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AL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONE ULTIMO MERAVIGLIOSO MINUTO DI PIETRO RUFFO


lunedì 2 dicembre 2024 di Patrizia Cantatore

Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Al Palazzo delle Esposizioni già dal 29 ottobre 2024 e fino al 16 febbraio 2025 non dovete perdere la mostra personale incredibilmente bella di Pietro Ruffo intitolata "L’ultimo meraviglioso minuto" a cura di Sébastien Delot, direttore della collezione del Museo Nazionale Picasso di Parigi. Promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo, l’esposizione è prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo.

Si tratta della più grande mostra personale di Pietro Ruffo mai realizzata finora da un’istituzione pubblica come il bellissimo Palazzo delle Esposizioni di Roma, raccoglie lavori di natura diversa con un unico intento quello di rappresentare un lungo e articolato viaggio unitario nello spazio e nel tempo, con nel finale un omaggio alla città di Roma.

Le opere, circa 50, sono state realizzate appositamente per le quattro delle sale del piano nobile di Palazzo Esposizioni, con la volontà di servirsi dell’arte per indagare il tema estremamente attuale e discusso del rapporto tra essere umano e pianeta, partendo da un punto di vista coraggioso che vuole farci riflettere sia della "meraviglia" nella quale siamo immersi che della nostra fortuna che abbiamo a vivere sulla Terra.

Pietro Ruffo, conosciuto sia alla critica che al pubblico internazionale, va ricordato per la grande installazione alla Biennale di Venezia dal titolo L’immagine del mondo e la presenza delle sue opere in molte collezioni come quella dei Musei Vaticani, del MAXXI e della Deutsche Bank Foundation. La mostra si presenta come un viaggio che si dilata tra le dimensioni del tempo e dello spazio, invitando lo spettatore a riflettere su epoche lontane e sulla storia della Terra e dell’umanità. L’impatto visivo delle opere sul pubblico è potente, evoca immagini che trascendono il nostro conosciuto ma intrinsecamente legate a quelle reminiscenze profonde depositate in ognuno, evocando un senso di meraviglia di fronte a colori e forme nelle quali la natura durante i millenni ha plasmato la nostra esistenza.

L’esperienza di Ruffo alla Nirox Foundation rappresenta il fulcro di questo progetto. La sua amicizia con Lee Berger, un’autorità nel campo dell’antropologia e della paleontologia, lo porta a esplorare La Culla dell’Umanità, un sito paleoantropologico che si trova non distante da Johannesburg in Sudafrica, il luogo in cui è stato scoperto il primo primate della storia. Qui, Ruffo non solo si confronta con reperti e scoperte che raccontano le origini della nostra specie, ma si immerge anche in un contesto che stimola riflessioni profonde sulla nostra identità e sul nostro posto nel continuum della storia.

Ecco che allora questa diventa l’occasione per interrogarsi e confrontarsi con il passato e fare considerazioni sul futuro, dando vita ad un dialogo costante tra epoche diverse. Le opere richiamano alla memoria le esperienze umane e le trasformazioni del pianeta, invitando il visitatore a percepire il tempo non come una linea retta, ma come un insieme di cicli, relazioni e connessioni facendo della mostra non solo un’esperienza estetica ma un’opportunità di riflessione e crescita personale.

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Con la prima sala si parte da 55 milioni di anni fa, Le monde avant la création de l’homme, ripreso dal libro di Camille Flammarion, che ha come sottotitolo “origines de la terre, origines de la vie, origines de l’humanité" (1886). Una lettura che l’artista ha scoperto da adolescente e del quale riscopre non solo il valore letterario ma anche quello delle meravigliose tavole incise che mostrano come, alla fine del XIX secolo, veniva immaginato il mondo prima della ‘creazione’ dell’uomo. Ruffo disegna con una penna bic una foresta primordiale creando un immenso sipario (700 metri quadri) che accoglie i visitatori e circonda tutto il perimetro dell’ambiente (Primordial Forest), con immagini di piante e minerali, che rimandano all’epoca in cui la giungla tropicale occupava la maggior parte delle terre emerse. Taglia la sala una grande struttura autoportante (4 metri per 21) sulla quale raffigura una porzione del Grand Canyon, dipingendo con l’inchiostro su carte intelate con la tecnica del camaïeu (vari toni della stessa tinta, nell’opera la terra di Siena bruciata).

Oltre la grande struttura, il pubblico si addentra tra le tracce vegetali galleggianti come ninfee sul bianco pavimento in 21 opere circolari di diverse dimensioni, dal titolo De Hortus, in un’atmosfera cromatica di grande impatto emotivo e visivo.

Il percorso procede nell’Antropocene: l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre nel suo svolgersi ed evolversi secondo le sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche è condizionato dagli effetti dell’azione umana. Come ha scritto Rebecca Wragg Sykes, paleontoclimatologa che si è servita del ’calendario cosmico’ di Carl Sagan, nel saggio Neanderthal, vita, arte, amore e morte “Se riduciamo i 13,8 miliardi di anni dell’Universo a un periodo di dodici mesi, i dinosauri compaiono verso Natale, mentre i primi Homo sapiens arrivano solo pochi minuti prima dei fuochi d’artificio di Capodanno”.

Ed è proprio a questa manciata di ultimi minuti della storia del nostro pianeta che sono dedicate le tre sale successive, quelle in cui l’artista esplora la Terra dopo l’intervento umano cercando la “meraviglia”. Nella seconda sala i visitatori s’immergono in un archivio visivo che ripercorre simbolicamente le tappe evolutive, dai teschi dei Neanderthal di Saccopastore, alle statuette votive, primo segno del pensiero astratto su cui si basano le società, opere realizzate su carta intelata, con intagli e inchiostro di china.

Nella terza sala una video installazione, dal titolo The Planetary Garden, realizzata in collaborazione con Noruwei s’ispira all’omonimo testo del filosofo francese Gilles Clément, restituendo in forma tridimensionale il movimento, lo slittamento e il cambiamento del paesaggio nel tempo. L’ultima sala, Antropocene, raccoglie una serie di opere dedicate alla città. Come sarà stata Roma 2777 anni fa, più o meno all’epoca della sua fondazione? E prima ancora, quando giaguari e rinoceronti calpestavano quelle che oggi sono le sue strade?

Ruffo parte dalla mappe storiche della città ad opera di Giovanni Battista Nolli (1701-1756) e di Luigi Canina (1775-1856), innestando al loro interno squarci di inattesi panorami naturali, un percorso tra storia e preistoria nel territorio romano permettendo di spaziare tra le profondità marine (Antropocene 77, Rome Under the Sea), alla foresta primordiale (Antropocene 92, Rome Covered by a Primordial Forest) e poi al teatro di grandi costruzioni architettoniche (Antropocene 51, Rome Imperial Period; Antropocene 53, Rome Porta Maggiore e altre). Un mosaico sui momenti storici e sui futuri ipotizzabili, mostrando trasformazione e conseguenza di ogni intervento umano, utilizzando una tecnica ad intagli su carta intelata, disegni a penna, a olio, rilievi alla ricerca di un’armonia compositiva che traghetti verso un’osservazione profonda e meditata.

Pietro Ruffo come tutti gli artisti non mostra soluzioni, piuttosto utilizza tutti gli strumenti artistici per rompere la nostra credenza stereotipata de "il migliore dei mondi possibili", la sua arte catalizza il dibattito su temi cruciali come il cambiamento climatico, la sostenibilità e la responsabilità individuale e collettiva, denunciando le scelte distruttive che hanno portato alla crisi ambientale, proponendo una riflessione per immaginare e costruire un futuro diverso, più giusto e sostenibile.

Facciamo nostre le parole del curatore Sébastien Delot: “Per capire l’infanzia del nostro pianeta, dobbiamo guardare in profondità sotto la sua pelle. Per quanto possa sembrare strano, la Terra è molto viva. Il volto della Terra cambia nel tempo. Riscoprire questa infanzia perduta significa capire cosa è successo in profondità”. La mostra ha un catalogo a cura di Sébastien Delot, con contributi del curatore, di Guido Rebecchini, di Rebecca Wragg Sykes e di Sofia Di Gravio, edito da Drago.

L’esposizione merita una visione per le emozioni che suscita e, soprattutto, perché insieme a quella sulla Bio-diversità al piano superiore, condivide l’amore per una natura nel suo aspetto più profondo.

 

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