Storia dei diritti umani di Marcello Flores (Il Mulino, Bologna, 2008) costituisce un punto fermo nella storiografia italiana sulla “scoperta”, l’evoluzione, la realtà e la più recente “riscoperta” dei diritti che solo negli ultimi decenni hanno trovato una configurazione giuridica attraverso l’apposita dichiarazione delle nazioni Unite (1948).
Lo storico dell’Università di Siena ripercorre in oltre 300 pagine il lungo cammino che dalle leggi di natura attraverso religioni e morali si sono affermate nella filosofia classica e nel diritto. Ma proprio come studioso dei fenomeni di violenza negli ultimi secoli, Flores è riuscito a tratteggiare con piena padronanza la materia e considerazioni via via nascenti dagli eventi accaduti in senso contrario a questi valori. Lo Stato moderno ha funzionato da acceleratore dell’inserimento dei diritti nelle legislazioni ma contemporaneamente ha allargato a dismisura i propri poteri, con l’effetto di violare i diritti umani quanto più si estendevano le proprie potestà illimitate.
E, come egli sottolinea, dall’habeas corpus a Beccaria (e specificatamente già la legislazione settecentesca in quella Toscana dove adesso Flores insegna) si è andato sviluppando il principio della difesa dei corpi. Ma il “terrore” in forme nuove e più distruttive, è sempre restato in agguato, da Robespierre a Stalin. Quando si fa strada un senso “umanitario” nelle coscienze, questo stesso sentimento stenta a trovare applicazione, anche se nell’Ottocento Florence Nightingale e John Stuart Mill, dalle due sponde dell’Atlantico, indicano l’applicazione di regole adeguate come presupposto per la democrazia liberale dalla Francia ai primi vagiti di una legislazione internazionale contro schiavitù e restrizioni d’ogni genere. L’esperienza della Società delle Nazioni servì a far riconoscere alcuni principi ma non riuscì a trovare modo di applicare sanzioni ai contravventori a norme elementari di convivenza pacifica. La pace rimaneva un miraggio per sognatori. Certamente – come si fa rilevare nel libro – il passaggio all’ONU ha segnato una più definita possibilità di interventi.
Viene così avanti l’idea dei “diritti universali” riconoscibili da tutti e da rispettare, da parte dei singoli Stati, sia al loro interno che nel contesto più ampio. Le nuove dichiarazioni e le “convenzioni” di garanzia a tutela dei diritti fondamentali inseriti all’interno delle costituzioni statuali, a cominciare dai paesi di nuova indipendenza, hanno spinto verso una più organica visione, dalla quale vengono chiaramente sollecitate quelle iniziative capaci di dare, in particolare al terzo mondo, strumenti legittimi di tutela. Anche se le stesse precise descrizioni riportate nel libro su massacri in ogni continente mostrano quanta distanza vi sia tuttora tra principi e loro attuazione.
L’ampio panorama qui offerto fornisce utilissime informazioni su temi delicati (e di cui troppo spesso si parla invece in modo troppo generico e confuso) e, grazie ad una approfondita ricerca, consente di valutare i maggiori nodi irrisolti, ed anzi aggravati dalla comparsa di nuove, devastanti forme di terrorismo. Le norme emanate a proposito negli Usa e nel Regno Unito offrono punto di riferimento limite, sui quali l’autore si sofferma con perizia ed intelligenza, sottolineando le differenze oggi evidenti tra guerra e terrorismo. E Flores si chiede di fronte a fenomeni ripetuti di violazioni dei diritti su grandi scale: quando si deve fermare un genocidio? Il caso del Darfur presenta al riguardo, insieme ai fatti avvenuti nelle ex Jugoslavia, una serie di esempi di quanto grandi siano tuttora i pericoli gravanti sulla realtà, al di là dei tentativi di “commissioni di verità” o di speranze di “riconciliazione”. Elementi diversi confluenti per ottenere di fatto il riconoscimento dei diritti trovano contrasto negli interessi sia di potenze sia di gruppi operanti nel traffico di droghe come nello sfruttamento sessuale. Pagine aperte, e che ogni giorno la TV mostra nelle sue pieghe più doloranti.
Questa attenta ricognizione di Flores offre una nuova opportunità di riflettere sulla base di dati recenti e di sollecitazioni, aggiungendosi così agli studi di Antonio Cassese, al complesso delle opere sui diritti umani dell’Utet e al ricco studio americano di Micheline Ishay sull’analogo argomento, dall’antichità alla globalizzazione.