Scartato dalla cultura italiana nell’età del trionfo dell’idealismo filosofico, Max Weber è tornato dagli anni ’50 all’attenzione dei sociologi, per la cui prima generazione da noi ha costituito un passaggio obbligato. Adesso uno dei maestri della filosofia italiana, Pietro Rossi, con il suo Max Weber. Una idea di Occidente (Donzelli, Roma, 2008) provvede a riprendere i temi che lo studioso tedesco ha posto al centro dei suoi interventi che dall’ambito sociale-religioso tocca i punti nodali del dibattito culturale del Novecento.
Sono in parte testi già pubblicati, i quali però adesso così risistemati vengono a formare un discorso ricchissimo di motivi profondi della conoscenza filosofica. Innanzitutto nell’impostazione della metodologia delle scienze storico-sociali, muovendo dallo storicismo economico sino all’analisi delle esperienze culturali dell’Occidente, richiamando il principio di causalità di contro all’irrazionalità dell’agire umano e quindi dell’integrazione tra teoria ed empiria. Attraverso Simmel e Dilthey egli penetra nella connessione dei fattori psicologici con lo svolgersi della personalità degli individui e la comprensione dei fenomeni allargando gli strumenti utili. Siamo all’inizio del secolo della tecnica quando Weber vede il conflitto tra valori non riducibili a un mero conflitto di classe, quindi contraddicendo i postulati marxisti e spostando l’interpretazione del mondo verso una visione complessa, la Weltanschaung. Il sapere scientifico viene riproposto in termini di “intuizione del mondo”.
La “razionalità” s’impone allora come metodo di comprensione dell’agire, ma non come individualizzazione oggettiva bensì quale razionalità rispetto allo scopo (come per le formazioni sociali orientate a perseguire gli obiettivi con mezzi adeguati), differenti da un orientamento teso a tradurre in azione i valori (come nello stato socialista o nell’economia pianificata, donde prevale l’esigenza di autonomia dei soggetti operanti, come nel libero scambio del mercato. Intanto riemergono le contese sull’universalità delle religioni, e il sociologo tedesco mette a confronto la spinta spirituale con i fatti economici: su questo versante egli introduce corrispondenze univoche di grande portata nell’interpretazione storica.
Diffidente verso concezioni monastiche, egli esamina il capitalismo moderno nella sua effettualità. Così, passo dopo passo, Pietro Rossi ricostruisce per il lettore percorsi che riportano sul terreno della filosofia politica. Molto stringenti le pagine sul rapporto Hegel-Weber: se il primo aveva idealizzato il primato dello Stato, il secondo esamina concretamente il farsi di uno Stato che tende alla burocratizzazione. L’empiria prevale, nella sua ricerca, sulle pregiudiziali. Così lo stesso “diritto” viene razionalizzato e dalla connessione con la religione Weber passa a quella con l’economia.
L’ultima parte guarda ai rapporti tra la cultura weberiana e quella di benedetto Croce: i due grandi pensatori si sono pressoché ignorati, troppo diverse essendo le rispettive formazioni e campi d’osservazione: il confronto presenta tuttavia significativi elementi di originalità. Infine uno sguardo alla sociologia che rinasce in Italia nel secondo dopoguerra e che cerca nuove strade nella cultura tedesca. Si trovano in queste pagine indicazioni utili per il collocamento orientativo di alcuni tra i maggiori sociologi nostrani, non solo in riferimento a Weber. Le analisi di Rossi risaltano per la chiarezza della esposizione che si aggiunge allo specifico apporto che egli ha dato al rapporto tra economia, diritto ed economia, studi tra i più prestigiosi della nostra cultura filosofica.
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