Una straordinaria Cristiana Capotondi porta in scena il testo scritto e diretto da Marco Bonini, un racconto di una mamma moderna lontana, che nell’addormentare la sua piccina, racconta una storia antica, una storia di donne e di necessità nella notte del 25 settembre del 1943, giorno del bombardamento di Firenze.
La storia è quella della moglie del Soprintendente di Palazzo Pitti, nonna Vittoria, che passa la notte nel rifugio improvvisato delle cantine del palazzo, per salvarsi dalle bombe degli Alleati lo stormo di 36 aerei inglesi Wellington che anziché centrare l’importante nodo ferroviario della stazione di Campo di Marte, colpisce le zone adiacenti popolose, causando molti morti.
Nel rifugio i pregiudizi e le classi sociali non esistono più e la sofisticata e schifiltosa Signora che ha deciso di allattare l’ultima figlia, si troverà costretta ad allattare i figli di quella che per i figli precedenti è stata la loro balia, creando un legame tra i due gemelli e la figlia, di fratellanza, a sottolineare che nell’incubo della guerra non ci sono né vincitori né vinti, né padroni né servi. Sarà solo la necessità a dettare le azioni e sotto le bombe nonna Vittoria sarà la balia dei vinti.
La scena è allestita con schermi bianchi, anche l’attrice, Cristiana Capotondi, è vestita di bianco come se entrambi siano un tutt’uno dove le immagini disegnate e la voce dell’attrice incarnino le emozioni profonde condivise con l’ultima generazione perché possano tradursi in un lascito della memoria emotiva.
La prova di attrice è ampiamente superata, Cristiana Capotondi passa dall’accento fiorentino a quello veneziano con maestria, saltella dalla voce delicata e forbita della padrona alla voce gutturale e popolare della serva.
