutriti con il latte della competizione, spinti da pressanti paragoni con questo o quel bambino, addirittura con un fratello (o sorella) “più in gamba”, poi a scuola continuano ad asfissiarli con questo o quel compagno “più brillante” negli studi.
Come madre ed insegnante, ho sempre disapprovato i metodi educativi centrati su eccesso di competizione e continui confronti tra fratelli e sorelle in famiglia o alunni di una stessa classe a scuola, preferendo puntare su collaborazione, solidarietà, aiuto reciproco, piuttosto che su comportamenti egoistici e conseguenziale crescita negativa dell’ego. In effetti credo che ogni ragazzo abbia un diverso ritmo di maturazione e crescita intellettiva, nonché spirituale.
Purtroppo oggi molti genitori chiedono ai figli di essere i più bravi sia negli studi che nello sport, di conseguenza gli stessi ragazzi sono portati a voler superare sempre gli altri e vedere anche a scuola i compagni come avversari, per cui tutto ciò genera danni a livello educativo. In molti ragazzi più sensibili messi sotto pressione, inoltre, il contesto competitivo provoca ansia e stress se non riescono a soddisfare le aspettative di genitori o insegnanti, minando così la loro autostima e spingendoli a credere di non essere abbastanza bravi per realizzare se stessi, invece di rappresentare uno stimolo.
Una volta in una classe proposi ai miei alunni di terza media di tradurre una bella poesia di Konstantin Dmitrievič Bal’mont che è in invito ad amare il sole, la Natura e a rispettare la propria anima di essere unico ed irripetibile. Eccone alcuni versi:

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Io venni al mondo per vedere il sole
e gli azzurri orizzonti.
Io venni al mondo per vedere il sole
e i bianchi monti.
Io venni al mondo per vedere il mare
e il verde oro del piano.
Più mondi in uno sguardo io so serrare:
sono un sovrano.
Io vinsi lo squallore dell’oblio
col mio incanto.
In me si cela eternamente un dio
e sempre canto (…)
Io venni al mondo per vedere il sole
e all’imbrunire
io canterò… Io canterò del sole
nell’ora di morire.
Giovanna D’Arbitrio