Un’insostenibile leggerezza dell’essere, unita ad un’intima ed enigmatica irrequietezza, hanno reso unica la danza e la personalità di uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi: Rudolph Nureyev. Scomparso nel gennaio del ’93 dopo aver contratto l’Aids, il suo nome continua ad essere evocato ed invocato con nostalgia ed ossequioso rispetto, soprattutto durante le rassegne culturali estive, nelle quali non mancano appuntamenti con la danza; arte che continua ad incantarci e stupirci con la sua fiabesca grazia e la particolare capacità di trasmettere emozioni intense e durature. E chi ne ha amato il magnetismo dello sguardo, il fisico possente ed elastico, l’intelligenza nervosa, tesa a sfidare le leggi della fisica e, non senza dolore e ribellione, un corpo lentamente minato dalla malattia, non può rassegnarsi all’idea di non potere più godere di quella straordinaria esaltazione del movimento, dello slancio gioioso, dinamico e in parte demoniaco, di quella scatenata incarnazione della vita stessa, seguita nelle sue mille e talvolta impervie vie del destino, incontro al quale Nureyev si è sempre mosso con l’ardire e il passo sicuro non del divo, ma del grande. Il tartaro volante, l’angelo ribelle aveva infatti intuito che se “la danza conteneva la sua follia, la sua follia faceva grande la danza”. Strana creatura apparentemente ritagliata da una delle pagine dei suoi autori preferiti, Dostojeski, animato da una sorta di fuoco interno, di forza oscura, ha esguito l’eterna maratona della vita con una perfetta fusione tra anima e corpo.
Il Principe Schiaccianoci, Sigfrido, Albrecht, Don Chischiotte (etc.), sono stati da lui magistralmente interpretati non solo per le piroette, gli avvitamenti, l’alto valore tecnico, ma anche grazie ad un’intensità espressiva dirompente, straordinariamente unica per forza ed intelligenza. Tutto del resto in lui era viscerale: dai contatti col corpo di ballo (è stato anche direttore artistico e coreografo, insegnando danza vivendola), alle amicizie, alle case acquistate un po’ in tutto il mondo e alla sua famosa collezione di opere d’arte.
E viscerale era il rapporto col pubblico, il suo pubblico, e del pubblico con lui: era adorato, idolatrato, nonostante alcune critiche mossegli negli ultimi anni della sua carriera per alcune scelte artistiche. Con lui si è spenta la danza, un certo modo di vivere la danza. E quando la nostalgia di lui emerge prepotentemente dalle profondità del nostro io, non possiamo fare a meno di calarci nel mondo incantato degli Inferi di Giselle per cercarlo e per ballare ancora insieme a lui, nell’illusione dolce e mai sopita di riportarlo in vita. Ma Nurejev ha ormai superato ogni incantesimo: vive al di là della magia in un mondo senza tempo e senza sofferenza, dove esiste solo la Gioia, l’Amore vero, invano cercato su questa terra. E, possiamo esserne certi, vive ancora una volta... a passo di danza.