Nelle bellissime sale del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio ospitata la maestosa Pala Gozzi di Tiziano Vecellio (1520) insieme ad altri cinque capolavori di Olivuccio Ciccarello, Carlo Crivelli, Lorenzo Lotto e Guercino tutti provenienti dalla collezione della Pinacoteca Podesti di Ancona, opere a carattere religioso per celebrare il prossimo Giubileo.
Si tratta di cinque pale d’altare di grandi dimensioni e una straordinaria e piccola tempera su tavola che racconteranno l’importanza di questa collezione e la ricchezza della città dorica che fu Committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento.
La Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di Olivuccio Ciccarello, uno degli interpreti del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione.
Sempre di Tiziano anche la monumentale Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista indaga la tragedia e la sofferenza umana. L’ultima opera è l’imponente Immacolata di Guercino, la figura delicata della Vergine è immersa in un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona.
Queste opere, strettamente legata alla storia della città di Ancona, rappresentando un percorso di importanti contaminazioni tra correnti artistiche che hanno reso la città depositaria di assoluti capolavori tra XV e XVII secolo e saranno accolte ai Musei Capitolini per essere fruibili in un periodo in cui si stanno operando dei restauri nella Pinacoteca Modesti.
Tiziano, Lorenzo Lotto e Guercino sono autori le cui opere sono nella collezione Capitolina, all’appello mancano i cosiddetti “primitivi”, Olivuccio di Ceccarello, importantissimo autore di tardo Trecento attivo ad Ancona anche nei primi decenni del XV secolo; Carlo Crivelli, veneziano di nascita, che nelle Marche fa un percorso. Autore pressoché ignorato nelle fonti cinque e seicentesche, fu ricercatissimo anche a Roma dal Settecento.
La mostra è l’occasione per valorizzale la collezione di Ancona e restituire sia ai suoi cittadini che ai visitatori uno spaccato di quello che fu il gusto e il collezionismo nella città marchigiana con anche un riallestimento della Pinacoteca Civica Podesti, aperta nel dopoguerra dall’allora soprintendente Pietro Zampetti, con le opere che salvò dai bombardamenti uno dei protagonisti della storia della tutela, Pasquale Rotondi, eroico direttore del Palazzo Ducale di Urbino a cui si deve la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale negli anni tumultuosi del secondo conflitto mondiale.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, con il patrocinio di Giubileo 2025 - Dicastero per l’Evangelizzazione, la mostra è organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di Ancona, Ancona Cultura, Pinacoteca Civica di Ancona, Regione Marche e Palazzo Ducale di Urbino - Direzione Regionale Musei Nazionali Marche ed è curata da Luigi Gallo, Direttore della Galleria Nazionale delle Marche e da Ilaria Miarelli Mariani, Direttrice della Direzione dei Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina.
Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.
LE OPERE
TIZIANO VECELLIO
Madonna con il Bambino in gloria, i santi Francesco e Biagio e il donatore Luigi Gozzi (Pala
Gozzi), 1520
Il capolavoro di Tiziano, una delle opere più significative della sua carriera, non è solo un monumento alla maestria pittorica, ma segna anche l’ingresso del giovane artista nel prestigioso mondo delle pale d’altare. Datata e firmata, questa tela rappresenta un punto di svolta nella produzione artistica del Cinquecento, con effetti duraturi sulla storia dell’arte. Il committente Luigi Gozzi, mercante di Dubrovnik, emerge con straordinaria verità naturalistica, inginocchiato in preghiera, in una posa che non è solo devozionale personale, ma anche legame profondo con la tradizione e il territorio.
Sul fondo si staglia Venezia, immortalata con il campanile di San Marco e il Palazzo Ducale, un richiamo visivo che racconta una storia di connessione tra culture e mercati, visto che il mercante è di origini straniere, sottolineando l’universalità dell’arte di Tiziano, capace di trascendere confini geografici e culturali. San Biagio, protettore di Dubrovnik, mostra al committente l’apparizione della Vergine con il Bambino, circondata da angeli che riempiono l’atmosfera di divinità e serafica bellezza. Nel lato opposto è ritratto San Francesco, esuberante e giovanile, introduce un’ulteriore dimensione di innovazione iconografica, rompendo con le convenzioni della rappresentazione tradizionale. La composizione, con il suo ramo di fico che incornicia la veduta lagunare, è un esempio supremo di come Tiziano riesca a fondere il sacro con il vissuto quotidiano. La luce, che danza sui volti dei santi e sul profilo di Venezia, rivela la potenza espressiva e coloristica dell’artista, portando lo spettatore a sentirsi parte di quel momento di grazia. L’opera invita a riflettere su temi di salvezza e divinità, mentre il committente, inginocchiato, cerca conforto e protezione nel suo santo patrono.
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Il dipinto, dopo l’Unità d’Italia, fu trasferito nella Pinacoteca di Ancona, che porta il nome di Francesco Podesti, artista di spicco dell’Ottocento. Lo spostamento conferma l’importanza storica e culturale dell’opera, che racconta il territorio dell’Adriatico nel Rinascimento e fa da ponte tra le città di Venezia, Ancona e Ragusa, unendo storie e destini attraverso la magia della pittura.
Sul retro della tavola sono presenti degli schizzi che richiamano l’incredibile processo creativo di Tiziano e che sono ricchi di spontaneità e ci permettono di dare uno sguardo su quella che dovette essere la genesi dell’opera e la grande capacità di questo artista nel catturare l’essenza della vita e dell’arte.
Cristo crocefisso, la Vergine e i santi Domenico e Giovanni Evangelista (Crocifissione, Pala
Cornovi della Vecchia), 1558
Nel 1558, Tiziano Vecellio torna ad Ancona per realizzare la Crocifissione, nota anche come Pala Cornovi della Vecchia, commissionata da Pietro Cornovi. Questo dipinto rappresenta una nuova sfida per il maestro cadorino, che affronta il tema della Crocifissione per la prima volta, in un periodo di intensa attività creativa che lo vede impegnato anche con opere come le ’poesie’ profane e due Seppellimenti di Cristo per Filippo II, oltre all’Annunciazione per la chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli.
La Pala Cornovi si distingue per la sua ambientazione notturna e per un’approfondita riflessione su due tematiche fondamentali: l’iconografia della scena e la tecnica pittorica adottata. Tiziano sviluppa un asse verticale lungo la Croce, evidenziando in modo drammatico la sofferenza di Cristo nel registro superiore e il dolore dei tre astanti — la Vergine, San Domenico e San Giovanni — ciascuno con espressioni che rivelano sentimenti profondi e personali. L’angolo di vista scelto è estremamente ribassato, privando la scena di una netta collocazione spaziale, mentre le figure emergono eroicamente contro un cielo predominante.
Il secondo aspetto saliente è la resa della luce, ottenuta attraverso una stesura pittorica pastosa e ampia, dove le pennellate trasmettono tridimensionalità e rifrazioni luminose. L’impatto del dipinto sulla cultura visiva contemporanea è evidente nelle opere di artisti veneti come Jacopo Bassano e Paolo Veronese, ma anche nel contesto marchigiano, dove Federico Barocci, nel 1565, assimila la potenza dell’invenzione tizianesca nella sua Crocifissione. La storia della Pala Cornovi assume una piega drammatica nella notte tra il 1 e il 2 marzo 1972, quando viene trafugata dall’altare di San Domenico. Fortunatamente, viene recuperata pochi giorni dopo, grazie all’intervento di due giovani anconetani, tra cui il futuro artista Enzo Cucchi, segno di una continua vitalità culturale legata all’eredità di Tiziano.
OLIVUCCIO DI CICCARELLO
Circoncisione di Gesù Bambino, 1430 – 1439 ca
L’opera in esame, realizzata su una tavola di pioppo, si distingue per il suo forte sviluppo verticale e rappresenta probabilmente la raffigurazione centrale di un trittico. Gli scomparti laterali potrebbero coincidere con le tavole dello stesso autore conservate a Cambridge, raffiguranti “I Santi Paolo, Pietro, Giacomo e Andrea e diciotto angeli”. Questa opera proviene dalla chiesa di S. Francesco ad Alto, il primo insediamento francescano di Ancona, successivamente trasformata in presidio militare dopo l’Unità d’Italia. L’importanza della chiesa richiede ulteriori approfondimenti storici. Inserita nel nucleo storico della pinacoteca anconetana, fondata nel 1884, l’opera ha sempre trovato posto tra i capolavori esposti, eccetto un breve intervallo intorno al 1930, quando fu trasferita temporaneamente nella chiesa di S. Maria della Piazza. L’artista, attivo nel quarto decennio del Quattrocento, presenta uno stile pienamente ascrivibile al Gotico fiorito, che testimonia la sua maturità creativa. La composizione narra una scena complessa e ricca di dettagli decorativi, ambientata in un edificio religioso che mostra simultaneamente esterno e interno. L’interno è caratterizzato da tre navate sorrette da volte a crociera e numerose colonnine con vari capitelli. La scena centrale della Circoncisione si sviluppa nell’arcata principale, dove spiccano i sacerdoti e il Bambino, mentre San Giuseppe, con l’aura distintiva, osserva con rispetto.
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Un elemento intrigante è la figura femminile, che si distingue dalla Vergine per l’assenza del nimbo; essa appare anche all’inizio della narrazione, consegnando il Bambino a un astante. La ricchezza della composizione, adornata da cornici e pinnacoli, contrasta con la sobrietà dell’altare, suggerendo un gusto più arcaico, simile a quello delle tavole laterali. La Circoncisione, dunque, trova una valorizzazione significativa all’interno della Pinacoteca, collocata in una sala dedicata all’autore e accanto ad altre opere fondamentali, in un percorso che rispecchia l’evoluzione artistica del basso Medioevo.
Carlo Crivelli
Madonna col Bambino, 1480
La "Madonna col Bambino" di Carlo Crivelli è una delle opere emblematiche del suo periodo marchigiano, riflettendo non solo il talento artistico del pittore ma anche la sua capacità di integrare simbolismo e ornamenti nella sua arte. Crivelli, originario di Venezia e successivamente attivo a Zara, si distingue nel Quattrocento per una produzione artistica caratterizzata da una sintassi tardo medievale che si fonde con un linguaggio più aggiornato. L’opera si presenta con la Madonna a mezza figura, un elemento che contribuisce alla sua intimità e spiritualità. Il manto, impreziosito da foglie d’oro e adornato con perle e rubini, non solo esalta la figura sacra ma sottolinea anche la maestria tecnica dell’artista.
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La firma di Crivelli, collocata sulla balaustra, serve a legare l’opera alla tradizione della pittura veneziana, dove la firma stessa è spesso un elemento centrale. Il Bambino, delicatamente sostenuto dalla Madonna, rappresenta un altro punto cardine dell’opera. L’uso di simboli come il cardellino, che prefigura la Passione, e la noce aperta, simbolo dell’Incarnazione, rivela profondità teologica e un’intenzione narrativa che invita lo spettatore a riflettere su significati più ampi. Inoltre, l’inserimento di elementi di paesaggio e dettagli come le torri simili a minareti contribuiscono a creare un contesto spaziale che arricchisce l’opera e invita l’osservatore a esplorarne le dimensioni simboliche. Il retro della tavola, dipinto in finto porfido, è un ulteriore esempio della ricerca estetica di Crivelli, che si dimostra attento anche agli aspetti meno visibili dell’opera. In sintesi, questa tavola non è solo un’immagine sacra, ma un microcosmo di dettagli, simboli e maestria tecnica, che testimoniano il genio di Carlo Crivelli e la sua importanza nel panorama artistico del Rinascimento.
Giovan Francesco Guerrieri, detto Guercino
Immacolata Concezione, 1656
La grande pala dell’Immacolata attribuita al Guercino rappresenta un significativo esempio di come l’arte possa riflettere le dinamiche storiche e culturali del periodo in cui è stata realizzata. Commissionata dal nobile Carlo Antonio Camerata per la sua residenza ad Ancona, l’opera è testimone non solo della devozione personale del committente, ma anche di ampie tendenze artistiche che superano le rigide norme iconografiche della Controriforma. Nel dipinto, la figura della Vergine si distacca dalle convenzionali rappresentazioni, risultando più realistica e simbolica, un riflesso di un’evoluzione nella rappresentazione della sacralità che si stava affermando. La mezzaluna calpestata, simbolo tradizionale della superiorità della Vergine, suggerisce un radicamento nelle tradizioni cattoliche, mentre la luce che illumina i soggetti e l’uso di un paesaggio che include il mare di Ancona, denotano una notevole innovazione artistica da parte del Guercino.
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Si nota anche l’influenza dell’arte spagnola, riconducibile all’incontro tra Guercino e Velázquez, rivela come il contatto tra artisti possa arricchire e trasformare le pratiche artistiche. Questo scambio culturale non solo evidenzia il valore del Guercino come artista di spicco nel panorama europeo, ma suggerisce anche un contesto di apprendimento e rinnovamento all’interno dell’arte italiana. La presenza di elementi architettonici, come la torre, riflette anche un legame con le esperienze personali del pittore, rendendo l’opera non solo un ritratto sacro, ma un connubio di storia, devozione, e identità artistica.
La Pala dell’Immacolata non è solo un’opera d’arte, ma anche un importantissimo documento che illustra il dialogo tra tradizione e innovazione, l’influenza di correnti artistiche diverse e il ruolo centrale del Guercino nel contesto dell’arte barocca europea.
Lorenzo Lotto
La Vergine con il Bambino incoronata da angeli e i santi Stefano, Giovanni Evangelista, Simone Zelota e Lorenzo (Sacra conversazione, Pala dell’Alabarda), 1539 circa Capolavoro e una delle opere più significative di Lorenzo Lotto, artista del Rinascimento noto per i suoi ritratti e le sue pale d’altare di grande intensità emotiva e innovazione stilistica, la Pala dell’Alabarda fu commissionato da Simone di Giovannino Pizoni, in rapporti di parentela con Giovanni Maria Pizoni, protonotario apostolico del centro dorico per il quale, nello stesso anno, Lotto esegue un intenso ritratto (collezione Koelliker), commissionato il 1° novembre 1538 e rifiutato dal cliente a causa del prezzo troppo elevato.
Il contratto per il dipinto di sant’Agostino datato 1° agosto 1538 e destinato all’altare laterale di patronato della famiglia Pizoni, ha un’iconografia definita nei dettagli, con l’inclusione di un san Simone Zelota e un san Giovanni Evangelista, omaggio al nome del committente e di suo padre, oltre che ai santi Stefano e Lorenzo, molto venerati nella città di Ancona. Completava la tela principale una cimasa, una perduta predella raffigurante il Corteo di sant’Orsola e le undicimila vergini, e due stemmi della famiglia Pizoni, per la somma complessiva corrisposta al pittore di 80 scudi.
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I riferimenti insistiti alla violenza fisica (il martirio delle undicimila vergini, il gesto stanco con cui san Simone si appoggia all’enorme alabarda capovolta, possibile simbolo di cessata ostilità) sono stati ricollegati dalla critica ai maltrattamenti e soprusi affrontati nell’autunno del 1532, con la conquista militare della città operata da papa Clemente VII e del suo crudele emissario, il cardinale Benedetto Accolti. L’opera, dunque, potrebbe essere interpretata nel clima di rivalsa dell’orgoglio civico che, negli stessi anni, porta il ricco proprietario terriero Angelo Ferretti ad affidare ad artisti di grido come Antonio da Sangallo e Pellegrino Tibaldi l’edificazione di un nuovo, grande palazzo, “per dar speranza, e far bon animo alli suoi [concittadini] Anconitani” (Baroni 2024, pp. 22-23).
L’opera ha attraversato complesse vicende patrimoniali e conservative, sciolte solo in anni recenti nella restituzione del suo assetto originale. Vista da Vasari, nel 1568, nella chiesa di Sant’Agostino (“una tavola posta a mezzo davanti all’altare maggiore”), rimane in questa sede fino alla metà del Settecento. In seguito al rifacimento della chiesa, operato da Luigi Vanvitelli tra il 1750 e il 1764, viene incamerata tra i beni della nobile famiglia Ferretti del ramo di san Domenico, nel cui palazzo la vede il poligrafo Marcello Oretti nel 1777. Dal 1884 passa nell’appena fondata Pinacoteca Comunale di Ancona, allestita nella chiesa di San Domenico.
I restauri operati in occasione della mostra veneziana su Lotto del 1953 permettono di recuperare le misure corrette del dipinto, allungato nel registro superiore e ristretto sui lati; nel 2005, il ritrovamento della predella, raffigurante lo Spirito Santo e una gloria d’angeli, permette di ricostituire l’unità visiva dell’opera.