Rubrica: PASSATO E PRESENTE

IL MITO DI TIRESIA

giovedì 7 marzo 2019

Argomenti: Personaggi famosi/storici

Chiamatemi Tiresia”. Così, ispirandosi all’inizio del capolavoro di Melville “Moby Dick” (“Chiamatemi Ismaele”), il grande Andrea Camilleri ha esordito nel suo spettacolo “Conversazione su Tiresia” andato in scena nel Teatro Greco di Siracusa l’11 giugno 2018 e trasmesso il 5 marzo 2019 da Rai 1.

Indubbiamente un affascinante viaggio tra mito e letteratura alla scoperta dell’eternità, che solo un uomo di età avanzata e da qualche anno privo della vista, come Camilleri, poteva compiere con la sua incredibile capacità di conversare con leggerezza e ironia, ma allo stesso tempo con una consapevolezza della vita e una cultura letteraria che ci appare illimitata.

Il cieco Tiresia, l’indovino per antonomasia, non ha niente a che fare con i veggenti impegnati a predire il futuro con sfere di cristallo o con lo studio dei vari transiti planetari, ma avrebbe acquisito la sua capacità profetica, dopo aver perso la vista per volere di una di quelle divinità che, secondo gli antichi, reggevano l’universo e decretavano il destino degli uomini. Ma vediamo cosa dice il mito a riguardo nelle sue diverse varianti.

Alcuni dicono che Atena, dopo aver accecato Tiresia perché inavvertitamente l’aveva vista nuda, mentre faceva il bagno, si lasciò commuovere dalle lacrime della madre di lui e, preso il serpente Erittonio dalla sua egida gli ordinò: ”Lava le orecchie di Tiresia con la tua lingua affinché egli possa intendere il linguaggio profetico degli uccelli”.

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Tiresia in un acquerello di FUI SSLI

Ben più suggestivo è il mito secondo cui l’indovino, figlio della ninfa Cariplo e del tebano Evereo, acquistò le sue facoltà dopo essere stato sia uomo che donna. Si racconta, infatti, che il giovane Tiresia, mentre si trovava a caccia sul monte Citerone (o secondo altri sul monte Cillene), vide due serpenti nell’atto di accoppiarsi. Egli li colpì con il suo bastone, uccidendo la femmina. Afrodite lo vide compiere quel gesto e lo punì trasformandolo in una fanciulla. Tiresia visse per sette anni nella sua condizione di donna, divenendo una celebre prostituta. Ma un giorno, dopo sette anni, vide nuovamente due serpenti allacciati nel nodo d’amore. Per la seconda volta li colpì, uccidendo stavolta il maschio. E fu così che riacquistò la sua virilità.

Tempo dopo, sull’Olimpo, quando Era rimproverò a Zeus le sue infedeltà, Zeus si difese sostenendo che, tuttavia, quando egli divideva il suo letto, era lei a provare il più grande godimento. “Le donne, naturalmente, assaporano nell’atto sessuale un piacere molto maggiore che gli uomini”, affermò Zeus con convinzione. La dea si sentì offesa e gridò: “Che assurdità! Accade esattamente il contrario e tu lo sai!”.

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LA GIOVANE TIRESIA DIVENTA UOMO

Per porre fine alla discussione si pensò di mandare a chiamare Tiresia, che aveva provato la duplice esperienza. Fu quindi lui a emettere il giudizio: “Se in dieci parti dividiamo il piacere d’amore nove vanno alla donna e una sola all’uomo”.

Era fu così esasperata dall’aria di trionfo di Zeus che accecò Tiresia. Ma Zeus lo ricompensò prontamente con il dono della chiaroveggenza e una vita che si sarebbe prolungata per sette generazioni.

Le sue previsioni furono moltissime, legate soprattutto alle leggende del ciclo tebano trasmesse dai grandi tragici greci Eschilo e Sofocle. Fu lui che rivelò ad Anfitrione il tradimento della moglie Alcmena con Zeus, predisse che un giorno Edipo avrebbe ucciso il padre e sposato la madre e fu sempre lui che, recatosi alla corte di Edipo, palesò al re la volontà degli dèi: la terribile pestilenza che imperversava sarebbe cessata solo se uno degli uomini Sparti fosse morto per il bene della città. Svelò anche la metamorfosi della ninfa Eco e la tragica fine di Narciso. La morte di Tiresia, secondo la tradizione, avvenne durante l’attacco degli Epìgoni a Tebe. Dopo essere fuggito dalla città, bevve l’acqua freddissima della sorgente Telfusa e fu colto da crampi violentissimi, che lo portarono in breve tempo alla morte.

Ma l’indovino era così saggio che perfino la sua ombra conservò la capacità di vedere ciò che non era concesso agli altri. Per questo motivo Omero nell’Odissea lo colloca nell’Ade, dove rivela a Ulisse il suo destino. Episodio celeberrimo, che sarà ripreso dall’Ariosto nell’Orlando Furioso, quando fa predire all’ombra del mago Merlino le vicende della casa d’Este.

Questi sono i miti più antichi, ma Camilleri nella sua “conversazione” ci ha fatto conoscere anche i letterati che nel corso dei secoli hanno parlato di Tiresia, da Dante, che lo colloca nell’Inferno, ai più recenti Guillome Apollinaire col suo dramma surrealista “Le mammelle di Tiresia, Thomas Stearns Eliot (“La terra desolata”), Ezra Pound con i suoi “Cantos” e altri ancora.

Il mito di Tiresia, pur antichissimo, è sempre attuale per quel concetto di metamorfosi, che è insito nel divenire e che oggi può anche trasformarsi in realtà. Quanto alla previsione del futuro, che ha sempre affascinato gli uomini (compresi re, imperatori e papi) può far sorridere gli scettici, ma anche apparire come uno strumento che può aiutare ad affrontare i problemi esistenziali con maggiore consapevolezza.

Del resto Jung, uno dei padri della psicoanalisi, ci ricorda che “Le grandi decisioni nella vita umana solitamente hanno molto più a che fare con gli istinti e con altri misteriosi fattori inconsci, che con la volontà conscia e la ragionevolezza significativa. Ciascuno di noi porta dentro di sé la propria forma di vita, una forma occulta che nessun altro può controllare”.

Controllare forse no, ma prevedere sì. Almeno secondo gli indovini.



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