Rubrica: QUADRIFOGLIO |
L’arte del comando. L’eredità di AugustoUna grande mostra all’Ara Pacis nel bimillenario della morte di Augusto
di
lunedì 5 maggio 2014
Argomenti: Mostre, musei, arch. Argomenti: Architettura, Archeologia Argomenti: Personaggi famosi/storici “Tu, romano, ricorda di esercitare il tuo dominio sulle genti: queste saranno le tue arti, imporre regole alla pace, perdonare i sottomessi e sgominare i superbi”. È indubbio che questi versi di Virgilio (Eneide, VI, 847-853) rispecchino in pieno il pensiero di Gaio Cesare Ottaviano Augusto, il primo degli imperatori romani, il cui principato (dal 31 a.C. al 14 d.C.) fu contrassegnato da una propaganda politica e culturale in grado di indirizzare il consenso generale sulla sua persona e al tempo stesso di esaltare la gloria della città eterna. La sua abilità nel comando costituì un modello cui ispirarsi per numerosi sovrani nei secoli successivi, da Carlo Magno a Federico II a Napoleone, per citarne solo alcuni, fino ad arrivare al “Duce” Mussolini, che riprese pari pari i simboli di Roma per quello che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere il nuovo Impero, e che inaugurò l’importantissima mostra Augustea della Romanità, che si è tenuta nel Palazzo delle Esposizioni nel 1937-38, in occasione del bimillenario della nascita di Augusto. Quest’anno Roma celebra, invece, il bimillenario della sua morte, avvenuta a Nola il 19 agosto del 14 d.C., con una serie di eventi culturali che culminano ora con la mostra “L’arte del comando. L’eredità di Augusto”, ospitata nel Museo dell’Ara Pacis dal 25 aprile al 7 settembre 2014. Curata da Claudio Parisi Presicce e Orietta Rossini, la mostra è articolata in 12 sezioni, relative a temi ed epoche storiche differenti, e vanta capolavori artistici a partire proprio da quell’Ara Pacis, costruita per esaltare la Pax augustea, che ci ha restituito le immagini della famiglia imperiale e motivi ornamentali idillici, come i girali d’acanto, che fanno pensare a un’eterna primavera, al ritorno della mitica “età dell’oro”. La prima sezione è dedicata all’elaborazione del mito della discendenza divina della gens Iulia, cui Augusto apparteneva in quanto figlio adottivo di Giulio Cesare, e la sua propaganda attraverso opere letterarie e monumenti architettonici. Da quando il troiano Enea, figlio di Venere, approdò profugo con i suoi Penati (statuette degli antenati divinizzati) sul litorale laziale, il destino di Roma è segnato. Suo figlio Iulo darà origine alla gens Iulia e il suo discendente Romolo fonderà la città sul Palatino. E quando un altro discendente di Enea diventa imperatore, questa coincidenza segna il ritorno dell’età dell’oro, un’epoca di pace dopo il tragico periodo delle guerre civili (culminato nella battaglia di Azio del 31 a.C., che vide la sconfitta di Marco Antonio e Cleopatra da parte di Ottaviano), che finalmente unificava popoli diversi e terre lontane. La testa di Augusto che accoglie i visitatori proviene proprio dal Foro di Lavinium (ora Pratica di Mare), dove Enea sarebbe sbarcato, e lo stesso Enea è raffigurato in una statuetta, rinvenuta a Veio, mentre il suo cantore Virgilio è raffigurato tra due Muse in un mosaico del Museo della Civiltà Romana (copia di un originale del Museo del Bardo a Tunisi) e in cattedra in una scultura del 1215 proveniente da Mantova. Virgilio venne presentato ad Augusto da Mecenate, il primo ideatore di un vero e proprio circolo poetico a Roma, e fu proprio da quest’incontro, nel cosiddetto “ozio di Atella”, che nacque nell’imperatore il desiderio di commissionare al grande poeta l’Eneide. Virgilio non mancherà nel suo poema di esaltare Augusto nel momento in cui Enea con l’aiuto della Sibilla Cumana incontra l’ombra del padre Anchise, che gli illustra i futuri eroi romani. Scena questa che è raffigurata in un bel dipinto settecentesco di Pietro Bardellino, “Enea nei Campi Elisi”, dal Museo di Capodimonte. La mostra prosegue evidenziando la sopravvivenza del mito augusteo nel passaggio dalla cultura imperiale a quella cristiana, con l’imperatore Costantino, e in seguito con l’interpretazione in chiave cristiana delle profezie di Virgilio e delle Sibille, figure queste che hanno contribuito alla fortuna di Augusto tra Medioevo e Rinascimento grazie ad alcuni racconti riportati nei Mirabilia Urbis. Si riteneva in particolare che la Sibilla Tiburtina avesse profetizzato la venuta di Cristo. Secondo una nota leggenda, Ottaviano Augusto un giorno fece venire sul Campidoglio la Sibilla per interrogarla sui futuri onori che gli sarebbero venuti dal cielo. Ma quella rispose che dal cielo sarebbe venuto un re che avrebbe regnato in eterno. A quel punto il cielo si aprì e Augusto ebbe la visione di una vergine di meravigliosa bellezza seduta su un altare con un bambino in braccio. Sul luogo fu poi edificata la chiesa di Santa Maria dell’Ara Coeli, con una chiara allusione all’altare della visione. Un dipinto del Garofalo illustra questo vaticinio, come pure il paliotto d’altare della basilica dell’Ara Coeli (calco del Museo della Civiltà Romana). Il nome di Virgilio nell’immaginario collettivo era spesso associato, invece, a quello della Sibilla Cumana, splendidamente raffigurata in mostra in un dipinto del Domenichino (dai Musei Capitolini). Lo stesso poeta, che nell’Eneide aveva cantato la profetessa, si era fatto come lei profeta annunciando la nascita di Cristo. Questa profezia veniva individuata nella IV egloga, quella del ritorno dell’Età dell’oro, annunciato dalla nascita di un fanciullo divino. Parole come puer (bambino) e Virgo (vergine) furono riferite a Gesù e alla Madonna, anche se il puer del poeta era con tutta probabilità il figlio di Asinio Pollione, suo protettore, e la virgo era Astrea, ovvero la Giustizia, quanto mai necessaria perché si realizzasse a Roma un’utopistica età di pace e gloria. Le sezioni successive ci parlano dell’importanza dell’eredità romana per la formazione dell’idea di impero da Carlo Magno a Federico II di Svevia, quindi alla rievocazione dell’idea con Dante, Petrarca e Cola di Rienzo, fino ad arrivare al Rinascimento. In seguito, un grande imperatore come Carlo V d’Asburgo riattualizza l’autorappresentazione del comando sullo sfondo dell’antichità dei Cesari. Lo faranno anche altri monarchi come Carlo IX di Francia, Elisabetta I d’Inghilterra (che si rifà alla Virgo virgiliana), Rodolfo II d’Asburgo, Ivan IV il Terribile. Uno straordinario dipinto di Rubens, “Il ritrovamento di Romolo e Remo” (1612), prestato dai Musei Capitolini, evidenzia come nella cultura del Seicento il mito di Roma è fortemente sentito. Se da un lato Rubens segue alla lettera la tradizione antica con la raffigurazione del ficus Ruminalis, alla cui ombra venivano allattati i gemelli divini da una lupa, dall’altra aggiunge di suo un picchio che porta ai gemelli tre ciliegie, interpretate come simbolo della passione di Cristo e insieme della Trinità. Dopo l’età dei grandiosi monarchi si assiste nel Seicento alla rinascita del mito virgiliano dell’Arcadia, un paesaggio spirituale che diventa un rifugio contro la delusione e l’incertezza dei tempi. Un bel dipinto del Lanfranco mostra Erminia, eroina della Gerusalemme liberata, che arriva presso alcuni pastori, dove può spogliarsi delle armi e immergersi nella semplicità bucolica. La mostra prosegue con Napoleone Bonaparte, l’ultimo grande sovrano francese che si ispira come condottiero a Giulio Cesare e come imperatore ad Augusto. Non è un caso che conferisca al figlio il titolo di Re di Roma. “Augusto e i totalitarismi del Novecento” è il tema dell’ultima sezione, nella quale è rievocata, attraverso foto e reperti, la visita di Hitler e Mussolini al Museo delle Terme e la loro sosta davanti ai frammenti non ancora ricostruiti dell’Ara Pacis (1938). P.S.“L’arte del comando. L’eredità di Augusto” Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta, Roma Orario: dalle 9 alle 19; lunedì chiuso Diritti di copyright riservati |