a cura di
Silvana Carletti (Dir.Resp.)
Carlo Vallauri Giovanna D'Arbitrio
Odino Grubessi
Luciano De Vita (Editore)
On line copyright
2005-2018 by
LDVRoma
Il drammatico problema del sovraffollamento e dell’invivibilità dei penitenziari italiani è argomento di scottante attualità e, nonostante più volte il Presidente Napolitano abbia fatto sentire la sua voce solenne ed ammonitrice, Parlamento e Governo si sono disinteressati alla questione, impegnati a tartassare con tasse e balzelli i dipendenti a reddito fisso.
Melania Rizzoli, medico e deputato, nonché moglie dell’editore Angelo Rizzoli, ha scritto un libro che si legge, dalla prima all’ultima pagina, con le lacrime agli occhi: “Detenuti - Incontri e parole dalle carceri italiane”, il cui sottotitolo potrebbe essere il celebre verso dantesco: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”.
La premessa sconvolgente è affidata ai numeri: 206 istituti, che potrebbero accogliere 45000 reclusi, costretti ad ospitarne quasi 70000, mentre ogni giorno le entrate superano le uscite.
La scrittrice ha visitato questi gironi infernali ed ha ascoltato voci famose ed anonime, entrambe accomunate da un identico destino di solitudine, malinconia, annientamento fisico.
Uno dopo l’altro si ascoltano racconti di detenuti, che hanno avuto l’onore della cronaca per i loro delitti da Mambro a Vanna Marchi, dal boss dei boss Provenzano a Cuffaro, da Michele e Sabrina Misseri, Sofri, Tanzi, Lele Mora e Olindo Romano. Tutti colloqui privati che si trasformano in un viaggio interiore, che modifica profondamente chi vive tra quelle tristi mura, dimostrando alla fine come il sistema repressivo italiano tenda a distruggere la personalità ed a far ritenere il suicidio come una liberazione.
Sofri: “In carcere non puoi permetterti i sentimenti, perché diventano delusioni”.
Mambro: “Il carcere è un tritacarne, ti schiaccia e ti schianta”.
La Marchi parlando di Lele Mora: “Per affrontare il carcere ci vogliono le palle e due non bastano”.
Tanzi: “No, non leggo i quotidiani, ma solo il Vangelo, una pagina la mattina e una la sera”.
Emblematica la visita a Provenzano, che non parla con nessuno ed ha vissuto un’interminabile latitanza come un topo in una fogna. “Cosa le manca di più?”. “L’aria, mi rispose deciso guardandomi con occhi senza espressione”.
Il libro termina con un ammonimento ai magistrati quale responsabilità si assumono quando firmano un ordine di carcerazione senza avere ancora la certezza della colpa, in stridente contrasto con l’articolo 27 della nostra costituzione.