Una constatazione ovvia eppure agghiacciante, fatta dal poeta nel cimitero della Confraternita di Santa Maria dell’Orto.
Questa pia confraternita, formatasi nel XV secolo grazie a un gruppo di devoti di un’immagine miracolosa della Madonna dipinta sul muro di un orto trasteverino, divenne nel tempo una delle più ricche di Roma. Non è raro trovare il suo emblema (la Madonna in trono tra due cipressi) in diversi rioni romani. Possedeva infatti case e terreni anche al di fuori di Trastevere, i cui proventi servivano per la manutenzione della chiesa (le cui cappelle furono erette da corporazioni professionali quali pollaroli, fruttaroli, pizzicaroli, vermicellari e altri) e per la gestione dell’attiguo ospedale, nonché per altre iniziative umanitarie, tra cui anche quella di seppellire i morti.
- chiesa_di_s_maria_dell_orto.j
Per alcuni di questi sodalizi religiosi la sepoltura era il fine primario. Ricordiamo in particolare l’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte, fondata nel 1538, che si occupava di dare adeguata sepoltura ai morti che, come dice una targa nella chiesa omonima di via Giulia, si trovavano “in campagna”, cioè abbandonati per le strade. La finalità religiosa è sottolineata dalla parola “Orazione”, che in questo caso va intesa come preghiera per i defunti. Sembra che nelle sacre rappresentazioni che vi si tenevano, tra il Settecento e l’Ottocento, per l’ottavario dei morti, venissero usati veri cadaveri e ancora oggi nell’annesso cimitero sotterraneo rimangono le ossa dei defunti, intrecciate a formare motivi ornamentali (come nel celeberrimo Cimitero dei Cappuccini in via Veneto, riservato però, ai monaci del convento). La rilevanza sociale di quest’opera di carità è evidente dal numero di sepolti, quale si ricava dall’archivio della confraternita, che variavano da un centinaio l’anno a oltre trecento.
- decorazione_con_cranio.
Ricordiamo ancora nell’Isola Tiberina, a sinistra della chiesa di San Bartolomeo, l’oratorio della Confraternita dei devoti di Gesù Cristo al Calvario e di Maria SS. Addolorata, detta anche dei Sacconi Rossi dall’abito dei confratelli. Questo sodalizio creato nel XVII secolo si proponeva di assicurare una sepoltura cristiana agli annegati nel Tevere.
- sacconi_penitenti.j
Il cimitero, anch’esso con macabre decorazioni ossee, veniva invaso dalle acque del fiume durante le piene, non assicurando, pertanto, adeguate condizioni igieniche. In alcune chiese, poi, succedeva che alcuni fedeli svenissero per le esalazioni che provenivano dal terreno sottostante, occupato da tombe.
Fu per questi motivi che nel primo decennio del XIX secolo, in seguito all’estensione in Italia del decreto napoleonico di Saint-Cloud, si procedette alla ricerca di terreni adeguati fuori le mura per accogliere i morti della città di Roma.
Una volta individuata l’area del Verano, presso l’antica basilica patriarcale di San Lorenzo fuori le Mura, i lavori procedettero a rilento e con interruzioni varie (una tradizione che si è mantenuta nel tempo!), così che fu solo nel 1880 che il Verano assunse la sua attuale configurazione, grazie all’architetto Virginio Vespignani, sepolto poi nell’atrio dello stesso cimitero.
- ingresso_monumentale_verano
È difficile parlare della morte in un’epoca in cui essa fa tanta paura. Ma, accantonata per tutto l’anno l’inquietante immagine di “Sorella Morte corporale”, secondo l’espressione di Francesco d’Assisi, essa ritorna puntuale il 2 novembre, giorno dedicato ai defunti, da quando l’abate benedettino sant’Odilone di Cluny nel 998 volle ufficialmente dedicare un giorno alla memoria dei defunti, tradizionalmente ricordati dopo la ricorrenza di tutti i Santi. Successivamente il rito venne esteso dai monasteri cluniacensi a tutta la Chiesa cattolica.
Anche chi non ha parenti stretti da commemorare, in questo giorno non può fare a meno di pensare all’ineluttabile destino che accomuna tutti, senza distinzioni di casta, lingua o religione. È questo il momento di esorcizzare la paura e avvicinarsi al suo mistero. Anche se Roma offre diversi cimiteri (tra cui il Cimitero acattolico, addossato alla Piramide Cestia), una passeggiata nel monumentale cimitero del Verano può essere per i cattolici non solo doverosa, ma addirittura piacevole, se fatta con il giusto stato d’animo. E gli appassionati d’arte troveranno in questo luogo un museo da scoprire, oltre che un luogo della memoria, con pregevoli architetture e monumenti incorniciati da fiori e alberi. Ovviamente si tratta dei soliti cipressi cantati dal Foscolo e dal Carducci, tanto amati da Michelangelo e da Leonardo, alberi che nel loro portamento eretto sembrano ascendere verso il cielo, in contrapposizione alla discesa verticale delle radici nel terreno. Alberi che non esprimono affatto dolore e tristezza: basti pensare a molte campagne dell’Italia centrale caratterizzate da filari di cipressi lungo i crinali delle colline.
Date le dimensioni notevoli del Verano, una prima visita potrebbe limitarsi alla zona più antica. Appena superato l’atrio si apre un viale, che conduce al grande quadriportico, lungo il quale sono collocate diverse tombe ottocentesche, non di rado arricchite da sculture. Angeli oranti, putti, bambini, donne distese sul letto funebre, militari in atteggiamento eroico, artisti, musicisti sono stati raffigurati con una notevole capacità evocativa. I monumenti si rifanno ai mausolei dell’antica Roma, oppure a modelli rinascimentali, gotici e neoclassici.
Le iscrizioni, a volte declamatorie, altre volte quasi sommesse, ci informano sulla vita di personaggi famosi e persone comuni. Le immagini simboliche, spesso presenti, si rifanno al gusto aulico tipico dell’Ottocento. Non mancano, ovviamente, le raffigurazioni delle virtù, come la Carità, la Fede, la Speranza. Una enigmatica figura velata, sulla tomba Lombardi (nel quadriportico), pur portando il calice dell’Eucarestia, fa pensare a qualche antica dea. Alcune tombe ci riportano alle concezioni della borghesia del tempo. La donna, in particolare, viene vista come angelo del focolare. Prendiamo per esempio la tomba di Emilia Lombardi, realizzata dal marito Giovan Battista Lombardi, affermato scultore. È raffigurata mentre abbraccia il figlio e le parole sulla lapide confermano la sua vocazione a madre esemplare: “A XXIX anni sentendo venire la morte abbraccia il figlio con queste sante parole: «Ama il Dio, il padre e la patria»”.
Altre tombe, invece, ci colpiscono per la presenza di ritratti molto veristici che sembrano quasi colloquiare con i vivi. In un’epoca in cui non esistevano fotografie, il pittore Filippo Severati inventò una tecnica innovativa concepita per durare nel tempo.
- severati-autoritratto_
A partire dal 1863 ci ha lasciato circa 250 ritratti eseguiti a smalto su lava. Il segreto del suo procedimento si era perso, finché nel 1983 qualcuno ha trovato la formula nell’Archivio di Stato. Ovviamente anche la sua tomba è caratterizzata dalla sua immagine autografa che lo raffigura con il pennello in mano. Ha un’aria sapiente che sembra dire con gli occhi: “Non omnis moriar” (non morrò del tutto). Un motto oraziano che vuole ribadire l’attaccamento alla vita e il desiderio di superare la morte attraverso un continuo dialogo con i vivi.