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Rubrica: ITINERARI E VIAGGI

Una citta assolutamente da visitare!

VOLTERRA

Compresa tra le dannunziane città del silenzio, ha un aspetto medievale e conserva notevoli testimonianze del suo passato etrusco e romano
sabato 12 maggio 2018

Su l’etrusche tue mura, erma Volterra,
fondate nella rupe, alle tue porte
senza stridore, io vidi genti morte
della cupa città ch’era sotterra.

La diffusione del turismo di massa con i suoi rumori ha lambito perfino Volterra, che ad un poeta ricco di immaginazione come Gabriele D’Annunzio era apparsa immersa in un’atmosfera particolare di silenzio e di morte. Alla sua vista apparivano le estese necropoli tra l’aspetto orrido e desolato delle crete che costituiscono il colle sul quale sorge la città, rese ancora più affascinanti dalle memorie del popolo etrusco, ai suoi tempi ancora avvolto da un alone di mistero.

Niente di strano quindi che il Poeta le abbia dedicato questi versi, comprendendola tra le “città del silenzio” del II libro delle ‘Laudi’, e che vi abbia ambientato, sulle suggestioni del suo memorabile soggiorno del 1909, alcune scene del romanzo “Forse che sì forse che no”. Il suo fascino un po’ tenebroso ha avvinto altri artisti e letterati, da Corot a Daniel-Rops, da Cassola a Manganelli, al Visconti di “Vaghe stelle dell’Orsa”, per non parlare di Aulo Persio, forse il più ermetico poeta della letteratura latina, di lì nativo.

La storia della città ci mostra una stratificazione di popoli e di culture. Le prime testimonianze di insediamenti risalgono al neolitico; poi, per la sua posizione in una zona ricca di giacimenti minerari, divenne tra il IX e il VII secolo a.C. un centro di diffusione della cultura villanoviana; su di essa si sovrapposero gli Etruschi che la resero, con il nome di Velathri, una delle città più potenti della loro confederazione, finché nella metà del III secolo a.C. la conquista da parte di Roma, pur facendo cessare ogni importanza politica, diede ad essa un ulteriore periodo di splendore artistico ed economico.

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Volterra

Rilevanti testimonianze del periodo etrusco sono gli imponenti avanzi delle mura, che nel loro più tardo rifacimento hanno un tracciato di 7 chilometri (di gran lunga maggiore di quello della cinta di epoca medievale) ancora in gran parte riconoscibile, con due porte che vi si aprono, delle quali la più bella è la cosiddetta “Porta all’Arco”. Molto si è detto di questo celebre monumento, soprattutto per la presenza di tre teste scolpite (ma ora talmente corrose dal tempo da rendere vana qualunque identificazione), nelle quali qualcuno ha voluto vedere l’antica usanza di appendere sulle mura della città le teste dei nemici uccisi, ma forse, meno crudelmente, si tratta delle immagini di tre numi tutelari.

Nelle necropoli, che sorgevano fuori le mura, sono stati rinvenuti interessantissimi reperti ora conservati nel Museo Guarnacci, la cui visita costituisce un’occasione da non perdere per avere un quadro della civiltà e dell’arte del popolo etrusco che fu tra i più progrediti nel periodo immediatamente precedente all’avvento della civiltà romana. In questo museo è motivo di stupore la presenza di più di seicento urne cinerarie locali. Sono la dimostrazione tangibile del sentimento dell’aldilà, che gli Etruschi ebbero sempre vivo, e nello stesso tempo della raffinatezza dei loro artigiani.

Museo Guarnacci

Non si tratta di semplici contenitori, ma ciascuna di queste urne è arricchita da scene in altorilievo spesso ispirate ai miti classici: i personaggi cantati da Omero e dai tragici greci, i Centauri, le Amazzoni, tutta la lunga serie di divinità ed eroi della cultura greca, che ritroviamo intatti nel popolo etrusco, che a lungo è stato descritto come isolato e chiuso nelle sue credenze, mentre invece era in contatto con tutte le più importanti civiltà del Mediterraneo.

Tra le scene mitiche più ricorrenti vi è il ratto di Elena, che causò la guerra di Troia, raffigurato in urne che accoglievano le ceneri di donne, e l’episodio, tratto dall’Odissea, relativo all’incontro di Ulisse con le Sirene. Queste ammalianti figure non sono rappresentate come uccelli dal viso di donna, ma come vere donne che, sedute su tre scogli, suonano il flauto, la siringa di Pan e la cetra. È presente anche il mito di Edipo e la Sfinge e quello dei Sette a Tebe, che vide lo scontro mortale tra i discendenti di Edipo, raffigurato in un’urna dove è ben visibile una porta della città di Tebe che, essendo arricchita da tre teste, richiama la volterrana Porta all’Arco.

Vario è il materiale usato, dalle urne più umili in tufo o in pietra locale, alle più ricche in alabastro, che rimane anche oggi una delle lavorazioni artigianali tipiche di Volterra. Particolarmente significative sono le espressioni dei defunti raffigurati sul coperchio, a volte aperte al sorriso, a volte torve e scontrose, che si accompagnano a dei gesti delle mani, a volte sacrali, più spesso tipici del banchetto. Celeberrima è l’urna degli Sposi (I secolo a.C.), con una coppia di defunti dall’aspetto molto realistico, tanto da far pensare a veri ritratti. L’urna viene spesso paragonata al ben più antico Sarcofago degli Sposi (530-520 a.C.), rinvenuto a Cerveteri e conservato a Roma nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, dove i due sposi, colti nel momento del banchetto, sono invece idealizzati come giovani e belli.

Altri esempi significativi dell’artigianato volterrano sono i vasi a vernice nera o quelli a figure rosse di derivazione greca. Sono esposti anche bronzi, tra i quali spicca una figura maschile dalle forme inverosimilmente allungate, carica di suggestione e di un suo fascino arcano. La sua linea assai sottile ha fatto pensare a quelle lunghe ombre che il sole calante provoca in una pianura, tanto che comunemente con un’espressione dannunziana viene chiamata “l’ombra della sera”. Si è pensato che potesse rappresentare un dio che protegge i viandanti che affrontano il cammino quando si avvicina la notte, ma più probabilmente si tratta di un ex voto.

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Teatro Romano

Anche Roma ha lasciato il suo segno con gli imponenti avanzi del Teatro, la cui gradinata poggia su un rilievo naturale, con le adiacenti Terme

e l’ampia cisterna (visitabile) situata ora al centro di un parco che occupa l’antica Acropoli. L’aspetto attuale della città è però decisamente medievale; il Medioevo fu in effetti per Volterra l’ultimo periodo di splendore politico ed artistico, prima che la dominazione fiorentina facesse cessare l’uno e l’altro.

Escludendo qualche palazzo rinascimentale o anche più tardo, la città si presenta costituita per lo più da edifici del XII e XIII sec., dall’aspetto severo e dal caratteristico colore grigio bruciato. Le vie, lastricate con una pietra calcarea locale, la panchina, hanno un andamento leggermente curvilineo e sono fiancheggiate da alte case con spioventi o addirittura da case torri, che si possono considerare vere e proprie fortezze cittadine, edificate dalle famiglie nobili impegnate in lotte di potere aspre e sanguinose negli anni che videro l’affermarsi del Comune sulla preesistente egemonia dei vescovi conti.

Volterra Medievale

Il nucleo della città antica è la Piazza dei Priori, sicuramente una delle più belle piazze italiane nel suo genere, che è stata definita dall’archeologo Corrado Ricci “un’adunanza battagliera di torri e palazzi”: non tutti antichi, questi ultimi, ma tutti costruiti con la medesima pietra e animati da file di bifore.

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Facciata del Battistero

Il bellissimo Palazzo dei Priori, sede dei rappresentanti delle corporazioni cittadine medievali ed ora del Comune e dei suoi uffici, è ingentilito da una snella torre merlata, ed è fronteggiato dalla torre del Porcellino, il cui nome scherzoso è in contrasto con la severità delle forme. L’altezza della torre non consente di vedere bene la scultura, presso la sommità, che le ha dato il nome, e che in realtà rappresenta un cinghiale. Da questa piazza si può accedere al Duomo, di impianto romanico, ma rinnovato totalmente nel Cinquecento, il cui prospetto però è sulla omonima piazza, dove si trova anche il Battistero dalla decorazione esterna a fasce chiare e scure tipica dello stile pisano.

La cosa ideale per chi visita Volterra è vagabondare liberamente lasciandosi ispirare dai richiami che vengono offerti in continuazione dagli scorci e dalle prospettive ammirevoli, che a volte si aprono improvvisamente verso la campagna circostante, ma più spesso sono chiusi da linee verticali. La maggior parte delle vie, dove non batte quasi mai il sole, sembrano immerse in un misterioso silenzio, altre però, come la centralissima via Matteotti, ci appaiono rumorose e animate, anche per la presenza di molti ristoranti che attirano il turista con nomi fantasiosi.

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Pinacoteca Deposizione di Rosso Fiorentino
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Pinacoteca Annunciazione di Signorelli

Tra i musei volterrani va ricordata la Pinacoteca, che conserva capolavori di artisti toscani, in particolare la Deposizione di Rosso Fiorentino e l’Annunciazione di Luca Signorelli, e nello stesso edificio il Museo dell’Alabastro, dove si possono ammirare sculture e oggetti ornamentali dai delicati effetti di trasparenza e lucentezza.

Per avere una visione del paesaggio circostante, infine, non c’è niente di meglio che fare una passeggiata alle Balze, delle enormi voragini che a poco a poco hanno inghiottito necropoli, casali e chiese, dove non cresce un filo d’erba, secondo una leggenda locale, perché bagnate dal sangue dei Santi Giusto e Clemente, la cui memoria rivive nella singolare chiesa che sorge nei pressi. Gli strapiombi sono veramente impressionanti: soprattutto nelle giornate di vento, quel vento che D’Annunzio ritenne uno dei caratteri emblematici della città, si ha la sensazione di stare per precipitare e sparire nell’abisso. Da qui si ha un’ampia visione della campagna volterrana: un mosaico di poderi, vigneti, uliveti, con filari di cipressi sui crinali: un segno questo di signorile cultura che troviamo spesso in Toscana, dove il paesaggio sembra anch’esso un’opera d’arte concepita da un popolo raffinato.

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Le Balze

P.S.

Le fotografie dell’articolo sono di Francesca Licordari



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