Rubrica: PASSATO E PRESENTE

Emilio il pastore di Pacentro

Come si fa il formaggio “vero” in Abruzzo
sabato 23 febbraio 2008

Argomenti: Folclore e Tradizioni Popolari

Foto dell’autore

“Che mi ricordo, io faccio il pastore dalla nascita. Lo faceva mio nonno, lo faceva mio padre e adesso, a continuare questa tradizione di famiglia, ci siamo io e mio fratello”.

Questa è la risposta di Emilio Ciccone (uno degli ultimi pastori abruzzesi del versante occidentale della Maiella) alla domanda: “da quanto tempo è che fai il pastore?”. Emilio ha quasi cinquant’anni anni e vive nelle immediate vicinanze del piccolo e caratteristico borgo medievale di Pacentro in provincia di Sulmona.

Nel periodo invernale, quando la montagna è ricoperta di neve e il freddo è insopportabile (sia per gli uomini che per le bestie), sta nella casa che possiede a valle (circa 686 metri) vicino alla quale si è fatto costruire una grossa stalla per il ricovero delle bestie (Emilio possiede, tra grandi e piccole, circa 350 capre); nel periodo estivo (dalla metà di giugno alla fine di ottobre), invece, si sposta insieme al suo gregge nella “casetta in montagna”, allo stazzo che ha a Passo San Leonardo (a circa 1307 metri).

Con Emilio c’è suo fratello Francesco; entrambi ribadiscono più volte l’idea per cui è necessario essere almeno in due per lavorare bene: “Ci sono molte cose da fare prima che faccia sera. Bisogna mungere e guidare al pascolo le capre, fare il formaggio, raccogliere il fieno e ammucchiarlo nelle stalle per evitare che ammuffisca, aggiustare lo stazzo ecc.. Insomma, una sola persona non riuscirebbe a portare a termine tutti il necessario nell’arco della giornata”.

La giornata lavorativa dei due comincia alle prime luci dell’alba, quando la brina ricopre tutto intorno e la nebbia fa da mantello alla montagna. Emilio mi dice che ormai, dopo tanti anni, svegliarsi alle cinque, cinque e mezza del mattino, non è più un problema ma un’abitudine. “Certo” - dice Emilio - “a volte resterei volentieri al caldo sotto le coperte, piuttosto che andarmi a congelare fuori ma…” – continua - “le capre devono essere munte presto perché intorno alle nove devono essere pronte per andare a pascolare con mio fratello”.

Dunque Emilio al sorgere del sole è già a lavoro con Francesco al “guado”, in mezzo alle sue capre, chino in avanti pronto a bloccarne una tra le gambe così da tenerla immobile durante la mungitura. Il latte viene raccolto dentro degli speciali secchi in acciaio detti “mugnetora”, questi hanno la particolarità di essere tagliati da un lato per permettere al pastore di mungere con più facilità e comodità.

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Bastoni intagliati

In seguito il latte viene versato dentro un grosso recipiente dove lo si porta a circa 35°/36°. Raggiunta la giusta temperatura si provvede alla cagliatura e si attende (circa venti minuti) che si formino i filamenti di formaggio; questi ultimi vengono lavorati (con le mani nude!!!) dal pastore in modo da far fuoriuscire il siero superfluo, compattarli e modellarli all’interno delle formine (le fiscelle). A questo punto le “pezze” di cacio devono solo essere salate e riposte in un luogo asciutto per la stagionatura. Il siero che rimane in seguito alla cagliatura non viene buttato via ma, dopo averci aggiunto del latte, lo si porta nuovamente a temperatura (il siero deve bollire) per farne la ricotta (è così chiamata proprio per il fatto che si ottiene grazie alla “ricottura” del siero).

In casa Ciccone la fattura del formaggio è compito di Emilio, mentre Francesco parte alla volta dei pascoli con il gregge, lui rimane a casa e prepara l’occorrente per fare il formaggio. Vederlo lavorare è affascinante, gli attrezzi che usa sono quelli di una volta, sono quelli della tradizione e della memoria: “lu callare in rame”, “le friscelle di giunco”, “la schiumarole”, “lu menature”, “lu culature”, ecc..

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Lu culature

Osservare Emilio all’opera significa avere la possibilità di riscoprire la tradizione e la cultura, di rivivere per un momento un passato, che oggi, viene sempre più spesso dimenticato e accantonato. Dopo aver fatto il formaggio, la ricotta e aver ripulito con cura tutta l’attrezzatura, Emilio lascia lo stazzo (dove torna nella tarda mattinata) e va a portare i suoi prodotti in paese.

Nel pomeriggio, mentre Francesco rimane al pascolo (solitamente rientra intorno alle sei, sei e mezza), lui si occupa dei lavori “casalinghi”: raccoglie e ammucchia il fieno nel deposito, prepara la stalla per il ritorno delle bestie, accatasta la legna per l’inverno, provvede alla manutenzione del “guado” ecc., ecc..

“Il lavoro del pastore” -dice Emilio- “è duro, c’è così tanto da fare che delle volte, la sera, non ti ricordi quello che hai fatto la mattina ma…” - continua dicendo - “questo in fondo è un gran bel mestiere, sei sempre a contatto con la natura, respiri aria buona tutto il giorno, mangi cose genuine, insomma, io non lo cambierei con un altro”.

“Questo so fare e questo faccio, questo faceva mio nonno, questo faceva mio padre e questo continuiamo a fare, con molti sacrifici ma anche con delle soddisfazioni, io e mio fratello.

Purtroppo non tutti la pensano così ed, infatti, di pastori “abruzzesi addaver”, ormai, siamo rimasti veramente in pochi”.



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