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Rubrica: QUADRIFOGLIO

MASSIMILIANO ALIOTO al museo Andersen

Una mostra incentrata sulla città ideale di Hendrik Andersen e sui protagonisti di casa Andersen, i “Ghosts” di Alioto, che ripopolano la casa-museo fino al 4 febbraio 2018
venerdì 1 dicembre 2017

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.

Il Museo Hendrik Christian Andersen, situato a Roma nei pressi del Lungotevere Flaminio, poco lontano da Porta del Popolo, è quasi sconosciuto al grande pubblico, pur trattandosi di una casa d’artista affascinante, dove gli oggetti e le opere d’arte che contiene sembrano quasi prender vita, evocando con la loro particolare atmosfera il ricordo di chi l’ha abitata. La mostra in corso “Massimiliano Alioto. Ghosts?”, a cura di Gabriele Simongini, potrebbe essere l’occasione per conoscere questo luogo e, attraverso le opere del brindisino Alioto, accostate a quelle del museo, immergersi in un esaltante sogno utopico.

Il titolo della mostra, che trae spunto da una serie di quadri, denominati “Ghost town”, sembra suggerire un universo artistico in bilico tra realtà e visione fantastica. Attraverso 33 quadri, 8 disegni e l’installazione Utopia, rivivono le immagini, reali e rivisitate in chiave concettuale, della famiglia Andersen, a partire dal proprietario della casa neorinascimentale (denominata un tempo Villa Helene), lo scultore americano di origine norvegese Hendrik Christian Andersen (Bergen 1872 - Roma 1940). Hendrik aveva progettato l’edificio negli Anni ’20 del Novecento con due grandi atelier al piano terra e un elegante appartamento al primo piano, cui venne aggiunto in seguito un ulteriore piano. Alla sua morte, nel 1940, lasciò la casa, con la collezione di opere d’arte e l’archivio, allo Stato italiano, ma con l’usufrutto in favore della sorella adottiva Lucia, che la utilizzò come albergo fino alla sua morte nel 1978.

Le magniloquenti sculture di Hendrik, di gusto classico, erano concepite dall’autore come elementi decorativi di un’architettura relativa a un grandioso progetto urbanistico, “The World Communication Centre”: una sorta di città dell’uomo e della spiritualità. In particolare troviamo il piano generale per la realizzazione della “Fontana della vita”, un’opera complessa, elaborata a partire dal 1904, intorno alla quale sviluppò il suo progetto di città perfetta che egli definì “centro mondiale o fontana di conoscenza infinita, nutrita dagli sforzi dell’intera umanità nel campo dell’arte, della scienza, della religione, del commercio, dell’industria, della legge”. I corpi giganteschi e nudi di uomini, donne e bambini trasmettono la gioia di vivere, non diversamente da altre fontane della stessa epoca, come per esempio la “Fonte Gaia” del Giardino del Lago di Villa Borghese (opera dello scultore Giovanni Nicolini), nella quale, però, i protagonisti sono dei Fauni.

Anche i fratelli di Hendrik, il musicista Arthur e il pittore Andreas, rivivono nella mostra, ricreando virtualmente il cenacolo intellettuale e artistico di uno straniero cosmopolita che aveva scelto di vivere a Roma. Andreas (Bergen 1869 - Boston 1902) era un ritrattista (ma anche paesaggista), collocabile tra postimpressionismo e simbolismo, ed era il marito di Olivia Cushing, che, rimasta precocemente vedova, si trasferì dal cognato a Roma, recuperando dagli Stati Uniti le opere del marito e trasferendole qui. È quindi lei, insieme a Lucia e alla madre degli artisti, Helene, una delle donne di casa Andersen e a loro sono dedicati i ritratti di Massimiliano Alioto, come pure allo scrittore Henry James, grande amico di Hendrik, e all’architetto francese Ernest Hèbrard, che collaborò al progetto della città mondiale.

Il viaggio nel tempo, che Alioto fa compiere a questi abitanti e frequentatori di casa Andersen, comporta una serie di trasformazioni, per cui quei fantasmi (Ghosts) non sono mere citazioni fotografiche, ma appaiono rigenerati in una dimensione fluida (come rinati da un liquido amniotico), oppure riproposti in immagini caleidoscopiche, frantumate in mille riflessi o percorse da interferenze dello spettro solare. “Sono spettri rianimati dallo spettro in cui si scompone la luce del sole con un calembour pittorico?”, si domanda il curatore della mostra Gabriele Simongini, indubbiamente affascinato da questo gioco di parole e da quell’arcobaleno che ritroviamo delineato intorno ai gruppi scultorei di Hendrik Andersen al pian terreno, nell’installazione di Alioto, ispirata dal progetto della città utopica. Un progetto irrealizzato, perché il terreno inizialmente destinato da Mussolini alla realizzazione della città mondiale, nell’attuale comune di Fiumicino, non venne poi reso disponibile, ma comunque per Alioto si tratta di un progetto degno di essere omaggiato, perché “il sogno utopico è alla base della ricerca artistica al di là del successo o meno”. Di conseguenza Alioto immagina di trasferire mentalmente i gruppi scultorei al piano di sopra, dove sono esposti i dipinti della ghost town, che raffigurano paesaggi con pini che caratterizzano ora quei terreni, dove dovevano essere collocate le gigantesche opere dello scultore urbanista.

Non siamo così lontani dall’aeroporto di Fiumicino, simbolo di progresso per i futuristi che hanno vissuto nello stesso periodo di Andersen, ma soprattutto siamo vicini alle rovine di Portus, il porto romano voluto da Claudio e ampliato poi da Traiano, che però non era destinato a una lunga vita a causa dei problemi d’insabbiamento del Tevere. Lì doveva sorgere il Faro di Portus, ma Hendrik Andersen presumibilmente non lo conosceva e nei suoi disegni e dipinti relativi al suo progetto sembra rifarsi al ricordo del Faro di Rodi, con il Colosso tra le cui gambe passavano le imbarcazioni per entrare nel porto. Altre figure colossali femminili sono state dipinte sempre pensando a quella che era una delle sette meraviglie del mondo. Indubbiamente nella sua opera c’è una propensione al gigantismo che un po’ altera la visione d’insieme del progetto, ma la suggestione delle sue gioiose creazioni statuarie è notevole e Massimiliano Alioto, nato a un secolo di distanza, sembra voler azzerare il tempo che lo separa da Hendrik, forse perché, come scrive Simongini, “fra loro si è creata un’osmosi misteriosa fatta di affinità elettive che si nutrono di analogie e soprattutto di contrasti”.

P.S.

Museo Hendrik Christian Andersen

Roma, Via Pasquale Stanislao Mancini, 20
Orario museo: tutti i giorni 9.30 – 19.30.
(ultimo ingresso alle ore 19.00) Chiuso il lunedì
Ingresso gratuito tel + 39 - 06 3219089
pm-laz.museoandersen@beniculturali.it



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