Il Tribunale di Taranto, su ricorso del sindaco della cittadina pugliese, ha bloccato l’uscita per la piattaforma italiana e per il momento non potrà essere vista se non dall’estero. E’ un vero peccato che speriamo possa essere corretto perché la serie è meritevole di una visione per la ricostruzione intelligente della vicenda.
La serie racconta la storia della ragazzina quindicenne Sarah Scazzi che il 26 agosto del 2010, ad Avetrana, un paese sul mare in provincia di Taranto, scompare in pieno giorno, era in procinto di raggiungere un’amica e la cugina per passare un pomeriggio al mare. Il paese è in subbuglio, soprattutto la cugina, Sabrina, che nella sua casa di via Deledda, proprio quel pomeriggio, l’aspettava per andare al mare. Appare all’inizio come la fuga innocente di un’adolescente, si scoprirà presto che non lo è, la giovane infatti, scomparirà nel nulla e solo dopo più di un mese di ricerche, il corpo della ragazza sarà ritrovato in fondo ad un pozzo in campagna, così come indicato dallo zio Michele Misseri. Uno dei casi mediatici che hanno sconvolto l’Italia diventa una serie tv in 4 episodi, diretti con stile scarno ed efficace da Pippo Mezzapesa (Il bene mio, Ti mangio il cuore), anche sceneggiatore con Antonella Gaeta e Davide Serino. Ogni episodio è narrato dal punto di vista di uno dei.
Il delitto di Avetrana viene narrato in 4 episodi di 60 minuti dai protagonisti della storia: Sarah, Sabrina, Michele, Cosima, un racconto a più voci su uno dei casi più noti e controversi di cronaca nera italiana. La scelta narrativa a più voci, è il tentativo di capire che ogni persona ha motivazioni profonde e condizionamenti culturali, dimostrandoci che gli eventi drammatici non sono mai l’effetto di una solo sciagurata decisione ma la conseguenza di un clima che si crea attorno alla vittima e alle persone coinvolte.
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Questa non è solo una tragedia per la famiglia di Sarah, ma è il fallimento di una comunità, delle sue regole, delle sue fragilità. In senso allargato è il fallimento della società che non riesce ad essere comunità protettiva ma diventa un luogo di scontro che trascina verso un baratro i più fragili, sfruttandone la tragica parabola in uno show senza fine, dove tutti lucrano: dalle trasmissioni di intrattenimento ai giornalisti di cronaca che occupano la cittadina con dirette continue, dalla morbosità del pubblico che finisce per visitare i luoghi della vicenda in una ricostruzione macabra; alla cittadina che diventa la meta di questa curiosità morbosa. Bravissimi gli attori, Giulia Perulli nei panni di Sabrina Misseri è più che convincente, straordinaria Vanessa Scalera, irriconoscibile, interpreta Cosima; Paolo De Vita è convincente e centrato nel ruolo dello zio Michele, Imma Villa è Concetta Serrano, Federica Pala è Sarah Scazzi; Anna Ferzetti interpreta la giornalista Daniela, Giancarlo Commare è Ivano e Antonio Gerardi interpreta il Maresciallo Persichella, il primo a seguire le indagini.
Come ha spiegato il regista Pippo Mezzapesa, il caso Avetrana è di particolare complessità e per raccontarlo era importante prendere le distanze dalla pura realtà processuale e inoltrarsi in una dimensione di immaginazione e di analisi psicologica libera. Analizzare il punto di vista dei carnefici e della vittima significa mettere sotto una lente di ingrandimento che attraverso le inquadrature e le scelte di regia approfondisse i moventi e i caratteri. Le immagini diventano mosse, leggere e incostanti nel descrivere la leggerezza adolescente di Sarah; mutano in frenetiche e penetranti seguendo il vigore fragile di Sabrina ottenebrata dall’improvviso abbaglio del circo mediatico e nel suo tormento interiore; diventano incombenti e sembrano voler schiacciare alla sua responsabilità lo zio Michele e il suo dramma interiore vissuto nell’oppressione della condanna divina; rallentano seguendo e sottolineando la posa severa, solida e indubitabile di Cosima, zia, sorella, madre, il cui unico estremo tentativo è come per ogni madre, salvare la figlia.