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RACCONTO NEFANDO

di Andrea Forte e Vivi Lombroso
venerdì 25 novembre 2022

Argomenti: Racconti, Romanzi


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Questa è una storia cretina, per vari ordini di motivi. Cretina perché è una storia “romantica” della peggiore specie. Cretina perché decisamente inverificabile; perché infetta di sporco maschilismo, e così via… Quindi non perdete tempo a leggerla. Noi l’abbiamo scritta per chi ama le cose trucide, e gliela offriamo senza il minimo senso di pudore letterario. Ma non è il vostro caso.

In pratica accadde che un pomeriggio si mettesse a piovere, e pertanto un passante entrasse in un portone per ripararsi (come avviene nelle migliori canzonette primi 900 e romanzi fine 800). Banale, direte voi. Certo, ma un’inezia meno banale era l’individuo, o forse così sembrava per il fatto di essere vestito tutto di nero. Comunque sia, costui entrò, sbirciò una mendicante che già stava lì, e si mise alquanto dentro l’arco del portone perché c’era il vento che vi spruzzava l’acqua dentro.

Guardava la pioggia, costui… come fosse un po’ incantato: o forse si annoiava e basta. Passò del tempo. Le solite machine sprizzanti, i soliti ombrelli lustri, la luce vivida del neon, il mormorio della pioggia per strada. Passò del tempo. Ad un certo punto la mendicante disse: piove molto senza nemmeno girare la testa, forse un po’ seccato costui rispose: “vero”. Non smetterà presto soggiunse quella. E come prima, lei di rimando bè, non mi era mai capitato di dire due verità di seguito ! Al che lui stranamente girò di scatto la testa fissandola. La mendicante a propria volta lo fissò, e trascorsero così alcuni istanti. Mi dai qualcosa? Interruppe lei. “No” rispose lui, rimettendosi a guardare la pioggia. Ma pioveva a dirotto, e l’acqua che cadeva costituiva un qualcosa come fosse una superficie riflettente sudicia. E da quella sorta di specchio sorse un’immagine, i vaghi lineamenti di una passata bellezza, l’alone di un’antica nobiltà, il brillìo di una superbia giustificata.

Tutto questo non c’entrava con la mendicante, ovviamente. La quale nel frattempo si era discostata dal suo mucchio di scatole incordate e sacchetti di plastica, e stava per poggiargli una mano sul braccio. “Non mi toccare” disse quello con cattiveria, ma il tono della sua stessa voce scatenò l’ondata di ricordi. La donna comunque si era ritratta, e tornata al mucchio dei suoi ingombri.

Perché non me ne vado ? pensò l’uomo. Mi sto rendendo ridicolo. Si trattava di banali coincidenze. Ma troppo intensa era la percezione di rivivere esattamente e no allo stesso tempo quello che era accaduto tanti anni prima… quando era entrato in un portone come quello per ripararsi, e dentro c’era già una giovanissima donna, e lui ad un certo punto aveva detto “piove molto”, e lei senza nemmeno girare la testa aveva risposto “vero”, e lui aveva soggiunto “non smetterà presto”, e lei aveva risposto ”vero”, e lui di rimando “bè non mi era mai capitato di dire due verità di seguito !”, al che lei aveva girato di scatto la testa fissandolo, e poi si era messa a ridere, e poi si erano messi a conversare, e poi si erano dati un appuntamento, e poi… e poi… e poi… sino ad oggi, dove tutto era lo stesso e tutto era alla rovescia, dove sembrava che due universi si intersecassero vicendevolmente.

La mendicante taceva. E lui ricordava. Ricordava l’amore e l’odio per quella donna inconsueta e tremenda. Ricordava tutte le volte che le aveva detto “non avrò pace finché non vedrò la tua mente distrutta, non ti vedrò vagare per le strade trascinando involti pieni di immondizia”.

Perché non me ne vado ? La pioggia era cessata, ma lui non si muoveva: la storia non era ancora finita. La mendicante sembrava attendere, ma forse –molto più semplicemente- non aveva alcun motivo per muoversi.

“Come ti chiami ?” Non lo so. Chiamami come ti pare, basta che mi dai qualcosa quella rispose. La carogna di sempre lui pensò. Allora si girò, e le si avvicinò fissandola. E lentissimamente da sotto il sudiciume, le rughe, la pelle guasta… presero ad emergere i lineamenti della passata bellezza, l’alone dell’antica nobiltà. No, non poteva essere… lei lo guardava idiotamente, era veramente ebete.

Solo che ad un certo punto colse in fondo in fondo agli occhi per un attimo il brillìo della superbia giustificata, quel brillìo inconfondibile e ben noto, ove tante volte si erano incontrati, nei momenti di maggiore amore e di maggiore odio. Per un istante lei sembrò riconoscerlo, ma il guizzo si spense subito.

Lui la chiamò, muovendo solo le labbra, ma non si udì alcun suono. Lei portò una mano all’orecchio: come ? non ho capito niente. Lui staccò lo sguardo, girò su stesso, e se ne andò. Non pioveva più, ma si era alzato il vento.