Rubrica: CULTURA

GIULIA DOMNA L’IMPERATRICE VENUTA DALLA SIRIA

Mostra Roma Universalis
martedì 26 febbraio 2019

Argomenti: Storia

Sempre più spesso le mostre di arte e archeologia non sono mere esposizioni di opere e documenti storici, ma si aprono a interessanti approfondimenti culturali grazie alla disponibilità di studiosi ed esperti del settore.

La mostra Roma Universalis. L’impero e la dinastia venuta dall’Africa, che si tiene nel Parco archeologico del Colosseo fino al 31 agosto 2019, offre gratuitamente agli interessati una serie di conferenze sulla dinastia dei Severi che si tengono nella Curia di giovedì pomeriggio.

Tra queste, particolarmente interessante è stata la lectio magistralis tenuta da Francesca Ghedini su Giulia Domna, l’imperatrice moglie di Settimio Severo e madre di Caracalla e Geta. La professoressa Ghedini, che dobbiamo ringraziare anche per aver curato a Roma la splendida mostra su Ovidio, conclusasi da poco nelle Scuderie del Quirinale, ha studiato il personaggio di Giulia Domna, alla quale ha dedicato una monografia diversi anni fa, e ne è rimasta talmente affascinata da dichiarare che la sua vita “meriterebbe la penna di un drammaturgo”, più che di un semplice biografo.

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Ritratto di Geta fanciullo

Nel mondo romano le donne di potere che si ricordano non sono tantissime, perché pur avendo avuto un ruolo importante nella vita e nelle scelte ideologiche di diversi imperatori, le donne “imperiali” non erano così presenti nella vita pubblica, secondo quella tradizione che relegava le donne a un ambito domestico e religioso, ovviamente con qualche eccezione.

Giulia Domna è una delle poche che è riuscita a gestire in prima persona una piccola fetta di potere. Il suo prestigio è confermato dal titolo di Augusta, dalla monetazione a lei dedicata e dalla divinizzazione post mortem. Gli autori antichi che ne parlano sono Cassio Dione, Erodiano e gli Scriptores Historiae Augustae.

La sua immagine è presente nei più importanti monumenti di età severiana e innumerevoli sono i suoi ritratti iconici distinguibili dalla particolare acconciatura (o parrucca) a onde regolari sul davanti e crocchia dietro la testa.

In quanto moglie e madre di imperatori, la sua importanza può essere paragonata a quella di Livia, la celebre moglie di Augusto e madre di Tiberio.

Entrambe da giovanissime sono state oggetto di un vaticinio che profetizzava loro un avvenire radioso (nel caso di Giulia Domna l’oracolo si pronunciò prefigurando che sarebbe stata regina). E fu forse proprio in virtù di questo oracolo che l’ambizioso Settimio Severo la chiese in moglie, quando era governatore della Gallia Lugdunensis.

Lui era vedovo ed era molto più grande di Giulia, che nel 187 (data del matrimonio) doveva avere 14-17 anni. La fanciulla, che aveva ricevuto un’ottima educazione e conosceva il greco e il latino, era siriana e affrontò un viaggio lunghissimo per andare incontro a un destino che l’avrebbe legata indissolubilmente a uno sconosciuto, con il quale avrebbe dato origine alla dinastia dei Severi.

Giulia Domna era nata a Emesa, un’importante città siriana sul fiume Oronte, punto cruciale dei commerci tra Oriente e Occidente. Ci è ignota la data di nascita, ma doveva essere compresa fra il 170 e il 174. Era figlia secondogenita di Giulio Bassiano, grande sacerdote del Sole, erede forse di una dinastia locale, che si era affermata in Siria con la fine dell’impero seleucide fra la fine del I secolo a. C. e l’età flavia.

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Ritratto di Settimio Severo

Settimio Severo, invece, era nato nel 146 (o forse nel 145) in Africa, a Leptis Magna, da una famiglia di rango senatorio. Nel 193 egli venne acclamato imperatore, dopo una lunga sequenza di guerre civili che seguirono all’assassinio di Commodo (192), dalle legioni di stanza a Carnuntum (presso Vienna), in Pannonia.

Giulia, che all’epoca risiedeva a Roma, lo raggiunse con i figli per non essere esposta alle rappresaglie dei nemici del marito. Nel desiderio di dare legittimità al suo regno, Settimio proclamò una sua discendenza ideale da Marco Aurelio, l’ultimo degli imperatori adottivi e padre di Commodo. Ed è per questo che nella mostra ospitata al Colosseo è proprio un ritratto di Marco Aurelio che precede le immagini della coppia imperiale, ovvero un busto di Settimio Severo e una statua a figura intera di Giulia Domna, raffigurata come Cerere.

Costante fu l’attenzione di Severo per il mondo militare, tanto da consigliare ai figli, in punto di morte, di prestare attenzione soltanto ai soldati e la stessa Giulia Domna sottolineò spesso la sua vicinanza all’ambiente militare assumendo nel 195 il titolo di “mater castrorum” (che era stato coniato per Faustina minore, moglie di Marco Aurelio).

I due figli della coppia erano Lucio Settimio Bassiano (Caracalla), nato a Lugdunum (Lione) nel 188 e Publio Settimio Geta, nato a Roma nel 189. Geta fu sempre in secondo piano rispetto al fratello maggiore e forse per questo i loro rapporti furono difficili fin dall’infanzia e spesso richiedevano la mediazione della madre.

Nel 196 Caracalla assunse il titolo di Cesare e nel 198 quello di Augusto, mentre Geta divenne Cesare. E Giulia Domna di conseguenza venne proclamate “mater Augusti et Caesaris”.

Durante la campagna contro i Britanni, iniziata nel 207, Settimio Severo pubblicizzava una famiglia felice che condivideva il potere. Caracalla era vicecomandante dell’esercito, Giulia Domna consigliera di fiducia dell’imperatore e Geta aveva compiti amministrativi e burocratici. Ma, quando Settimio Severo morì a York nel 211, i dissidi tra i fratelli, che Settimio avrebbe voluto uniti nel dominio, esplosero.

I due furono proclamati insieme imperatori e ritornarono insieme a Roma, ma il 1° febbraio del 212 Geta venne fatto uccidere per mano di un centurione dal fratello, e morì tra le braccia della madre in una scena di violenza che sarebbe piaciuta a Shakespeare. Colpito da damnatio memoriae per volere di Caracalla, la sua immagine e il suo nome furono erasi dai monumenti severiani, come si vede nell’iscrizione dell’Arco di Settimio Severo nel Foro Romano e nel rilievo dell’Arco degli Argentari, sempre a Roma.

Il ritratto di Geta bambino, prestato dalla Gliptoteca di Monaco di Baviera per la mostra romana, con la sua aria malinconica sembra preludere alla sua tragica fine. Del resto Caracalla aveva già rivelato la sua indole sanguinaria con l’uccisione del suocero Plauziano, che a lungo aveva osteggiato Giulia Domna, tanto da indurla ad allontanarsi da Roma (era ritornata in Siria e nel suo esilio si era circondata di filosofi).

Giulia Domna, pur amando tantissimo Geta, non se la sentì di andare contro l’altro figlio e avallò le dichiarazioni di quest’ultimo per salvare se stessa e il principato di Caracalla, che avrebbe legato di lì a poco il suo nome alla “Constitutio Antoniniana” del 212, un editto che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti liberi dell’impero, rendendolo così quanto mai “universale”.

Nel 213 Caracalla partì per la Germania e Giulia Domna si occupò ufficialmente della corrispondenza. Dopo diversi spostamenti della famiglia imperiale in Asia e in Bitinia, ad Antiochia e in Egitto, l’8 aprile del 217 Caracalla venne assassinato nel corso della campagna contro i Parti in una congiura ordita dal suo prefetto del pretorio Macrino, che si proclamò imperatore al suo posto. Nell’estate dello stesso anno anche Giulia Domna, non avendo più un figlio da amare, si lasciò morire d’inedia.

Ma la dinastia dei Severi non finì lì, perché dopo l’uccisione di Macrino nel 218, divenne imperatore Elagabalo, figlio di Giulia Soemia (nipote di Giulia Domna), e dopo di lui nel 222 Severo Alessandro, all’epoca tredicenne, e in questo caso il potere venne esercitato dalla nonna Giulia Mesa (sorella di Giulia Domna) e dalla madre Giulia Mamea.

Secondo Francesca Ghedini, “il ruolo dell’Augusta venuta dalla Siria non cambiò il corso della storia delle donne; il suo ruolo egemone fu legato alla sua personalità, alla sua intelligenza politica, alla sua propensione al compromesso, seppe gestire il potere con equilibrio tra tradizione e innovazione”.

Nell’innovazione iconografica balza subito agli occhi il gesto della “dextra elata”, la mano destra sollevata, che è di matrice orientale. Nell’arco di Settimio Severo a Leptis Magna, la troviamo raffigurata in tutti e quattro i rilievi, relativi alla Pietas, alla Concordia, alla Virtus/Vittoria e all’Aeternitas Imperii. Di lei si ricorda anche che è stata protettrice di filosofi, giuristi, poeti, scienziati (ricordiamo in particolare il filosofo neopitagorico Apollonio di Tiana e il medico Galeno) e che contribuì a favorire la diffusione del culto del Sole (che a Emesa era venerato sotto forma di una pietra nera aniconica) a Roma e nelle province occidentali dell’Impero, particolarmente nell’Africa nordoccidentale.

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Giulia Domna come Cerere

A giudicare dalle immagini pervenute, che la ritraggono sia giovane che matura, Giulia Domna doveva essere d’una bellezza regale. Grandi occhi, viso ovale, labbra regolari, capelli scuri e ondulati disposti quasi a formare un’aureola. L’espressione calma e austera rivela la fermezza di carattere e la dignità di una donna che seppe sempre essere all’altezza del suo rango, dolce ma insieme capace di raggiungere i suoi fini.

A noi riesce difficile pensare che questa donna immortalata dal marmo sia stata un giorno umana e vitale, che abbia sofferto, amato, vissuto come noi, ma forse, dopo le parole di Francesca Ghedini, possiamo immaginarla quando ancora fanciulla sotto il sole della Siria era in attesa di un grande avvenire e poi nel momento più tragico della sua vita, quando accolse tra le braccia il figlio più giovane, colpito a morte per volontà del fratello.

I Giovedì del Parco.

Calendario dei prossimi incontri nella Curia Iulia
Foro Romano, Largo della Salara Vecchia, Roma
Ingresso libero fino a esaurimento posti (100 posti seduti e 30 in piedi)

7 marzo Ore 16.30

Luisa Musso, professoressa di archeologia delle province romane presso l’Università di Roma Tre e Matthias Bruno, archeologo, illustreranno i forti legami tra la dinastia dei Severi e la città di Leptis Magna, descrivendo inoltre i risultati dei recenti scavi condotti in Libia.

28 marzo Ore 16.30

Moncef Ben Moussa, già direttore del museo del Bardo e attualmente direttore dello sviluppo museografico presso l’Institut National du Patrimoine de Tunis, affronterà il tema della gestione del patrimonio archeologico e museale della Tunisia.

4 aprile Ore 16.30

Sebastiano Tusa, archeologo e assessore regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana illustrerà “Una battaglia ritrovata nelle acque delle Egadi”



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