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Rubrica: PASSATO E PRESENTE

Integrazione e reciprocità

Esoh Elamè - Non chiamatemi uomo di colore
mercoledì 12 marzo 2008

Argomenti: Interviste
Argomenti: Mondo
Argomenti: Opinioni, riflessioni
Argomenti: Sociologia

Il libro di Esoh Elamè Non chiamatemi uomo di colore, edito dalla Emi, pone numerosi problemi che gl’immigrati africani devono affrontare ogni giorno, ma che hanno radici antiche.

L’autore è un bantu del Camerun ed insegna alla Cà Foscari di Venezia. Svolge un intenso lavoro di ricerca anche presso altre istituzioni universitarie europee.

Quando ho letto la dedica “Alle mie figlie…e a tutti i neri italiani” ho subito appuntato una noterella: e perché la dedica non è estesa a tutti gli uomini di buona volontà? Forse, anzi sicuramente, questa era anche l’intenzione dell’autore, che nella nota introduttiva scrive: “spero sinceramente che tutti gli uomini e le donne di buona volontà sappiano comprendere il mio messaggio”.

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Non chiamatemi uomo di colore

Schiavitù

Dedica molte pagine ai due termini negro e nero, sui quali tornerò fra poco. Desidero invece riprendere il discorso sulla schiavitù. Tempo fa ho intervistato il pittore Ernest Weangai, nativo di Bangui, Repubblica Centrafricana. Fra l’altro gli ho chiesto: “Anni fa, visitando un suk a Tunisi, vidi in un angolo – a terra – delle catene e chiesi cosa fossero. Mi fu risposto che erano le catene con le quali si tenevano gli schiavi. E’ inutile che ti dica d’aver provato un grande senso di colpa e d’umiliazione. Ma voi Africani, come ricordate quei tempi? E i loro protagonisti?”.

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Visita virtuale di Gerée

Il mio interlocutore così rispose: “Sono le fatiche del passato che il tempo fatica a cicatrizzare, giacché esse hanno toccato il cuore dell’Africa. Ma ci sono altre sofferenze e catene invisibili, come la menzogna religiosa. Durante questa epoca buia della storia il signor Requin, ministro delle cllonie francesi, suggerì per iscritto ai governanti ed ai preti di veicolare i sentimenti suscitati da alcuni testi biblici, persuadendo gli africani a rinunciare alle ricchezze e ad ogni ascesa sociale. Per mimetismo e sotto un’influenza culturale imposta abbiamo dovuto sottometterci nel corso degli anni e tutto questo ha allontanato la nostra cultura primitiva. I tempi che tu evochi si riferiscono alle derive colonialiste che sono proseguite a lungo col neocolonialismo”

Li abbiamo presi, sradicati, li abbiamo portati incatenati nelle Americhe. Forse la pubblicità più offensiva che io abbia mai letto apparve su un periodico statunitense: “Due tonnellate di negri appena giunti. Sono di robusta costituzione, denti sani”. Erano costretti a coltivare cotone, tabacco, caffé; hanno contribuito in modo determinante alla formazione di enormi ricchezze per poche persone. Ma non è tutto. Le materie prime, i minerali, i prodotti della terra: tutto ci andiamo a prendere. Sì, paghiamo. Ma quanto? Poco, molto poco, quattro soldi.

Negro, nero

Elamè scrive: “Il termine negro…deriva da una parola spagnola che significa nero, in riferimento al colore della pelle…riconduce al latino niger – nero – …ha assunto un significato dispregiativo …con la tratta atlantica Quel terribile commercio durò ben quattro secoli, (XV-XIX).

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Africa - Senegalese

E’ molto polemico sull’uso ed abuso che si fa di tale termine e – per quanto riguarda l’Italia – cita vari dizionari, fra i quali il Garzanti. Sono andato a leggermi quella voce, ma ho trovato anche una nota che desidero riportare, per onestà d’informazione: “La parola negro è stata spesso usata in modo spregiativo; per questa ragione si preferisce sostituirla con nero ed è quasi del tutto caduta in disuso in espressioni riferite alla cultura”.

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Africa - Senegalese

Sempre alla stessa voce troviamo due citazioni dal Canzoniere del Petrarca: in veste negra e tristi auguri e sogni e penser’ negri. Nel Webster’Third New Internationala Dictionary il Negro e’ “a member of the black race of mankind”.

Il volume 11 dell’Encyclopaedia of the Social Sciences dedica ben sedici pagine al Negro problem, con una ricca bibliografia

Ritengo che i due termini sui quali tanto s’intrattiene il nostro autore siano un problema per le lingue di derivazione latina.

Africa in vendita

Voglio bene agli Africani. La loro dignità, le lunghe attese per un lavoro. Mattino di sabato: strada provinciale fra Quarto e Qualiano, in provincia di Napoli. E’ ancora presto, sono le sette, ma stanno già in attesa.

Sono a piccoli gruppi, si appoggiano a qualche muretto o restano in piedi. Uno è in ginocchio a pregare.Chi parla, chi resta assorto nei suoi pensieri. Qualcuno ha una busta di plastica fra le mani.

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Africa - Senegal

Alti, magri, con grossi giubbotti e cappelli a falda larga. Sono africani, la pelle color ebano. Verso le nove si avviano, mesti; qualcuno fa roteare la busta di plastica con la colazione frugale. Non è andata bene, non c’è lavoro, almeno per oggi.

Tutti questi uomini, tutti ad offrire le braccia per un pezzo di pane da mandare a casa. L’Africa è in vendita. E a sera la vendita continua, ma è diversa.

Questa volta sono le ragazze. Anche loro attendono. Accomodatevi, braccia e corpi in vendita. E che altro possono offrire, questi poveri cristi?

Reciprocità, tolleranza

Desidero concludere queste note con un invito ed un augurio. Parliamo, cerchiamo di capire e di farci capire. Ma non siamo ancora ad una vera sentita necessaria reciprocità

Ascolta, è l’alba e si sta alzando la preghiera verso il cielo. Al primo canto se ne uniscono altri ed altri, in tutto il Paese, in tutto il mondo: è un alzare le braccia al cielo e pregare.

Vieni da me, la porta della mia casa è sempre aperta. Puoi sederti, restare in piedi, genufletterti; sei libero di disporre il tuo corpo nel modo migliore per elevare il tuo spirito.La mia porta è aperta, è stata sempre aperta.

Ed io, posso venire da te? Spesso trovo la porta chiusa, sbarrata. Perché? Non hai fiducia? Lo so, lo so, troppe volte non ci siamo capiti e le cattive intenzioni creavano sempre più allontanamento. Ma ora, vedi, sono qui per invitarti ad aprire anche la tua porta. Solo in questo modo sarà possibile unirsi e pregare. Solo in questo modo la dignità di uomo – da parte mia e da parte tua – sarà ampiamente riconosciuta.

E’ difficile? E’ impossibile?. E’ necessario provare, sperare. La speranza – come ha scritto un grande scrittore – è così bella e non costa nulla.

Apri la tua porta, uomo, amico, fratello.

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Isola di Gorée
Monumento alla liberazione dalla schiavitù

P.S.

Perchè Gorèe

Per capire la storia dell’Africa bisogna andare a Gorée (presso Dakar – Senegal).

In quest’isola del Senegal venivano concentrati gli schiavi provenienti da tutta l’Africa e da qui partivano in convogli per l’America. Venti milioni di africani sono arrivati nelle americhe ma soltanto uno su dieci vi arrivava vivo, gli altri nove morivano durante la razzia, la prigione di Gorée o durante il viaggio.

L’arretratezza dell’Africa non è dovuta alla povertà ma alla tratta degli schiavi, venti milioni di figli hanno perso la vita In quello che è stata Gorèe per decenni e decenni, c’è la risposta a molti problemi dell’Africa d’oggi.

Notazione dal sito: http://www.goree.it/home.html

La visita virtuale all’isola di Gorée è stata presa dal sito http://webworld.unesco.org/goree/en/index.shtml che si ringrazia.



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