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Rubrica: LETTURE CONSIGLIATE

ANITA LIKMETA. LE FAVOLE DEL COMUNISMO

Il comunismo da chi l’ha vissuto
mercoledì 17 luglio 2024

Argomenti: Recensioni Libri

Le favole del comunismo, opera prima della imprenditrice Anita Likmeta, non è certo un libro scritto per attirare simpatie, soprattutto in Italia.

Qui da noi criticare le idee dell’élite aristocratica della cultura – quella dei salotti buoni e delle comparsate televisive – è considerato un esercizio sciocco, naïve, quando si agisce in buona fede o un atto masochistico e miope se si spera di far carriera in certi ambienti. Qualora si arrivi addirittura a discettare di comunismo, e con chi si definisce il rappresentante del pensiero libero e illuminato, il rischio inevitabilmente è di esser accusati di alto tradimento (verso chi?). Persino se ci si imbatte in qualcuno aperto al dialogo, spesso lo si vede infine ammiccare e assolvere il socialismo facendo spallucce, quasi fosse l’unica maniera per opporsi alla politica conservatrice o fascistoide ahimè presente anch’essa nel Bel Paese.

L’ultimo rifugio di chi prova almeno a considerare le argomentazioni esposte senza respingerle a priori è rifugiarsi in una distinzione tra socialismo reale e ideale. Ma sarà così?

Il lavoro della scrittrice mostra di per sé, dunque, già una qualità fondamentale: è coraggioso, temerario, perché si rivolge a un pubblico culturale nella maggior parte ancora ammaliato dai racconti provenienti dall’Est e da inossidabili ragionamenti “scientifici”, e sogna una palingenesi sociale pagata sempre da altri. Favole, per l’appunto, e Likmeta ce le racconta giocando con il doppio senso del titolo del libro. C’è una ragazzina, laggiù in Albania, che ha vissuto il tragico cambiamento dopo la caduta del muro di Berlino fino alla guerra civile, e sa.

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Anita Likmeta

Basterà ascoltarla? Come abbiamo ipotizzato, probabilmente no. Eppure la scrittura dell’autrice, delicata e intima, mostra con grande chiarezza la violenza, i saccheggi, la povertà e cosa sia un regime. Spie, tradimenti, disciplina spartana, disumanità, povertà vengono raccontati attraverso gli occhi di una bellissima bambina, di spiccata intelligenza, la quale solo quando sarà più grandicella riuscirà a venire nel diabolico occidente e cominciare una nuova vita. L’Albania di Enver Hoxha e dei suoi seguaci è un enorme carcere dove gli omosessuali sono repressi, i non allineati spariscono, e i violenti dominano. Ce n’è però anche per l’Italia, e giustamente.

Quando a Milano si incontrano ricchi imprenditori, scrittori e scrittrici di note case editrici, benestanti di alto livello, quando si va a party aziendali frequentati da persone di un certo spessore culturale, ecco che si viene travolti da un altro personaggio grottesco; la nostra immaginazione va oltre i resoconti della scrittrice, viaggia e trova il proprio porto naturale: l’intellettuale anticapitalista socialisteggiante, sognatore indefesso di rivoluzioni permanenti – ma bramate da superattici ultratecnologici! Lui resta a presiedere l’open bar di una qualche terrazza di una qualsiasi sky tower, sorseggiando una coppa di prezioso e costosissimo champagne, in attesa.

Ci sarebbe da ridere, se non fosse che questo clima dominante abbia prodotto e produca dei danni gravissimi non solo per il riconoscimento di una storia condivisa, ma per la gente comune, ingannata e tradita da discorsi ipocriti e fuorvianti e costretti a vivere in un paese carico di pregiudizi e atteggiamenti baronali. Sì, Anita Likmeta è coraggiosa perché ha scelto la strada più difficile, quella diretta a ricevere meno applausi e a far storcere il naso a molti comunisti con la giacca di cachemire e l’I phone di ultima generazione, ma Le favole del comunismo resta lì a testimoniare una verità storica incancellabile, un vero e proprio rimosso prima o poi da affrontare seriamente. Non si può ottenere più giustizia e democrazia se si percorrono politiche votate (non solo per ragioni casuali) alla catastrofe sociale.

È necessario invece guardare in faccia la realtà. Come ha dichiarato la scrittrice: “Qualcuno quindi ha voluto leggere il mio romanzo per quello che non è: un manifesto politico contro qualcosa o a favore di qualcos’altro. Il mio romanzo è un romanzo, e non è contro niente, se non contro la sopraffazione dei più forti sui più deboli. Non è a favore di niente, se non della libertà. Non è favore di niente se non della consapevolezza che l’umanità è quello che è, e che ogni piccolo miglioramento passa da una fatica collettiva, da una presa di coscienza dolorosa della realtà e delle sue contraddizioni. Ho raccontato le favole, perché ho dovuto smettere di credere alle favole molto in fretta, tanti anni fa.”



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