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Rubrica: TERZA PAGINA

Il Parco dei 7 acquedotti

Archeologia e verde convivono felicemente nel quartiere Appio-Claudio
domenica 1 marzo 2015

Argomenti: Architettura, Archeologia
Argomenti: Natura

Una città come l’antica Roma, che nel suo maggiore sviluppo dell’età imperiale superò il milione di abitanti, aveva un rilevante fabbisogno idrico, cui si venne provvedendo nel tempo con la costruzione di ben quattordici acquedotti. L’acqua più buona e più abbondante veniva captata dalle sorgenti intorno all’alto corso dell’Aniene e, seguendo la valle del fiume, i condotti giungevano a Roma dalla zona dei Colli Albani, dove pure venivano utilizzate falde potabili. Mentre l’Anio vetus compiva il suo percorso in sotterranea e quindi solo a tratti può esserne rilevata la presenza, ben più complesse erano le opere murarie esterne e sopraelevate dell’Acqua Marcia, il più grande, il più lungo e il più tradizionale degli acquedotti romani. Sui suoi pilastri erano sovrapposte anche le tubature dell’acqua Tepula e, più in alto, della Iulia, mentre in età rinascimentale costituì l’ossatura dell’acquedotto Felice voluto da papa Sisto V.

Poche decine di metri più a sud corre l’acquedotto Claudio che trasporta anche le acque dell’Anio novus. Questo parallelismo si interrompe al margine di via del Quadraro dove le due file di arcate si intersecano per due volte formando uno spazio a losanga, il cosiddetto Campo Barbarico. I Barbari cui si fa riferimento sono i Goti di Vitige che, nel corso della guerra greco-gotica (537 d.C.), si erano accampati entro questo spazio e lo avevano fortificato.

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I sette acquedotti che abbiamo citato danno il nome a uno dei parchi più suggestivi della periferia romana, che con i suoi 251 ettari è anche tra i più estesi della città. Le imponenti arcate sullo sfondo dei colli Albani, che li contraddistinguono, costituivano uno dei tradizionali motivi di stupore per i viaggiatori dei secoli passati e sono raffigurate in innumerevoli dipinti e incisioni. Anche il cinema si è appropriato di esse, trovandovi la scenografia ideale, oltretutto a due passi da Cinecittà, per film storici e in costume. Con le immagini di questi maestosi ruderi si apre ’La dolce vita’ felliniana, in una suggestiva ripresa aerea motivata dal trasporto in elicottero di una grande statua di Cristo dalla campagna fino a piazza S. Pietro, mentre l’acquedotto Felice, nel tratto compreso entro l’area del parco, è stato scelto da Pier Paolo Pasolini per fare da cornice nella sua ’Mamma Roma’ al quartiere dell’Ina-Casa (il vecchio Cecafumo), dove abita la protagonista del film, mirabilmente interpretata da Anna Magnani.

Oltre agli acquedotti, nel parco affiorano i ruderi di ville e tombe, mentre altri contesti archeologici, dopo essere stati scavati, sono stati ricoperti per ragioni funzionali alla ferrovia (Roma-Cassino e Roma-Formia) che passa all’interno del parco, che, con il frastuono dei treni in transito, rompe la tranquillità campestre. Entrando da via Lemonia, alla destra della chiesa di S. Policarpo, e inoltrandoci nel fitto verde, dopo qualche centinaio di metri incontriamo i ruderi di una villa di età imperiale, nota come Villa delle Vignacce. Il complesso, costruito nel II secolo d.C., apparteneva a Servilio Pudente, e, come tutti i grandi insediamenti suburbani, era, oltre che abitazione, una vera e propria fattoria. Sorgeva su un grande terrazzamento artificiale ancora parzialmente visibile; rimangono solo alcuni ambienti termali, tra cui una grande sala rotonda con originaria copertura a cupola, nella quale si notano delle anfore di coccio, le cosiddette ’pignatte’, che avevano lo scopo di alleggerirne il peso.

Tutta la zona era un tempo costellata di ville suburbane, probabilmente per l’amenità del luogo così ricco di acqua e così vicino alle mura della città. Si tenga pure conto che nei pressi passava la via Latina, la più antica strada di collegamento con il Lazio meridionale, poi soppiantata in parte dalla via Appia. Il primo acquedotto che incontriamo è quello Felice (che come abbiamo detto trasporta anche altre acque). Dopo aver attraversato le sue arcate, ci appare la ben più imponente mole, pur con ampi vuoti, dell’acquedotto Claudio. La tecnica costruttiva della straordinaria struttura è rivelata dai poderosi blocchi di tufo e peperino, sulle cui giunture l’opera del tempo si è particolarmente accanita approfondendole e creando così una sorta di bugnato.

Proseguendo la passeggiata, lo scorrere dell’acqua richiama l’attenzione sul fosso dell’acqua Mariana, che in passato faceva parte del complesso degli acquedotti e che un tempo per le sue acque pulite si prestava all’allevamento di pesci e di rane. Proprio dalla deformazione dell’aggettivo Mariana è derivato il termine tipicamente romanesco marana o marrana, che indica i fossi d’acqua delle campagne. Riportandoci sotto le arcate, il nostro sguardo spazia per tutto il pianoro fino ai Colli Albani, mentre, guardando verso Roma, incontra Tor Fiscale, una torre medievale di avvistamento, alta circa 30 metri, che trae il nome dall’attività di tesoriere pontificio svolta da uno dei suoi proprietari.

Continuando a costeggiare le arcate verso la periferia, l’incrocio con un viale alberato di pini a ombrello ci indica che siamo giunti all’altezza del casale di Roma Vecchia, che sorge sulla sinistra dell’acquedotto. L’edificio, utilizzato in varie fiction televisive, è un tipico esempio dei casali fortificati che un tempo caratterizzavano l’Agro Romano. È stato edificato in più fasi a partire dal sec. XIII, inglobando nei possenti muri perimetrali resti di edifici romani. Divenne nel 1797 proprietà dei Torlonia che lo acquistarono dalla Confraternita del Sancta Sanctorum insieme a tutta la tenuta circostante, che con i suoi 1900 ettari si stendeva da Porta Furba fino alla tomba di Cecilia Metella; in seguito ai numerosi scavi eseguiti nella zona, che hanno incrementato le collezioni Torlonia ed Albani, divenne nell’Ottocento una sorta di magazzino per custodirvi i ritrovamenti.

Vicino al Casale i Volontari per la Tutela e la Conservazione del Parco degli Acquedotti (Roma - onlus) hanno sistemato dei cartellini con i nomi botanici accanto agli alberi, che curano personalmente. Provvedono inoltre a vigilare per la salvaguardia non solo dell’area ma anche dei suoi visitatori. I risultati si vedono, le persone a poco a poco stanno imparando a rispettare un luogo meraviglioso dove natura e storia convivono. Certo la zona del parco, che prima era “terra di nessuno”, è ancora frequentata di notte da spacciatori e ragazzi in cerca di avventure, ma di giorno ha un aspetto curato.

P.S.

Ricordiamo che il parco, che è inserito nell’ambito di quello regionale dell’Appia Antica, è quasi tutto ricadente nel quartiere Appio Claudio, all’incirca tra via Lemonia, via del Quadraro, l’Appia Nuova e via delle Capannelle. Lo si raggiunge facilmente con la linea A della metropolitana (fermata Giulio Agricola).



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