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Rubrica: ITINERARI E VIAGGI

VIAGGIO IN SPAGNA

Alla ricerca dell’anima andalusa
martedì 1 luglio 2014

Argomenti: Luoghi, viaggi
De los sos ojos tan fuertemientre llorando, tornava la cabeça e estávalos catando. Vio puertas abiertas e uços sin cañados, alcándaras vazías, sin pielles e sin mantos e sin falcones e sin adtores mudados. Sospiró Mio Çid, ca mucho avié grandes cuidados.. (El cantar de mio Cid, anonimo sec.XII)

Abbiamo sempre viaggiato cercando di cogliere “l’essenza” di un luogo, qualcosa di ancestrale paragonabile a “l’anima loci” (o genius loci) della cultura greco-romana, un’interpretazione sacrale secondo la quale i territori si guadagnano “un’anima”, una precisa identità, attraverso una serie di esperienze, eventi positivi e negativi, usi e costumi dei popoli che li hanno abitati.

Pensai all’antico poema del Cid mentre stavamo progettando il nostro viaggio in Andalusia, terra di antiche lotte tra Mori e Cristiani. Era lo spirito del Cid che aleggiava ancora su quei luoghi? Oppure era la cultura islamica che aveva lasciato maggiori tracce? Cosa era rimasto dei numerosi popoli che avevano abitato quelle terre? Iberi, Cartaginesi, Romani, Vandali, Visigoti, Musulmani e nella lotta contro questi ultimi, nella “Reconquista” guidata dai monarchi cattolici Ferdinando d’ Aragona e Isabella di Castiglia, ecco storia e leggenda fuse insieme nel personaggio del Cid Campeador, simbolo di lealtà e coraggio, esaltato nel poema epico medioevale “El Cantar de mio Cid”. E, per contrasto, ecco ancora avanzar nei miei pensieri l’allampanato cavaliere, Don Chisciotte della Mancia e il suo grasso scudiero Sancho Panza, figure di cui si servì Cervantes per colpire con la satira quegli stessi ideali cavallereschi che appartenevano ormai ad un epoca passata.

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El cantar de mio Cid
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Torquemada

E poi passò rapidamente l’ombra cupa e minacciosa di Torquemada con le atrocità dell’Inquisizione che in Andalusia colpì in particolare gli ebrei: un’impronta scura sul cattolicesimo spagnolo e poi ancora le dinastie degli Asburgo e dei Borbone e i Francesi del periodo napoleonico, l’alternarsi di repubbliche, monarchie e dittature, e il tentativo di conquistarsi la libertà con una sanguinosa guerra civile. La storia dell’Andalusia è quella della Spagna stessa, ma essa subì più duramente i drammatici eventi che la ridussero in condizioni di estrema miseria, costringendo molti andalusi a emigrare in America Latina.

Fui riportata bruscamente alla realtà dalla voce del pilota che annunciava la fase di atterraggio: eravamo arrivati a Madrid, città già visitata in un precedente viaggio dove ci fermammo per rivedere vecchi amici che ci fornirono preziosi suggerimenti per visitare l’Andalusia. Il giorno dopo partimmo alla volta di Siviglia con un treno ad alta velocità (AVE): ci colpirono qualità e velocità delle linee ferroviarie, con controllo di bagagli mediante metal detector e servizio a bordo ineccepibile con giovani hostess in divisa che offrivano bevande e cibi. Ci rendemmo subito conto che gli spagnoli stavano intelligentemente puntando sul turismo e facemmo il confronto con l’Italia dove tale risorsa viene poco curata. In poche ore giungemmo alla grande stazione di Siviglia, Santa Justa, dove noleggiammo un’auto per muoverci in modo autonomo. Poiché avevamo pochi giorni a disposizione, decidemmo di concentrare il nostro viaggio su tre città: Siviglia, Cordova e Granada.

E così cominciò la nostra esplorazione di Siviglia che ci conquistò subito con i suoi contrastanti aspetti. Trovammo alloggio nei pressi del centro storico in un piccolo albergo in stile moresco con un delizioso patio pieno di fiori e, girando nell’antico quartiere di Santa Cruz, ritrovammo lo stesso stile preservato anche dopo l’espulsione degli arabi e l’insediamento della comunità ebraica: in un dedalo di viuzze ammirammo splendide abitazioni bianche ricoperte di fiori, edere e altri rampicanti. Ad un certo punto tuttavia ci dovemmo arrendere e ritornare verso l’albergo: la temperatura saliva vertiginosamente col passar delle ore e verso mezzogiorno raggiunse i 43 gradi. Per fortuna era caldo secco, non c’era umidità come in Italia. Imparammo a gestire meglio i nostri giri turistici muovendoci nelle ore meno afose.

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Ferdinando d’Aragona e sua moglie Isabella

Nei giorni successivi visitammo altri luoghi d’interesse turistico, come la grandiosa Cattedrale costruita sui resti dell’antica moschea, con la tomba di Cristoforo Colombo e la famosa Torre della Giralda (l’ex minareto), l’ Alcazar con stupende sale, magnifici cortili e giardini, la Torre de Oro che si erge sulle sponde del fiume Guadalquivir, costruita nel XIII secolo, l’Arena di Plaza de Toros e l’annesso museo. Rifiutai categoricamente di assistere a corride sia a Siviglia che altrove. Mi ricordai della terribile descrizione fatta da Hemingway in “Fiesta”: uno spettacolo di sangue e morte.

Con l’auto noleggiata partimmo alla volta di Cordova dove giungemmo all’imbrunire e, dopo un qualche ora di riposo in un confortevole albergo, cominciammo a girare per le caratteristiche stradine della città, piene di piccoli ristoranti con tavoli all’aperto, suoni, canti e danzatori di flamenco: l’immagine di un popolo gioioso e “caliente” al quale come napoletana mi sentii molto vicina. Ci sedemmo per cenare e mentre gustavamo buoni cibi e vino di qualità, una coppia di giovani sposi uscì da una chiesa vicina con festanti invitati e lancio di variopinti petali di fiori. Uno spettacolo gradevole e per noi insolito a tarda sera.

Nei giorni seguenti continuammo i nostri giri turistici costatando, come già era avvenuto a Siviglia, da un lato la modernità di una città con traffico intenso e grandi edifici, dall’altro il fascino antico del centro storico, con la suggestiva Mezquita (dove la struttura tipica della moschea si armonizza con quella della cattedrale cristiana creando un effetto architettonico davvero originale), l’Alcazar con i suoi favolosi giardini, le strade acciottolate della Juderia: un’ integrazione tra passato e presente che è forse lo spirito più vero dell’Andalusia.

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Don Chisciotte

E infine giungemmo a Granada dove decidemmo di alloggiare in un grande hotel nei pressi dell’Alhambra (Fortezza Rossa, in arabo), il più famoso monumento andaluso che, insieme ai giardini del Generalife e all’Albaicin, è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

La costruzione, iniziata da Ibn Alahmar all’inizio del 1200, fu completata poi da Yusef Abul Hagig nel 1348. All’interno delle alte mura si ergono i meravigliosi palazzi degli emiri nasridi ai quali furono aggiunte le costruzioni dei re spagnoli dopo la caduta di Granada. Impossibile descrivere le emozioni che suscitano le meraviglie di tale luogo, solo lo scrittore americano Washington Irving vi riuscì nei suoi famosi “Racconti dell’Alhambra”.

Concludemmo il nostro viaggio in Andalusia con una serata gioiosa nelle “Cuevas”, le caverne del Sacromonte dove intere famiglie di gitani, giovani, vecchi e bambini, ballano allegramente il flamenco ed offrono cibi e vino.

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Sostiene Pereira

Durante il viaggio di ritorno, pur essendo un po’ stanchi, ci sentivamo appagati, felici, per aver conosciuto una terra così bella. L’ anima dell’Andalusia mi sembrò molto simile a quella del nostro Sud, un misto di vivace allegria e struggente melanconia, di flamenco e nenie arabe, di un rassegnato abbandono al destino e di fierezza e sensualità nel deciso batter di tacchi e di nacchere nelle danze: l’armonioso sincretismo tra culture diverse credo che sia il vero spirito andaluso, l’IO egemone di cui si parla in “Sostiene Pereira” di Tabucchi.

Nell’omonimo film, interpretato da M. Mastroianni, Pereira afferma: “Credere di essere uno che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un’illusione….. perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone”.

I paesi in fondo sono un po’ come le persone che raggiungono una vera identità solo armonizzando in sé contrastanti aspetti.



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