Messapia
La comune definizione dei “Messapi” come “il popolo in mezzo ai due Mari” non è l’etimologia corretta.
Osserva infatti Luciana Aigner Foresti che “..i Greci dettero ai Messapi un nome a loro già noto e diffuso in Grecia. Sia in Beozia che in Macedonia esisteva, infatti, un monte di nome Messapion e in Laconia un abitato, Μεσσαπέαι, in cui si venerava Zeus Messapeeus”.
Da parte sua Tucidide sembra conoscere i Messapi, Μεσσάπιοι, che abitavano la Locride al tempo della guerra del Peloponneso.”
Per quanto riguarda la Messapia preromana iniziamo la visita dal Parco Archeologico di Cavallino, affacciandoci sul “balcone sulla storia” (come simpaticamente lo definisce il Prof. F. D’Andria): un grande e singolare terrazzamento in carpenteria metallica che serve da ingresso-vista al complesso.
Il Parco, dopo un attento lavoro di recupero e restauro dei resti di dimore e tombe, canalizzazione e cisterne delle acque, strade e monumenti, costituisce un particolare esempio di Museo Diffuso di testimonianze archeologiche dell’ insediamento messapico di età arcaica.
Oltre le più note, Brindisi e Oria, Cavallino assieme ad Ugento può essere considerato una delle città-stato del periodo per l’estesione dell’area abitata.
E’ confermato che nel VII e VI secolo a. C. si realizzarono nel sito costruzioni monumentali ed abitazioni a più vani con strade disposte in rispetto di un piano urbanistico, quali i fondi Pero e Sentina. Lo sviluppo della città avrebbe richiesto opere di difesa già nel VI secolo a. C. . È documentato nel IV secolo a. C., un primo fossato e una cinta fortificatoria., superiore ai tre Km per un’area di circa 70 ettari.
L’ archeologo C. Notario pone in evidenza l’importanza dell’area essendo “... visibili le fondazioni delle case fatte con grossi blocchi calcarei informi e l’elevato, costituito di pietre più grosse tenute insieme dal bolo, una terra argillosa che funge da collante”.
Le indagini archeologiche hanno rilevato tracce di interventi distruttivi, quali estese aree di incendi, abbattimento delle mura, riempitura delle cisterne con pietre tali da renderle inutilizzabili, che resero il sito mai più abitato, probabilmente a seguito di scontri violenti avvenuti a suo tempo tra Messapi-Iapigi e Tarantini. La data di tali eventi sarebbe riportato da Diodoro al primo quarto del V secolo a. C., anche se le stesse lotte fra Iapigi e Tarantini sono indicate per il 473 - 472 a. C..
- Vista dal balcone Sito archeologico VI sec. aC
L’itinerario archeologico inizia dal “balcone” con vista del Fondo Casino e della strada, con pavimentazione in pietra fine realizzata, nel VI-V sec. a. C.
La visita dei vari ambienti custoditi nel Museo Diffuso si sviluppa nell’ampia area su un lungo percorso con l’indispensabile ed utile ausilio di leggii, ma mi limito a riportare solo alcune immagini che possano far rivivere questa città-stato della Messapia preromana.
La “cupa” è un termine d’uso del dialetto salentino per indicare qualcosa di incassato, affondato, concavo ed è adattato anche per individuare un ristagno d’acqua. In questo particolare museo la Cupa è una grande depressione naturale del terreno (sicuramente una cavità dolinare) utilizzata per convogliare e raccogliere l’acqua. Si rilevano quindi una cisterna ed un canale di adduzione dell’acqua del VI sec. A. C..
- Cisterna e canale dell’acqua VI sec aC
- Tomba ipogea IV -III sce. a. C.
Nel Fondo Sentina, a circa 30 metri dalla cavità Cupa, è stato scoperta nel settembre 1967 una tomba ipogea a due camere del IV-III sec. a. C. con un modesto corredo.
Il tipo di tomba richiama l’architettura degli ipogei apuli, anche se non sono state rilevati tracce di elementi decorativi, sia all’esterno che nell’interno delle pareti, tipiche di queste tombe, probabilmente perduti per le condizioni di conservazione del sito. E’ stato osservato che le tombe ad ipogeo in Apulia, con la decorazione di pitture parietali, possa trovare un riscontro con la tipologia delle tombe a camera macedoni.
Il Fondo Mbrufico con le casette di “trulli” in pietra secca ci riporta quasi ai tempi nostri del XVIII-XIX secolo.
- Trullo Fondo Mbrufico
Casaranello
L’itinerario continua a sud di Lecce verso lu capu di Leuca facendo sosta al casale di Casaranello, l’antico Casaranum parvum, come risulta da un documento dei Registri Angioini del 1271 per distinguerlo dal vicino nucleo urbano Casaranum magnum.
Le origini romane del sito non risultano definite, ma due epigrafi del I sec. d. C. rinvenute nella chiesa di Santa Maria della Croce hanno confermato l’esistenza nella zona limitrofa di un villaggio (praedium rusticum) di età tarda romana.
- Chiesa di Santa Maria della Croce
La chiesa, eretta alla metà del V sec. d. C., è uno degli edifici di culto paleocristiano più significativo della Terra d’Otranto per il bellissimo mosaico parietale paleocristiano e i particolari affreschi bizantini (sec. XI e XIV) e gotici (sec.XIII).
L’edificio originario è sostanzialmente ben conservato, compresa la facciata e l’articolazione interna in tre navate; la copertura a volta a botte dovrebbe essere stata realizzata nell’alto medioevo, in sostituzione dei tetti a capriate lignee, con doppia falda, in uso in epoca paleocristiana nella Terra d’ Otranto.
La descrizione del mosaico paleocristiano che ho trovato nel sitoweb della Chiesa (che invito a visitare per la completezza storica e per una più completa documentazione iconografica) mi sembra la più appropriata per dare ai lettori di questo articolo un “assaggio” di questa meraviglia.
Infatti come riporta Gino Pisanò studioso e letterarato casaranese per chi “ ….varca la soglia del piccolo portale, la sorpresa,….. si fa stupore, ammirazione, spettacolo”.
“ L’intero vano absidale e la cupoletta del presbiterio, priva di opaion [1], presentavano, all’origine, un unico grande mosaico.
- Abside e cupola Mosaici paleocristiani 450 d.C.
Esso, parzialmente sopravvissuto, è costituito da splendide cromìe che danno vita, nella zona absidale, a motivi figurali connotati da elementi zoomorfi e fitomorfi (animali e piante), simmetricamente disposti in riquadri geometrici separati da festoni policromi intrecciati e da un’ampia campitura, sita in chiave di volta, costituita dall’insieme di tessere cromatiche, sovrapposte, a coda di pavone, uccello simbolo della divina regalità.
I colori delle tessere musive sono rosso scuro, crema, bianco, celeste, cilestrino, verde, acqua marina, blu, viola, azzurro chiaro e rosa.
Nella cupola a campana si osservano, dall’alto verso il basso, tre fasce cromatiche: la prima, di colore celeste, presenta al centro apicale una croce giallo-oro; la seconda esibisce un azzurro cielo stellato; la terza, un festone circolare con i sette colori dell’iride.
- Cupola a Campana
E’, questa, la struttura dell’Empireo (il paradiso) con i suoi nove cieli (Tolomeo), quella che troveremo nella Commedia dantesca, ossia i cieli della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, simbolizzati dal cerchio iridato, sovrastati dall’ottavo (Stelle fisse) e dal nono (Primo mobile) con al vertice la Croce, il cui colore (giallo) allegorizza lo splendore del Cristo, Luce del mondo (Vangelo di Giovanni). Segue uno stacco murario dalla cupola all’arcone.
Ma, a segnare la continuità del discorso simbolico, è una vite rampicante con grappoli d’uva e altri segni eucaristici (melagrana) e vitali (medusa), tipici del simbolismo paleocristiano. Essi fanno da cerniera fra il Paradiso celeste e il Paradiso terrestre effigiato sull’arcone absidale, all’interno di una struttura rettangolare racchiusa da cinque fasce. Il Paradiso terrestre è il "giardino" di Dio (in greco "paredeison"= giardino). Lo si intuisce dall’opus pavonaceum, sito in chiave di volta (il pavone è simbolo della divina regalità), e dalle perfette simmetrie che caratterizzano gli elementi zoomorfi e fitomorfi inondati dalla luce sempre proveniente dalla croce giallo-oro.
Questa la novità: trattasi di motivi ricorrenti, in precedenza, nei mosaici pavimentali di basiliche e ville romane, lì con funzione solo ornamentale, qui, invece, caricati di valenze allegoriche del Paradiso terrestre.
Le cinque fasce (simmetriche la prima e la quinta, ossia le esterne) rinviano al mondo terreno di cui sono simbolo.
Il parallelepipedo fra le stelle (fascia terza e centrale) e i rettangoli simbolizzano la terra; gli ovali, il Cielo (secondo un’iconografia che va da Senofane, VI sec. a.C., a Kosma Indikopleustés, V sec. d.C); la treccia (quarta) e il meandro (seconda) simbolizzano, fin dal periodo orfico-pitagorico, l’eterna ciclicità del mondo naturale; il cinque del dado (cfr. I dialoghi delfici di Plutarco), ricorrente e stampato sulla "faccia" della Terra (il parallelepipedo), e centrale fra rettangolo (terra) e ovale (cielo), rappresenta l’uomo, destinatario della creazione e dell’amore divino.
- Volta a botte presbiterio
Tutto il ciclo musivo è, dunque, il primo "manifesto" artistico, in Europa, del culto di Maria che guida (Odegitria) l’umanità dalla terra al cielo, ossia verso la Croce, donde il titolo, già altomedievale della chiesa, Sancta Maria Crucis. Si spiega anche così la presenza di numerose figure di sante ivi affrescate, perché seguaci dell’esemplarità della Vergine.
Infine, dalla Croce emana la luce della creazione e della salvezza: ciò è in linea con l’emanatismo e il sincretismo, coordinate storico-culturali del primo cristianesimo. A realizzare quest’opera, secondo De Gruneisen, furono maestranze orientali, forse efesine, approdate qui nel Salento, ad Otranto, ma dirette forse a Ravenna, dove, in quei mosaici celeberrimi, "ritornano" i motivi del cielo stellato e della croce, mentre tutto il resto rimane come un unicum nella storia dell’arte paleocristiana europea. Essi, infatti, hanno una valenza allegorica senz’altro unica e non riscontrabile in altre costruzioni, fatta eccezione per la coeva basilica di Salonicco dedicata alla Vergine.
A differenza dei più celebri mosaici ravennati, dove dominano, didascalicamente, le figure di Dio, del Cristo ecc., qui siamo di fronte ad un messaggio criptato, simbolico nei suoi numeri (il cinque) e nelle sue figure geometriche e segniche, riservato solo agli iniziati e protetto dall’allegoria. Ciò è dovuto sia al carattere esoterico e misterico del primo cristianesimo, sia a ragioni protettive, essendo Casarano periferia dell’Impero e non centro come, invece, era Ravenna.”
Vi sollevo dal tèdio di seguirmi nella vista e descrizione degli affreschi bizantini, quale la Vergine con Bambino (Theotòkos - Madre di Dio) dei primi decenni dell’anno Mille, cui la Chiesa era dedicata dalle origini o quelli gotici, quale quello della Santa Caterina d’Alessandria realizzato intorno al 1250 da un pittore francese reduce dalla crociata di Federico II di Svevia, ringraziandovi per la vostra cortese pazienza e sopportazione, come si dice ancora nella mia lingua salentina.