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TRA IDEE COMUNI E "NON COMUNI" LA NECESSITÀ SEMBRA IMPORSI SUL "CASO"

Esercizi di “filosofia minima”
martedì 1 marzo 2011 di Carlo Vallauri

Argomenti: Letteratura e filosofia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Armando Massarenti


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All’indomani della scomparsa di Pannakar avevamo letto un ricordo del filosofo scritto da Massarenti, che in poche righe era riuscito a indicarne alcuni caratteri essenziali. La pubblicazione del suo libro offre l’occasione di approfondire il pensiero dello studioso italiano, attraverso le pagine che egli dedica a vari argomenti non “comuni” (esposti in ordine alfabetico) chiariti con singolare originalità.

Recensendo opere del genere si resta interdetti circa la voce dalla quale iniziare la lettura. Ebbene, sembra utile accennare subito ad un tema che spesso mi ferisce quando assisto (specie in via televisiva) a incredibili scene “popolari” di assenso, o condivisione, o riconoscimento prestato con l’applauso nel corso di eventi, circostanze od occasioni che richiederebbero ben altre reazioni.

Società dell’applauso, qualcuno ha definito il nostro mondo di oggi, anche sotto l’aspetto politico (cfr. M. Recalcati Forme contemporanee di totalitarismo) giacché in luogo di convincimenti o ragionamenti vediamo come tanti nostri simili siano facilmente travolti dalla necessità di esprimere i propri sentimenti o pareri appunto con un chiassoso saluto (persino nel corso di funerali). Prendendo spunto da una lezione di Alain Prochianz al festival di filosofia (Modena, 2007), seguito da un “fragoroso applauso”, l’autore osserva che forse non tutti i plaudenti condividevano le idee dell’oratore sulla naturalizzazione della morte ma essi intendevano esprimere il loro dissenso dal mondo nel quale oggi “i rappresentanti di un improbabile al di là” si arrogano il diritto di compiere affermazioni “definitive” sulla nostra vita e la nostra morte.

Alzando le voci oltre i limiti di uno Stato che voglia dirsi laico, costoro hanno perso la fiducia nella credenza che induce gli uomini a sperare “che non sia vero che tutto finisca lì”. E Massarenti conclude citando il Leopardi delle Operette morali. Una precisazione che induce piuttosto a confidare ancora nella ragione onde “sperare” nel discorso logico piuttosto che sulla credenze indimostrabili.

Altrettanto meritevole di considerazione quanto leggiamo alla voce “Asinino”: Massarenti denuncia il modo di corrompere il linguaggio con una sorta di neo-lingua orwelliana, citando alcune affermazioni di Russel. Così arriviamo all’ “assurdo nel non senso” di Toti Scialoja, con richiamo alla leggerezza ed ironia di Camus. Quanto all’auto-ironia viene indicata una battuta di Daniele Luttazzi (a proposito, quando rivedremo l’attore in TV?) con riferimenti all’origine del concetto di humour (risalirebbe ad un saggio di Shaftesbury, 1703). Mentre la parola “autorevolezza” induce a considerare la fragilità di certe rassicurazioni dei politici a proposito di rischi per la salute provocati dalla diossina, secondo una comunicazione dell’Unione europea.

Un altro punto critico toccato con grazia perfida – potremmo dire – è “bioetica”, in riferimento alle dichiarazioni di Hilary Putnam: i problemi etici non si risolvono partendo da una visione assoluta delle cose e dei valori. È allora lecito chiedersi che rapporto sussista tra pluralismo di valori e relativismo. In effetti Massarenti tiene a sottolineare l’ “inutile compito svolto da cosiddetti Comitati per l’etica”. E che dire allora del “buon gusto”? In rapporto all’esperienza acquisita al riguardo dalla borghesia avanzante nella età moderna va rilevato come si diffuse rapidamente invece il cattivo gusto, vorremmo dire “caso e necessità”, oltre Massarenti. Siamo così pervenuti al Caso, come ad un “assenza di cause” mentre lo studioso rileva che, a partire da Democrito, si può dire “causalità anche senza finalismo”. Ed è lecito sostenere il “diritto a non esistere” come hanno sostenuto alcuni figli – forse troppo addottorati piuttosto che bamboccioni – intentando cause contro i propri genitori.

Interessante poi il richiamo a Condorcet a proposito del “soave dispotismo della ragione” preferibile all’ “autoritarismo delle morale e delle religioni tradizionali”, una convinzione che, sua pure con ritardo, sembra oggi condivisa anche da più parti.

Altro richiamo a Camus, che denunciò la “sinistra poliziesca” di matrice sovietica rispetto ad una “sinistra libera” che rappresentava per lui una “conquista” per guardare il mondo senza auto-ingannarsi. Merita di essere inoltre citato il senso della giustizia, utilizzando il caso della Filumena di De Filippo, donna che sa dimostrare come scegliere di fronte a situazioni impossibili. Forse sa spiegare cosa è “giusto”, meglio, a noi sembra, di Rawls (perché più chiaro e pratico), pure citato dallo stesso Massarenti.

E al determinismo rispetto alla libertà torna l‘autore quando fa presente che non cambia molto se si dice che il nostro mondo è perfettamente determinista o al contrario dominato dal caso, perché “siamo naturalmente portati a pensare di essere liberi e responsabili”. Invitiamo Massarenti a leggere in proposito “Una partita a scacchi con Albert Einstein” di F. Durrematt, un’operetta sottile che non potrà non essere utile per comprendere le pedine in gioco, pedine rischiose come mostra proprio Kasparov, citato a proposito dell’autoritarismo violento di Putin, opportunamente denunciato nel libro. E questo argomento però riconduce al “linguaggio”, un filtro per analizzare idee che hanno radici più profonde del linguaggio storico. In qualche tratto, leggendo il libro, si ha l’impressione che l’autore sia avviato verso un “piano inclinato” in senso “scivoloso” nel voler forse ragionare troppo sulla suggestiva via dell’immaginazione, quando purtroppo il pragmatismo conduce verso un realismo pessimista che poco cede alla creatività fantasiosa. Il realismo costringe a impaludarsi nel relativismo più che a difendere i valori indicativi dei diritti e della democrazia, un “bene” che nel XXI secolo sembra rarefarsi.

Questo è oggi, all’inizio del nuovo millennio, il vero dilemma. Infine come non assentire al concetto semplice del “socialismo liberale”. Possiamo oggi chiederci: c’è stato nel Novecento delle tragedie totalitarie qualcosa di meglio dello “Stato sociale” realizzato in Europa proprio da coloro che erano “socialisti liberali” e non lo sapevano?

 

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