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Rubrica: LETTURE CONSIGLIATE

I chierici alla guerra (Bollati & Boringhieri, Torino, 2006)

QUANDO L’IMPULSO BELLICISTA CORRODE L’INTELLETTO

Un’analisi di D’Orsi sulla seduzione della violenza dall’Ottocento alla guerra in Iraq
martedì 18 aprile 2006

Argomenti: Sociologia
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Angelo D’Or

Se Tolstoj testimoniò il rifiuto della violenza nelle sue opere letterarie e in specifici scritti pacifisti - osserva Angelo D’Orsi nel suo suggestivo libro I chierici alla guerra (Bollati & Boringhieri, Torino, 2006) - larghissimo è l’elenco degli intellettuali che si è lasciato sedurre dal richiamo all’uso della forza. L’esperienza francese di fine Ottocento ne ha dato una dimostrazione possente, a cui Zola ebbe il coraggio (1898) di rispondere denunciando il conformismo filo-militarista, lanciando con la sua parola convincente il primo storico “manifesto degli intellettuali”. Si dipana così nel libro la vastissima schiera dei guerrafondai. In Italia Papini salirà sull’onda bellicista (in questo libro c’è il testo del suo “Amiamo la guerra”) continuando tranquillamente a subordinare la sua fede religiosa, dimentico delle parole di Cristo e di Paolo, per non parlare di D’Annunzio, per il quale la guerra era una “bella” avventura. E D’Orsi prosegue la sua ampia presentazione dei chierici, dagli anni ’30 all’adesione degli italiani colti al fascismo e alla guerra (cita Pavese) sino al più recente intervento critico nei confronti della guerra balcanica riportando i nomi di Luzi, Bo, Pivano, Raboni quali oppositori. E proprio alla guerra più recente è dedicata una ampia parte dello studio, con osservazioni interessanti come sulle critiche di De Felice ai pacifisti o di Mieli, favorevole agli interventi nel Kossovo o in Afganistan e non contro l’Iraq.

E dai tanti richiami agli intellettuali schieratisi pro o contro la guerra (giusta?) contro Saddam, l’A. passa a valutare gli aspetti più profondi che l’operazione Bagdad ha suscitato sul piano politico, umano e culturale. Si sofferma inoltre sulla ritornante questione delle interpretazioni attuali del drammatico interrogativo tra catastrofe atomica e pace, in particolare nelle visioni di Guido Ceronetti e di Luigi Cortesi. Ma D’Orsi va oltre, e pone il tema della dolorosa necessità dei bombardamenti, ieri su Dresda, poi contro la Jugoslavia nonché le giustificazioni addotte, tra l’altro da D’Alema in riferimento all’attacco contro la Serbia (a cui l’esponente comunista, allora premier, volle far partecipare anche l’Italia, giungendo ad una conclusione tanto sottile quanto inquietante. L’Occidente si muove schiacciando, appiattendo, demistificando: tutto quello che è raggiungibile, confinante, deve essere omologato, piegato, “convinto”. La guerra “umanitaria” vista nella sua realtà, nei suoi effetti perversi. “L’impossibile” dopoguerra nel Kossovo appare allora la metafora di una guerra che sembra forse realizzare la meta di guerre “ultime”, perché al di là di esse non c’è più nulla. Recensendo il libro parecchi mesi dopo la sua pubblicazione, a noi pare, che molte recensioni non abbiano saputo afferrare a fondo il valore e il significato di quest’opera che va bene al di sopra delle consuete e convenzionali considerazioni su argomenti tanto delicati.



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