Come scrive nelle sue note Alessandro Gassmann, “Franz Kafka nei suoi racconti, ma come in tutto quello che ha scritto, sorprende, lavora sulla parte profonda di noi stessi, sempre con una visione personale, riconoscibile, inimitabile.
Nei due racconti che ho scelto, “Una relazione accademica” e “La tana”, descrive due umanità “disumanizzate”. Se nella relazione presenta una scimmia divenuta uomo, che descrive questa sua “metamorfosi”, nella tana parla di un uomo che, terrorizzato da ciò che non conosce, vive come un animale sotterraneo, in attesa di un nemico del quale è terrorizzato appunto, ma del quale sa molto poco. Penso sia il momento giusto per ridare la parola a questo gigante del teatro e della letteratura, proprio oggi, quando molte delle paure da lui raccontate, trovano posto nella realtà che viviamo…”
Il primo, è la storia di una scimmia catturata dagli uomini nella giungla e chiamata poi Pietro il Rosso, “un nomignolo ripugnante e assolutamente inesatto” sottolinea lui stesso, dato dalla cicatrice rossa prodotta da un colpo di pallottola sulla guancia. La scimmia è un essere tra due mondi, che sta parlando davanti all’Accademia anche se lui stesso afferma di non amare il contatto con gli esseri umani. L’umanità che è stato costretto ad indossare, per sopravvivenza ad una situazione che non ne aveva, è il motivo della sua trasformazione. È un fenomeno da baraccone questa scimmia vestita come un uomo, si muove come un essere umano, ha rinunciato alla sua naturalità di bestia e ci mostra un punto di vista sulla nostra condizione di esseri umani, costretti a educarci secondo le regole della società. L’animale è molto più simile a noi di quanto non sembri.
Ci racconta che: “a tarda notte torno a casa, dopo banchetti, riunioni scientifiche, cordiali trattenimenti con amici, me la spasso con una piccola scimpanzé alla maniera delle scimmie”. La scimmia ha imparato a fare l’uomo, ha ingoiato la grappa che odia che non ha per lui alcun senso, ha imparato a parlare, a pensare, ad avere un Io e si stupisce di non sopportare di vedere alla luce del sole lo sguardo della compagna scimmiesca, “……ha negli occhi lo sguardo spiritato degli animali ammaestrati; io solo me ne accorgo e non lo posso sopportare”; ormai umanizzato, vede riflesso negli occhi di lei sé stesso, piegato dalla maschera umana che ha accettato di indossare e che lo rende, al contrario, sempre più disumanizzato e tra due mondi nei quali, ormai, non si riconosce.
«Ho assestato la tana e pare riuscita bene» è così che inizia il racconto, scritto da Franz Kafka nell’inverno tra il 1923 e il 1924 a Berlino, sei mesi prima di morire. Il protagonista del racconto è un incrocio tra un roditore e un architetto, costruisce una splendida dimora sotterranea in cui vivere in totale sicurezza, lontano dal mondo esterno. La scenografia è una collina piena di aperture dal quale sbuca in continuazione il protagonista, dopo ogni scavo a cui si dedica con pazienza certosina, scavando e puntellando cunicoli labirintici, rotatorie, gallerie, piazze, uscite di sicurezza, ampi spazi per le provviste. Si allontana solo per rifornirsi di cibo, «quanto basta ad una modesta sussistenza e senza lasciare soprattutto la mia tana».
È preoccupato di incontrare altri animali, esseri che sente come nemici, è prigioniero della sua paura, non capisce come si possa desiderare di vivere in quella che considera un’ «Assurda libertà», vive rinchiuso nel dedalo di strade del suo nascondiglio, la sua vita solitaria da diffidente si è trasformata in una vera ossessione paranoica. L’uomo-talpa passa il suo tempo a controllare l’ingresso della sua tana, a sorvegliarne il perimetro, ispezionarne i corridoi, fortificarne le vie di fuga. Le strategie di sicurezza anziché rassicurarlo lo rendono sempre più insicuro e la paura si trasforma in angoscia. Non era poi tanto tempo fa che abbiamo vissuto dei sentimenti simili a quelli del protagonista della tana, che abbiamo alzato un muro difensivo contro il nemico invisibile che sia un virus o un essere umano diverso da noi, ogni volta che i media, la propaganda politica o semplicemente la paura del non conosciuto vengono alimentate, scatta questa “sindrome della tana” che ci isola dal resto del mondo, che ci fa credere che basta chiudere le frontiere nazionali, rinunciare ad un mondo libero sia la soluzione. Il protagonista de
La tana è ancora paralizzato sulla soglia mentre «Tutto invece è rimasto immutato…» conclude Kafka che lascia a noi decidere come chiudere la storia ed evitare che la tana diventi la nostra prigione.
Giorgio Pasotti stupisce per la capacità di calarsi nelle fattezze sgraziate della scimmia, come nel personaggio paranoico de La tana, Gassmann ha dichiarato di averlo scelto sia per la stima che ha nei suoi confronti che per la sua interpretazione dei personaggi, dimostrando una maturità artistica e una volontà di sperimentare un autore poco rappresentato. Uno spettacolo coinvolgente che risveglia emozioni profonde.
GIORGIO PASOTTI RACCONTI DISUMANI
da Franz Kafka
adattamento Emanuele Maria Basso
musiche Pivio e Aldo De Scalzi
scene Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
light designer Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
aiuto regia Gaia Benassi
sound designer Massimiliano Tettoni
trucco Serena De Pascali
musicisti
Aldo De Scalzi synth, chitarra acustica
Pivio synth, percussioni
Luca Cresta piano, fisarmonica,
Claudio Pacini synth, percussioni cromatiche
Edmondo Romano clarinetto
Daniele Guerci violino, viola
Arianna Menesini violoncello
Dado Sezzi percussioni
uno spettacolo di ALESSANDRO GASSMANN