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Ingresso delle donne nelle Forze Armate
mercoledì 23 ottobre 2019 di sandro meardi



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Si celebrano in questi giorni i venti anni dall’ingresso delle donne nelle Forze Armate. Era il 20 ottobre 1999 quando, con la Legge 380, veniva introdotto il reclutamento femminile su base volontaria nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica. Analogamente si aprivano per le donne italiane anche le porte nell’Arma dei Carabinieri e nella Guardia di Finanza. Una svolta di portata storica per la Difesa italiana ultima, in ordine di tempo, tra i Paesi europei aderenti alla NATO, ad infrangere un vero e proprio tabù assimilabile al sacerdozio cattolico.

In questa direzione già nel lontano 1917 si era mosso per primo il Regno Unito e, a seguire, in ordine cronologico la Danimarca (1935), la Grecia (1946), la Turchia (1955), il Portogallo (1961), l’Olanda (1972), la Francia (1974), la Germania (1975), la Spagna (1988). Nei due grandi Paesi del Nord-America, Stati Uniti e Canada, il reclutamento femminile su base volontaria risale rispettivamente al 1942 e al 1971. In altre due Nazioni, quali ad esempio la Cina ed Israele, il reclutamento femminile, al pari di quello maschile, non soltanto vige la previsione volontaria per il quadro permanente ma è tutt’ora obbligatorio.

Si possono, a margine della Legge 380, ricordare i dibattiti socio-culturali e politici che la precedettero. Tra quelli che ne furono i fautori, per ovvie e imprescindibili ragioni di parità di genere e quelli che, con il solito pacifismo di maniera invece, coniarono lo slogan: “chi genera la vita non può dare la morte”, per avversarne l’introduzione. Ma si può anche ricordare, con un pizzico di orgoglio militare, l’attenzione che invece gli Stati Maggiore delle Forze Armate riservarono fin da subito, anzi, ancor prima, facendosi promotori di studi, analisi ed esperimenti per prefigurare l’impatto che una siffatta “rivoluzione” poteva avere sulla componente operativa delle rispettive Forze Armate. Erano, quelli, anni particolarmente difficili e delicati, durante i quali le missioni dei contingenti italiani all’estero si ripetevano con estrema frequenza, anche ad alta intensità conflittuale, sebbene sotto l’etichetta tranquillizzante per l’opinione pubblica del peace keeping o mantenimento della pace.

Se le donne però era giusto potessero indossare un’ uniforme con le stellette, era altrettanto giusto potessero ambire ai gradi apicali, evitando per questo di relegarle ai soli ruoli subalterni e ad incarichi di mero supporto logistico. Già sette anni prima della “380”, nel 1992, sotto gli auspici dell’ANADOS (Associazione Nazionale Aspiranti Donne Soldato) e per iniziativa dello Stato Maggiore dell’Esercito, si tenne presso la Caserma dei Lancieri di Montebello vicino Roma, il primo esperimento teorico-pratico. Vedemmo 29 ragazze volontarie, super motivate, indossare l’uniforme, marciare, affrontare la simulazione di un percorso di guerra, salire a bordo di un carro armato e prendere parte all’istruzione sull’uso delle armi. I tempi erano maturi perché il loro ingresso nelle caserme, con i dovuti adeguamenti infrastrutturali, potesse avvenire senza traumi e senza limitazioni di sorta.

Oggi sono oltre 16 mila le donne impiegate nelle Forze Armate e dopo averle viste con i miei occhi cambiare i cingoli ad un carro armato o con le braccia immerse nella coppa dell’olio di un blindato, i tempi romantici con i quali abbiamo voluto titolare questo breve omaggio alle donne soldato, lasciano il posto alla più concreta e ed eloquente nota stampa dello Stato Maggiore della Difesa: “Il personale femminile consegue oggi livelli professionali comparabili a quelli dei colleghi uomini in tutte le tre dimensioni: come piloti di mezzi aerei, equipaggi di carri armati, a bordo di unità navali e nel controllo del territorio”.