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Rubrica: CULTURA


Rivolte del pensiero. Dopo Foucault, per riaprire il tempo, (Bollati Boringhieri, 2013)

Il pensiero ribelle

Foucault e la filosofia del futuro.
martedì 1 marzo 2016 di Andrea Comincini

Argomenti: Letteratura e filosofia
Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Mario Galzigna


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“Riaprire il tempo, scongiurando le insidie e le seduzioni di una costellazione psichica individuale e collettiva – la malinconia – incapace di reinventare il futuro”. Tali parole appartengono all’autore del saggio “Rivolte del pensiero”, ovvero Mario Galzigna, il quale definisce in poche righe gli obiettivi complessi e molteplici del suo lavoro. La reinvenzione del domani non è affidata al certo, al convenuto, ma risiede nella capacità del singolo e della collettività di cogliere nell’eterogeneo del divenire non una sintesi unificante, ma il custode della differenza creativa.

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Mario Galzigna

Rivolte del pensiero, nate da pensieri in rivolta: l’atto primo della riscrittura della vita avviene infatti in un cambiamento di paradigma: Galzigna è perentorio nella ricerca della frattura del pensiero unico, e procede lì dove “l’assimilato” non andrebbe a guardare: nel nosocomio, dove la differenza psichica non è solo malattia ma anche risorsa, esperienza di vita, oppure nelle foreste brasiliane, dove immanenza e trascendenza delle popolazioni aborigene non si escludono ma si tengono per mano, senza la necessità di annullarsi.

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Rene Magritte

Lo psichiatra parte dalla categoria kantiana di sintesi disgiuntiva, rileggendola, quale presupposto della propria reinvenzione del futuro, e da Foucault, per la sua capacità di scandagliare esperienze diverse e solo in superficie disomogenee, ed il risultato è pregevole sia per la qualità della narrazione, sia per l’esemplarità dei vissuti riportati. Emerge chiaramente in ogni rappresentazione – dall’esperienza nel centro di salute mentale all’eros dei libertini, da Artaud fino al capitolo su Magritte – l’assenza del nemico principe di ogni rivoluzione: la malinconia. Questo sentimento, quando non si riscatta in un futuro rivoluzionario, rende il presente irredimibile, trascinando con sé ogni possibilità di cambiamento, che Galzigna definisce con la fortunata formula di “disgiunzione creativa”. Da tale sfasamento non nasce un pensiero torbido ed inerte, ma al contrario emerge una passione per il molteplice, un inno alla ricerca gioiosa della diversità.

La visione si impone esemplarmente attraverso l’analisi di alcune opere di R. Magritte e della vita trasandata e geniale di A. Artaud. C’è una frase del pittore, a proposito della psicanalisi, utile a cogliere la complessità psicologica della sua opera: “C’è un solo mistero, il mondo”. Magritte nega valore all’introspezione psichica, forse perché è ben consapevole di quanto i suoi quadri ne espongano i segni.

Testimone del suicidio della madre, i dipinti spesso offrono all’analisi gli elementi per spezzare la trama lineare della rappresentazione: è il caso de “L’impero delle luci, o de La storia centrale”: Galzigna sottolinea quanto la distanza tra raffigurante e raffigurato si iscriva nella sua idea di scissione produttiva, e di come quest’arte chiaroscurale aiuti a ritrovare le tracce di un futuro sperduto: “L’impero […] può essere considerato la raffigurazione pittorica di una sintesi disgiuntiva […]: di una continuità, in ogni caso, che all’interno di una medesima composizione mette insieme, pur mantenendole distinte, due dimensioni antagoniste: la luce e il buio, il giorno e la notte”.

La dialettica hegeliana è abbandonata, non v’è dubbio, così come la ricerca di un fondamento ontologico di heideggeriana memoria: se i concetti sono vuoti, od il pensiero si rifugia nel categoriale astratto, l’esperienza non è più da esperire, e perde di valore. Il principio libertario e rivoluzionario che segna le pagine del saggio non può accettare il già-detto, ovvero non richiede alcuna Sintesi o Pastore dell’Essere, bensì la volontà di vivere il futuro e di sovvertire il presente.

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Il risultato è pienamente conseguito, nonostante implichi il pericolo insito nel rifiuto della sintesi “ideologica”, ovvero il rischio che “l’irruzione dell’evento” produca traumi incontrollabili. Non è casuale, a mio avviso, la centralità del fattore psichico in molti esempi riportati da Galzigna. Fra tutti – e rappresenta il saggio più notevole e strutturato – il caso di Antonin Artaud. Un noto scritto dell’artista, “Van Gogh, il suicidato della società”, del 1947, potrebbe esser riferito allo stesso scrittore. “I gesti espressivi di Artaud, tutto il suo itinerario, in altre parole, l’unità indissolubile fra vita e opera – ci indicano continuamente una tensione distruttrice, mai venuta meno, nei confronti di una metafisica dualistica che ha dominato il pensiero occidentale”. Il risultato è una cesura tra anima e corpo, parola e carne, testo ed esistenza.

Nonostante queste fratture, il pensiero deve procedere nella rivolta: solo così, afferma Galzigna, possiamo riappropriarci del futuro, oltre la malinconia e la resa all’attuale.

 

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