Rubrica: LETTURE CONSIGLIATE

L’essenza del bene comune, (Editore Fazi Roma, 2009)

L’ESPERIENZA DELLA GERMANIA

Nella testimonianza del leader socialdemocratico
venerdì 12 febbraio 2010

Argomenti: Mondo
Argomenti: Politica
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Argomenti: Helmut Schmidt

L’esperienza post-bellica della Germania democratica è stata contraddistinta dalla presenza di due grandi personalità che hanno rappresentato rispettivamente la sua ala moderata nell’esponente del movimento politico di matrice cristiana Adenaur e la sua ala socialista nel combattivo Brandt. Ora reca un interessante contributo alla conoscenza del Cancelliere Helmut Schmidt, il volume da lui scritto L’essenza del bene comune, pubblicato dall’editore Fazi (Roma, 2009).

L’autore ha cercato di raccogliere in questo libro il frutto delle sue esperienze politiche che condussero, dal 1974 al 1982, al cancellierato. Figura di forte preparazione a livello internazionale, Schmidt illustra in particolare le sue conoscenze ed opinioni in materia economica, alla quale si è applicato con grande impegno ed una pratica azione, cercando sempre di contemperare le sue idee con una attenzione continuata alla realtà, non solo riguardante la Germania che in quegli anni attraversava la fase dura della divisione con la repubblica sottoposta all’Est all’Unione Sovietica. Conoscitore delle condizioni reali del paese, come delle difficoltà internazionali, egli curerà incessantemente i rapporti con le istituzioni internazionali, con gli Stati Uniti e con gli altri paesi della Nato, dopo l’ammissione del proprio paese nell’alleanza.

Egli non si tira indietro di fronte alle chiusure e agli ostacoli, cerca di “ascoltare” anche il punto di vista delle personalità emerse negli altri paesi assunte a poteri dittatoriali. L’importante – a suo avviso – è conoscere bene i dati concreti delle singole situazioni, dall’Europa al Medio Oriente, sino ad una visione “globale”. Particolarmente interessante in capitolo “I tedeschi come vicini”, nel quale Schmidt si sofferma ad affrontare i problemi più delicati relativi alle conseguenze della guerra e alla divisione del suo paese, di cui sottolinea aspetti specifici della vita politica nelle scelte via via determinatesi, risalendo ai precedenti storici della “frammentarietà” della Germania. Sulla base poi dell’esperienza personale, l’esponente socialdemocratico non esita a parlare dei suoi “errori”, oltre a sottolineare la sua lealtà nei confronti di Willy Brandt, di cui raccolse l’eredità a livello di partito e di governo. Capitolo per capitolo si succedono alcuni dei nodi più intricati nei quali si trovò ad operare come deputato e poi come Cancelliere e dedica molte pagine a chiarire sue scelte e decisioni che misero a rischio la sua posizione politica oltre alle strutture istituzionali della repubblica di Bonn e dell’Europa.

L’esigenza di saper affrontare i nuovi problemi con una mentalità aderente al variare delle situazioni mantiene però idee chiare i cui risultati maggiori risultano quando espone le sue opinioni sui vari problemi, dai demografici alla politica internazionale, sino alla globalizzazione. Le pratiche del “capitalismo predatore” vanno – egli afferma – affrontate avendo di mira la massima cooperazione tra i governi delle grandi economie mondiali, senza le quali infatti è impossibile cercare fattori stabilizzanti, a cominciare dalla ristrutturazione delle banche. Rileva che la classe politica americana è contraria ad una riorganizzazione dei mercati finanziari globali. Si entra così nel vivo di quello che per Schmidt è un problema fondamentale: adottare cambiamenti in grado di rinnovare le strutture economiche e sociali, cominciando dal potenziamento della ricerca e della formazione. Nessuna economia di mercato è in grado di creare automaticamente un ordine di mercato, concorrenza e giustizia sociale per i più deboli, donde la necessità di intervenire per bloccare l’influenza dei grandi gruppi industriali e dei “lobbisti”, senza per questo colpire le iniziative degli imprenditori – proprietari che in Germania hanno svolto una attività significativa. Il Welfare State – scrive – ha addomesticato e civilizzato il capitalismo, ma la politica democratica è esposta ai rischi dell’ “ordoliberalismo” che rifiuta di prendere atto del pieno coinvolgimento nell’economia globale. Come Germania e Giappone si sono ricostruire senza muovere da una teoria economica, da una ideologia così oggi è necessario tener presente l’indispensabile interazione dei diversi fattori, partendo da una politica che possa guidare una economia capace di mantenere piena occupazione e coesione sociale. Il richiamo ai valori religiosi, all’invito alla tolleranza tra i praticanti di differenti fedi lo induce a sottolineare il valore fondamentale che ebbe la scelta del 1959 che indusse i socialdemocratici ad abbandonare posizioni fumose per riaffermare i diritti irrinunciabili di libertà e di giustizia solidale, basando l’impegno politico ad una comune piattaforma morale in contrapposizione alle dittature in nome delle virtù della ragione e delle responsabilità, senza “pretendere miracoli dalla nostra democrazia”.

Un discorso certamente onesto e corretto, ma forse troppo impregnato di speranze nella “virtù”, con il rischio poi che la sua bella testimonianza sia troppo ottimistica rispetto al groviglio inevitabile delle condizioni reali del mondo globalizzato.



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