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Rubrica: PASSATO E PRESENTE

IL SOFFITTO DELLA CHIESA S.MARIA NOVA A NAPOLI

domenica 2 gennaio 2022

Argomenti: Arte, artisti

Il soffitto cassettonato più bello d’Italia è senza ombra di dubbio quello che domina la chiesa di S. Maria la Nova a Napoli. Per descriverlo utilizzeremo l’incipit del primo dei dieci tomi de "Il secolo d’oro della pittura napoletana", l’opera immortale(consultabile in rete digitandone il titolo) scritta dal massimo tra i napoletanisti: Achille della Ragione.

"Chi volesse conoscere i massimi esempi della pittura napoletana sul far del Seicento dovrebbe, entrando nella grandiosa chiesa di S. Maria la Nova, alzare gli occhi ed ammirare lo splendido soffitto cassettonato, che da solo costituisce una meravigliosa pinacoteca di quasi cinquanta dipinti, nel quale furono impegnati i più importanti artisti napoletani del periodo, che avevano raggiunto la piena maturità ed avevano già dato prova esauriente della loro capacità nelle altre chiese napoletane, da Francesco Curia a Girolamo Imparato, da Fabrizio Santafede a Belisario Corenzio e Luigi Rodriguez. Questo straordinario soffitto costituisce una esaustiva antologia delle correnti pittoriche che dominavano in città ad inizio secolo, dalla maniera dolce e pastosa del Curia alla cosiddetta riforma toscana importata dal Santafede, in tutte le possibili declinazioni.

Il secolo d’oro della pittura napoletana, che tanto riverbero avrà sull’intera civiltà artistica europea, nasce così sotto il segno di artisti che seguono la maniera più ritardataria e provinciale, con una stanca parlata comune, quasi del tutto priva di voci dominanti, quando, come per incanto, nel primo decennio con un’apparizione improvvisa compare e scompare due volte dalla scena Michelangelo Merisi da Caravaggio. La sua presenza farà da catalizzatore delle energie locali impegnate già con gran fervore nell’ammodernamento di tutta la “Napoli sacra”, costituita da innumerevoli chiese e conventi, che si allargano e si innovano senza sosta alla ricerca di sempre maggiori fasti e onori.

Napoli è città di popolo e di vita, dove la folla stessa è paesaggio e personaggio, tutta presa tra l’immediatezza della emotività e l’astrazione del pensiero, tra l’amore e l’odio, tra la vita e la morte. Napoli che aveva in passato accolto la contemplazione creatrice di San Tommaso d’Aquino e la grassa carnalità del Boccaccio, trovò nel Seicento l’espressione della sua fama e della sua bellezza, che divennero il suo linguaggio nella pittura.

Morte, rumore, confusione e furore formano il carattere distintivo della pittura napoletana del Seicento; una turbolenza d’animo, una violenza emotiva che lasciano appena il tempo di scegliere i colori dalle tonalità accese ed asciugare i pennelli: pittura d’azione, partecipazione viva e solidarietà con la miseria del popolo, un impegno sociale oltre che artistico.. Quanta differenza nei riguardi della tranquilla pittura toscana ed umbra, che permette di meditare sulle leggi della prospettiva e di esprimere sulle tele la dolcezza delle colline e l’armonia dei paesaggi; che abisso verso i pittori di Venezia attenti e risoluti a cogliere e trasmettere sulla tela i più sottili giochi della luce!

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Francesco Curia: L’Arcangelo Gabriele con la corona raggiante

La pittura napoletana, libera da una tradizione figurativa ingombrante, fu pabulum fertile per il luminismo caravaggesco, che esaltava la realtà sensuale e turbata dell’animo umano.

Le regole formali, altrove sacre, qui vennero meno, cedendo all’estro, al gusto ed alle fantasie sfrenate del pittore e ciò accadeva mentre Venezia era come esausta dalla sua geniale fecondità., Roma chiusa nel suo sogno plastico e monumentale, Bologna stretta nel conservatorismo di rigorosa osservanza ai canoni romani.

Da noi Caravaggio, al culmine della sua forma, è subito amato e compreso, qui nascerà il paesaggio romantico, qui la materia vegetale e vivente salirà alla idealità della lirica più pura, qui si rinnoverà con più linfa il dramma visionario degli ultimi veneziani ed il fermento pittorico troverà la sua più alta espressione nelle tele e negli affreschi.

La pittura napoletana del Seicento regalerà all’ Europa la dissoluzione pittorica del manierismo nella formula decorativa del "rococò" ed al tempo stesso glorificherà il principio luminista del dualismo chiaroscurale, che sarà la sintesi spaziale di colore e di luce, con la sua visione immanentista del reale trasfigurato in ardente poesia.

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Fabrizio Santafede: Gloria della Vergine

Generalmente il Seicento napoletano in pittura viene preso in considerazione a partire dal 1606, anno del primo soggiorno in città del Caravaggio e lo si fa terminare nel 1705 con la morte di Luca Giordano. Noi viceversa ci atterremo strettamente agli anni di inizio e fine secolo dal 1600 al 1699. Questo severo criterio cronologico ci induce a trattare, anche se brevemente, di tutti quegli artisti e non sono pochi, che, figli del Cinquecento ed insensibili alla nuova cultura caravaggesca, pur continuarono a lavorare, alcuni intensamente, fino alla metà del secolo.

La grande mostra, tenutasi a Napoli nel 1984 sulla civiltà del Seicento, trascurò completamente questa generazione di artisti e così fanno anche molti testi pur autorevoli di storia dell’arte; ma non si può certo lasciare senza attenzione l’opera di tanti artisti che, richiesti da una folta committenza pubblica e privata, a carattere devozionale, continuarono, tra il decorativo e l’illustrativo, la loro opera talune volte inscurendo unicamente la tavolozza per adeguarsi, anche se superficialmente, alla nuova moda.

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Girolamo Imparato: La Vergine Assunta

Fra le correnti artistiche cinquecentesche che protrudono nel secolo successivo sono da annoverare la linea della pittura dolce che, ispirata dalla maniera di Zuccari e Barocci ha tra i suoi protagonisti Francesco Curia e Girolamo Imparato, scomparsi contemporaneamente alla venuta del Caravaggio ed il fiammingo napoletanizzato Dirk Hendricksz, il quale, poco concedendo in variazione al suo stile, lavora fino a circa il 1615. Con questi autori dobbiamo ricordare anche Giovan Antonio D’Amato, figlio di Giovan Angelo che proseguirà la bottega paterna fino al 1643. Achille della Ragione



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