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Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere (Archinto, Milano, 2007).

DONNE TRA IGNORANZA, ACCULTURAMENTO E RIVOLUZIONE MANCATA

Due libri controcorrente
martedì 15 gennaio 2008 di Carlo Vallauri

Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Enrico Budellino


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Gustosa lettura il Progetto di legge per vietare alle donne di imparare a leggere, a cura di Enrico Budellino (Archinto, Milano, 2007).

Il testo di Sylvain Maréchal, pubblicato a Parigi nel 1801, è volutamente provocatorio. L’autore vagheggia una società patriarcale, vuole altresì accomunare cattolici, protestanti, musulmani in una fraternità laica. Uno spirito scandalistico (aveva pubblicato cinque anni prima la Biblioteque des amants) lo induce ad una campagna scherzosa per impedire alle donne qualsiasi approccio alla cultura.

L’imprudente Olympe de Gouges ha già pagato con la testa mozzata le sue idee favorevoli alla piena affermazione dei diritti delle donne. Al contrario Maréchal ritiene le donne siano nate per essere amabili e virtuose non per evadere dalle arti domestiche. L’incoraggiamento a “serbare l’ignoranza” non poteva però essere accettato. Le stesse sue pagine dimostrano che in effetti per l’A. si tratta solo di un divertissement.

Tuttavia l’interesse maggiore del libro è nella prefazione di Budellino sul “pisolino della ragione” e sulle conseguenze che ne possono derivare.

Controcorrente rispetto alle mode culturali è Fabrizio Marchi che in Le donne: una rivoluzione mai nata (Mimesis, Milano, 2007) rimette in discussione tutte le motivazioni avanzate dalle donne con la loro rivoluzione femminista.

L’autore infatti, ribattendo luoghi comuni consolidati dall’anticonformismo femminista, fa notare come le donne, nel cercare di liberarsi dai pesi e condizionamenti in passato loro imposti, anziché farsi portatrici di una trasformazione reale, si siano ridotte ad essere passive acquiescenti alle pratiche psicologico-culturali che le riducono, nella grande maggioranza, nella condizione di subalternità al modello dominante, diventando così anzi ancor più assoggettate ai maschi dominanti. Dalle polemiche sulle quote rosa all’approccio imitativo dei comportamenti maschilisti, si alimenta un circolo vizioso, nel quale cadono i maschi che restano succubi dell’organo sessuale femminile e le donne che continuano a fare ciò che hanno sempre fatto. È l’impalcatura ideologica ipocrita e opportunista che va rimossa, altrimenti le donne rimarranno complici e/o vittime del sistema dominante. Un meccanismo sofisticato – sostiene Marchi – ed invisibile incide sulle parti più fragili della donna, segnando una concezione che tiene la sessualità separata dagli altri aspetti della donna. Spetta alle donne invece, secondo l’autore, voltare pagina, liberarsi dei vantaggi e dei privilegi loro concessi, rifiutando ogni compromesso.

Gli uomini dal canto loro sono stati ridotti a semplici “consumatori passivi ed eterodiretti”, perché “non sono loro a decidere quando e se si consuma”, deprivati di qualsiasi ruolo ed identità. In una breve post-fazione Lidia Ravera esprime i propri dubbi sulle tesi esposte da Marchi e non perde l’occasione per ripetere i luoghi comuni del femminismo, come se non avesse compreso l’intento icastico dell’autore.

 

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