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Rubrica: ITINERARI E VIAGGI

Pompei. Riapre la Villa dei Misteri (20 marzo 2015)

Sono stati restaurati i celebri affreschi raffiguranti un’iniziazione ai misteri dionisiaci
mercoledì 1 aprile 2015

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Architettura, Archeologia
Argomenti: Turismo

Dopo quasi due anni di restauro e tre mesi di chiusura totale è stata riaperta la celebre Villa dei Misteri di Pompei, un complesso edilizio extraurbano che conserva il ciclo pittorico più importante del mondo romano, il cui colore dominante è il celebre rosso ottenuto dal cinabro. Scoperta parzialmente nel 1909 e compiutamente nel 1929-30 da Amedeo Maiuri, la villa è uno splendido esempio di ricca dimora per l’otium e insieme tenuta agricola. Vi si produceva in particolare il vino, come risulta dal ritrovamento del torcularium, un impianto per la pigiatura dell’uva.

Il nome è legato ai culti misterici di Dioniso, che a Pompei dovevano avere una certa diffusione, perché i suoi simboli sono frequenti sulle pareti, sui pavimenti, nei giardini delle case: tra i più comuni i leopardi, le capre, le maschere, l’uva e l’edera. Il tributo al dio culmina nel triclinio della Villa dei Misteri con gli affreschi megalografici risalenti al I secolo a.C., raffiguranti scene enigmatiche che a tutt’oggi non sono state completamente comprese.

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Potrebbe trattarsi di riti d’iniziazione che venivano officiati proprio nella villa. Una giovane donna, l’inizianda, compare in tutti gli otto episodi che descrivono le varie fasi della cerimonia. Ma molti altri personaggi vi sono raffigurati a grandezza naturale. Secondo un’interpretazione, la sposa mistica di Dioniso indossa il velo, è istruita sul significato del rito, partecipa a un pasto purificatore e celebra una “rinascita allegorica”, che corrisponde a quella subita dallo stesso Dioniso. Quindi affronta una terribile prova per verificare la sua fede. Le viene svelato come il dio, da bambino, vide in uno specchio magico il momento in cui sarebbe stato ucciso e la successiva rinascita (secondo il mito Dioniso fu fatto a pezzi e mangiato dai Titani). Una flagellazione rituale, infine, simboleggerebbe la morte e rinascita della donna come figura semidivina, che danza selvaggiamente, perché imbevuta dello spirito del dio.

Sileno, il vecchio fauno di norma associato a Pan o a Dioniso, è raffigurato mentre suona la lira, insieme ad altri satiri, mentre Panisca allatta al seno un cerbiatto. Una coppia divina, Dioniso e Arianna (o forse Afrodite), domina la scena sulla parete di fondo. Numerosi sono gli officianti raffigurati, con corone di edera in testa, tra cui si nota una donna con il tirso, che potrebbe essere la padrona della villa.

Il professor Antonio Varone, studioso della pittura pompeiana, vede in questo ciclo la preparazione della fanciulla alle nozze e quindi l’iniziazione al sesso, inteso come unione sacra con il dio della forza vitale. Il culmine è raggiunto nella scena rituale in cui una donna inginocchiata scopre un oggetto che simboleggia il phallum. Secondo lo studioso il senso delle pitture potrebbe essere questo: una donna ammantata seduta, la domina della casa, ripensa a quando, giovinetta, è stata iniziata ai sacri misteri e rivede, come in flashback, ciò che ha vissuto. Egli vede nel ciclo l’esaltazione della figura femminile dalla fanciullezza all’età matura, il tutto in una dimensione atemporale.

La presenza di una maschera teatrale ci ricorda il dramma greco, strettamente legato al culto di Dioniso. Basti pensare che la parola tragedia deriva dal greco tragoidia che significa “canto per il capro”. Gli adoratori di Dioniso, soprattutto donne, in effetti, sacrificavano un capro che simboleggiava il dio e ne bevevano il sangue per essere posseduti da lui. Solo in un secondo tempo il sangue fu sostituito dal vino. Con l’ubriachezza sfrenata e la danza pensavano di poter diventare essi stessi divini e, pieni del furore del dio, correvano per i boschi facendo a pezzi tutto ciò che capitava loro davanti. Non veniva affatto negato il lato selvaggio della natura umana, ma, al contrario, si pensava che fosse giusto esprimere questo “aspetto dionisiaco”, anche se esso poteva portare a un terribile crimine, come avviene nelle Baccanti di Euripide, dove Penteo, re di Tebe, viene dilaniato dalla madre Agave e da altre Menadi durante un frenetico rito.

Questi riti orgiastici, estranei alla religione ufficiale dello stato e considerati destabilizzanti per l’ordine pubblico, furono vietati nel 186 a.C. dal Senato romano con il Senatus Consultum de Bacchanalibus, ma di fatto continuarono a esistere e Pompei ne ha restituito tracce molto significative, come in questo caso dove i riti di Dioniso-Bacco si intrecciano con quelli di Afrodite-Venere per le cerimonie nuziali. Del resto nella cittadina campana erano frequenti anche altri culti misterici, come quelli della dea egizia Iside (è celebre l’iseo di Pompei) e forse non è casuale la pittura di stile egittizzante su fondo nero che troviamo in un ambiente della stessa Villa dei Misteri.

La campagna di restauro, preceduta da una serie di indagini preliminari, ha riguardato il consolidamento delle strutture murarie, degli intonaci e dei pavimenti musivi, e ovviamente il restauro degli affreschi con la nuova tecnica del laser che pulisce i pigmenti senza danneggiarli con solventi chimici.

Il ministro dei Beni e delle attività culturali e del Turismo Dario Franceschini, presente alla riapertura avvenuta il 20 marzo 2015, ha dichiarato: “Abbiamo alle spalle un anno di lavoro straordinario. Abbiamo chiuso tre cantieri, altri tredici sono aperti, nove gare sono già avviate e quest’anno a vario titolo abbiamo assunto 85 persone… Sappiamo che il mondo guarda con puntigliosa attenzione quel che avviene a Pompei. Oggi l’Italia è orgogliosa di dire al mondo: A Pompei abbiamo voltato pagina”.



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