Fame
L’inizio delle scuole superiori fa da spartiacque tra un’infanzia leggera e felice e un’adolescenza burrascosa e disillusa, caratterizzata dall’infrangersi contro la realtà dei miei ideali “donchisciottiani”. Ho dovuto iscrivermi all’Istituto Tecnico Commerciale A. Torrente di Casoria per una questione di vicinanza geografica. Il concetto delle distanze nell’immaginario dei miei genitori è molto “dilatato”, complice l’inefficienza dei trasporti pubblici locali; inoltre, la mia appartenenza al genere femminile aggiunge una nota di pericolosità alla “traversata”. Infatti, mio fratello Lorenzo ha scelto liberamente di frequentare l’Istituto Tecnico Industriale A. Volta di Napoli.
Siamo alla fine degli anni Ottanta e in TV spopola la serie televisiva americana “Fame”, tradotta in italiano “Saranno famosi”, ambientata nella scuola LaGuardia High School of Music & Art and Performing Arts di New York. Grandi aule, laboratori d’arte e musica, sala da ballo, teatro, armadietti personali per gli studenti, sala mensa, professori dal grande spessore umano e disponibili verso gli studenti, amicizie vere.
Questo il “sogno americano”, mentre il biennio per le sezioni A e B, di quella che comunemente viene chiamata “ragioneria”, si svolge in due appartamenti unificati, al piano terra di un condominio molto popoloso: una stanza per ogni classe-pollaio; due bagni uno per i maschi e l’altro per le femmine; finestre con infissi antiquati senza il minimo isolamento né termico, né acustico rispetto all’esterno; cronica mancanza di carta e sapone in bagno; riscaldamenti non sempre funzionanti; sedie e banchi obsoleti e malandati; il bidello, Gaetano, quotidianamente alticcio e “rivenditore non autorizzato” di merendine e chewing gum agli studenti.
A causa della carenza di locali per accogliere i numerosi iscritti, siamo costretti a frequentare la scuola su doppi turni settimanali: antimeridiano e pomeridiano. La distanza rispetto al modello americano è sicuramente oceanica: non “Fame” da noi, ma fame nell’accezione italiana del termine. C’è però il vantaggio di poter organizzare agevolmente dei mini-party nelle ore buche. A turno, un compagno salta giù dalla finestra e compra delle patatine e una coca grande con i soldi della colletta di classe; mentre una nostra compagna che abita proprio nello stesso parco in cui si trova la scuola, va a casa a prendere lo stereo portatile e il gioco è fatto! L’età media dei professori è abbastanza alta al pari della loro demotivazione essendo prossimi alla pensione.
I compagni maschi sono goliardici e primordiali, spesso in balia delle correnti ormonali, ma nei confronti delle ragazze della classe sono totalmente insensibili, come se non appartenessero al genere femminile. Le ragazze, dal canto loro, sono continuamente a caccia di conferme della loro bellezza, desiderose di indossare indumenti griffati a ostentazione di uno status symbol non loro, acerrime nemiche nello scalare la classifica delle più carine e ancor più nel conquistare i ragazzi più grandi delle altre classi.
La mattina mi preparo in tempi record: poca scelta negli indumenti, senza make-up, zaino pronto dalla sera e colazione a giorni alterni. Gli autobus funzionano quasi regolarmente al mattino, mentre al pomeriggio le corse si dimezzano per motivazioni “occulte”. Dalle 14:10, orario di uscita dalla scuola, mi capita spesso di tornare a casa alle 15:30 o alle 16, a piedi (circa 4 km) e accecata dalla fame perché la merenda di metà mattinata non è contemplata, al pari della paghetta settimanale.
Avrei voluto frequentare il liceo classico, ma oltre alla distanza e alla pericolosità, l’altra motivazione che adducono i miei ha a che fare con la scarsa spendibilità della licenza liceale, rispetto al diploma finito degli istituti tecnici. La seconda obiezione riesco a smontarla affermando la mia volontà di frequentare l’università, ne sono convinta. La distanza Casoria-Napoli è più difficile da “accorciare” e il fatto che mio padre lavori proprio nel trasporto pubblico locale, non aiuta. Quanto alla pericolosità della metropoli, non ho esperienza a sufficienza per poterla smentire.
Nonna Luciana ormai invecchiata e zia Elena, rimasta “signorina”, si sono trasferite al piano terra dello stabile in cui abitiamo noi. La casa col cortile sterrato è stata data in affitto a un commerciante di generi alimentari, che ha rivoluzionato l’intera proprietà, rendendola irriconoscibile. Amaro addio al fienile e ai tuffi sulla paglia, al porcile trasformato in rifugio post-marachelle, al pollaio teatro di tanti inseguimenti, al forno in pietra dal buon odore di pane e alla casina degli impasti. Finiti i giochi nel cortile, le tombolate natalizie col vicinato al completo, gli impasti giganti di taralli e il profumo del limone fresco spremuto dentro la “dose” (agente lievitante), le conserve di pomodori a settembre in una catena di montaggio tutta al femminile, il richiamo di Mario il “parulano” (fruttivendolo ambulante) a cui accorrevano tutte le massaie del vicinato.
I mitici anni ’80 volgono al termine e a fare da sigla finale è la caduta del muro di Berlino, tra lacrime e abbracci dei berlinesi dell’est e dell’ovest. Per un istante siamo tutti Tedeschi, uniti, desiderosi di pace…umani. Avrei voluto essere lì per dare anch’io una picconata a quel muro “freddo” e celebrare la fine di una guerra durata 45 lunghi anni.
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