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Rubrica: PASSATO E PRESENTE

Addio, caro Arturo: resti sempre nel cuore degli amici

lunedì 15 giugno 2009

Argomenti: Ricordi

Nel pomeriggio del 13 giugno, Arturo Capasso è scomparso a Napoli, ove era nato nel 1935. Dopo un’esperienza nell’azienda famigliare specializzata nel commercio dei tessuti, aveva preferito dedicarsi al giornalismo. Quale inviato speciale, esperto in questioni sovietiche, faceva numerose inchieste, pubblicate su riviste e periodici poi condensate in diversi saggi. L’ultima sua opera (edita dal Club di Autori Indipendenti di Milano, seconda edizione nel giugno 2009) s’intitola Il mio Gesù.

Vivere a Napoli è cosa difficile, addirittura infernale dicono i mass media avvalorando un luogo comune privo di fondamenta nella realtà. Sul golfo si vive bene o male come in tutti gli altri posti del mondo: è questione di mentalità, e anche di postazione urbana. Esistono anche autentici angoli di Paradiso e uno di questi è offerto da Marechiaro, spicchio di naturale bellezza che l’uomo non ha ancora profanato.

Proprio sullo scoglio di Marechiaro è venuta meno una persona dalla forte tempra culturale e dalla profonda sensibilità spirituale. Arturo Capasso, un Amico per chi scrive e per l’intera famiglia di Scena illustrata alla quale collaborava con fervore e competenza.

Arturo aveva la capacità carismatica di coinvolgere, nelle azioni e nelle discussioni. La nostra amicizia risaliva a tempi antichi nelle aule dell’Università dove ci sentivamo studenti “diversi” per aver scelto, in poche decine, il corso di laurea in Scienze politiche. Scelta che rappresentava una novità ed una forzatura per la mentalità di Napoli negli anni Cinquanta.

Era forse un atto di coraggio, e certamente un tentativo per distinguerci dalla massa di iscritti a Giurisprudenza. E assieme fondammo un’Associazione esclusiva di studenti per affrontare i nostri problemi e preparare le nostre speranze. Ci sentivamo coscienti e forti (più tardi, nell’Organismo rappresentativo universitario avremmo inserito queste istanze in un contesto più ampio).

Sin dall’inizio ci trovammo sintonizzati su vari piani: per formazione interiore, inseriti entrambi nella Gioventù di Azione cattolica; per visione della vita, amando appassionatamente i viaggi e le avventure (per me l’autostop e i campi di lavoro all’estero; lui con le scorribande su navi e i corsi di studio in Russia e in Scandinavia); per propensione professionale, infine, con il giornalismo nelle vene.

Nel 1957 le nostre strade parallele si diversificavano all’improvviso. Entrambi selezionati per partecipare al Festival mondiale della gioventù di Mosca, io dovetti rinunciarvi (e quanto mi costò!) perché appena assunto in un ottimo istituto; invece Arturo, ancora libero, partiva ponendo le basi per il suo futuro professionale.

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Vista dal Golfo di Napoli da casa Capasso

Amicizia lunga e rinsaldata nel tempo con incontri sporadici fino alla saldatura della maturità, grazie anche alla comune attrazione verso i libri. Ci ritrovammo così sotto l’ala dell’Aldus Club, il circolo di bibliofilia promosso da Mario Scognamiglio, libraio e giornalista con lunga permanenza in Unione sovietica dove aveva conosciuto Arturo.

Così l’Almanacco del bibliofilo diventava ritrovo per il nostro cenacolo letterario, ogni anno nella sede più adatta per il tema trattato: tra le più recenti tappe, il Castello di Milano, la Marciana di Venezia, il Quirinale di Roma, la Biblioteca nazionale di Napoli.

Vorrei però ricordare Arturo sotto un profilo diverso, e certamente più affascinante. La sua umanità espressa sotto forma di sposo, padre, nonno, conversatore amabile e disponibile, imprenditore ecologico di prodotti agricoli a livello famigliare.

Meridionalista di salda tempra, il nostro Capasso non si lasciava incantare dalla passione dei luoghi: chiaro nelle diagnosi e implacabile nei giudizi, amava Napoli senza lasciarsi incantare. Si mostrava moderato nella critica quanto preciso nell’incalzare i responsabili dell’inefficienza amministrativa.

La guida del paese – secondo Arturo – andava portata avanti come la conduzione della comunità, con senso di grandezza ma senza indulgere a inutili sperperi. E lo stesso metro utilizzava quale pater familias di antico stampo nel guidare i suoi cari. Sobrietà mista a tenerezza infinita.

Di questo carattere la migliore testimone (ed è tutto dire) appare adesso Polpetella, adorata nipotina, che gli ha scritto una lettera nell’aldilà: “Ci faremo forza ma tanto so che non ci farai mai sentire soli. Grazie per avermi dato la gioia di conoscerti e di poterti essere così vicina… Buona notte nonnino”.

Cosa può aggiungere un estraneo, sia pure amico, a un Uomo che ha speso tanto bene la sua vita terrena? Grazie per quanto, impalpabilmente, hai saputo donare a tutti…



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