Rubrica: LETTURE CONSIGLIATE

FRANCESCO MARIA RICCARDI (1697 – 1758) Un Monsignore fiorentino nella Curia romana (Andreina e Valneo Budai Editori Roma 2013)

LE PASSIONI DI UN PRELATO NELLA ROMA DEL SETTECENTO

venerdì 10 maggio 2013

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Personaggi famosi/storici
Argomenti: Simona Sperindei

“Di questo piccolo libro si ammira ad un tempo la concisione e la ricchezza”.

Scrive giustamente Elisa Debenedetti all’inizio della sua Prefazione al recente libro di Simona Sperindei.

E infatti, il volume, da poco pubblicato per i tipi delle edizioni Andreina e Valneo Budai (un editore romano attivo da pochi anni ma che, va riconosciuto, si sta caratterizzando sempre più per l’acume con cui va costruendo un’ottima collana d’arte, dove trovano spazio accanto ad autori già affermati, anche studiosi giovani e meritevoli, come nel nostro caso) conferma tutte le qualità dell’autrice, attenta e preparata storica dell’arte, già nota agli addetti ai lavori per la tenacia e il fiuto con cui ha scovato documentazioni archivistiche di grande interesse storico e scientifico.

Questo studio, dettagliato ed esauriente, unisce in effetti questa sua conosciuta propensione con una notevole capacità di sintesi espositiva, che è certamente un valore qualitativo e non certo un limite.

Il libro riguarda la figura di un nobile rampollo dell’illustre famiglia fiorentina dei Riccardi, Francesco Maria (Firenze 1697 – Roma 1758), del quale l’autrice indaga -in virtù di un “consistente ritrovamento di documenti”- i gusti, le tendenze, le preferenze in materia di collezionismo, cosa che le dà agio altresì di ricostruire il contesto culturale ed artistico nel quale egli visse e che certamente influì sulla sua “attenta attività di collezionista”.

Francesco Maria fu certamente un privilegiato fin dalla nascita; figlio di Cosimo Riccardi, esponente di una delle famiglie più in vista di Firenze, e dell’aristocratica romana Giulia Spada Varalli, il giovane “destinato a godere dell’ingente patrimonio familiare”, potè avvalersi di “una raffinata educazione” grazie ad istitutori prestigiosissimi, dapprima nella residenza paterna, poi a Roma, dove era arrivato una prima volta appena sedicenne, ospite presso la famiglia d’origine della madre.

E’ curioso notare come, a prima vista, le ’occupazioni’ del giovane nobiluomo richiamino molto da vicino quelle del “giovin signore” mirabilmente descritte da Giuseppe Parini ne “Il Giorno” . Ma se è vero che anche nel nostro caso non manchino i maestri di ballo, le lezioni di francese e la passione per la cioccolata, tuttavia siamo ben lontani dalla vacuità e dalla vuota arroganza del “cicisbeo” pariniano.

Nel caso del ’nostro’ il percorso formativo, propedeutico al “riconoscimento ufficiale nella aristocrazia fiorentina”, era del tutto funzionale all’ottenimento di “incarichi prestigiosi” come ad esempio una “brillante carriera politica e diplomatica presso la corte granducale”. Non sarà però così, come vedremo.

Ma vale la pena soffermarci sulla documentazione rintracciata dalla Sperindei relativa al primo soggiorno romano che ci consente già qualche interessante considerazione, in primo luogo sul tipo di vita del giovane rampollo fiorentino.

Sappiamo davvero tutto dei suoi gusti e delle sue spese: dai pagamenti per le messe nelle chiese allocate presso il palazzo residenziale, ai sontuosi pranzi con altri esponenti dell’alta aristocrazia fiorentina a Roma (Acciaiuoli, Corsini, ecc); dalle gite ‘fuori porta’ sempre in compagnia di personaggi a la page , come l’abate Rospigliosi, fino alle spese per le ‘balie’ del Marchese e perfino per aiutare alcune ‘zitelle’.

Ma un interesse particolare rivestono i pagamenti per l’acquisto di libri, specie quelli di soggetto religioso, a testimonianza, come scrive la Sperindei, di “una evidente vocazione spirituale” confermata soprattutto dalla acquisizione di “medaglie corone e crocifissi in ottone e cristallo di rocca” oltre a “alcuni piccoli reliquiari” da inviare alla sua famiglia a Firenze.

Scopriamo così che la famiglia coltivava un’autentica passione per questi oggetti, tanto che ritornato nella città gigliata, nel 1716, Francesco Maria commissionerà allo scultore Giuseppe Broccetti, uno degli artisti di cui sarà mecenate, “un reliquario destinato a custodire i santi resti di san Pio”.

Non è stata ancora studiata con la dovuta attenzione, da parte degli storici dell’arte, questa propensione collezionistica –pure sovente molto accentuata- per una tale tipologia di collezionismo artistico considerato ‘minore’.

Certamente il pregiudizio idealistico crociano, creatore della suddivisione delle ‘arti maggiori’ e delle ‘arti minori’, ha pesato e pesa ancora non poco su larga parte degli addetti ai lavori, così da non aver consentito ancora un adeguato sviluppo degli studi in questa direzione.

E tuttavia, a leggere le note della Sperindei, un simile preconcetto forse a quei tempi non esisteva o comunque non era poi tanto percepito. Non a caso quando nel 1721 Francesco Maria Riccardi tornerà, e stavolta definitivamente, a Roma la sua passione per il possesso di reliquiari, medaglie, croci, ecc. si accenderà ancora di più.

Lo dimostrano le spese annotate nelle carte degli archivi, dove comunque, insieme ad importanti acquisizioni anche di intere raccolte di libri, emerge anche la volontà di voler accaparrarsi opere d’arte di assoluto rilievo, come i quadri di Van Djck, Poussin, o Domenichino che in effetti figurano negli inventari post mortem.

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fig. 1

Va peraltro sottolineato come la produzione orafa di manufatti cosiddetti ‘minori’ specie di stampo religioso, cioè ostensori, reliquiari, tabernacoli, cibori e così via, conobbe certamente un notevole sviluppo a seguito della pubblicazione delle Istitutiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae data alle stampe dal cardinale Carlo Borromeo nel 1577 (fig. 1)

Non è quindi casuale che anche artisti di notevole fama e spessore vi si cimentassero. Basti citare come esempio lo straordinario prezioso reliquario in argento (fig.2) realizzato per la cattedrale de la Valletta (cfr G. Serafinelli, in Macioce, 2010) da un artista come Ciro Ferri, certamente meglio conosciuto come eminente interprete della pittura barocca romana secentesca, autore anche delle otto statuette di santi nella chiesa del Gesù, nonché della copertura del fonte battesimale in San Giovanni in Fonte, e ancora dell’urna sottostante l’altare della cappella Gavotti in San Nicola da Tolentino.

Ma anche altri artisti, meglio noti per la loro attività di pittori, misero spesse volte a disposizione di artigiani orafi, argentieri e medaglisti le loro facoltà creative, su richiesta di prestigiosi committenti, con bozzetti, disegni e modelletti plastici.

Significativo in questo senso quanto reso noto da Jennifer Montagu in una serie di conferenze tenutesi diversi anni fa alla National Gallery di Washington (cfr. Montagu, 1996) nel corso delle quali emersero importanti precisazioni e rivelazioni circa i cosiddetti “Piatti di San Giovanni” così chiamati perché donati nel 1737, proprio il giorno di San Giovanni, patrono della città di Firenze, dagli eredi del Cardinale Lazzaro Pallavicini alla famiglia del Granduca di Toscana.

Si trattava di grossi bacili in argento sbalzato e martellato di cui oggi restano solo i calchi in gesso ( i preziosi manufatti andarono infatti distrutti al tempo dell’occupazione francese del granducato, agli inizi dell’Ottocento) ; la studiosa potè dimostrare che le figurazioni allegoriche che ornavano i “piatti” erano frutto dei disegni fatti ad hoc da Carlo Maratti e dai suoi allievi su committenza Pallavicini.

Si può ben desumere da ciò come anche altre grandi famiglie romane e non solo abbiano desiderato possedere simili preziosità, in cui la mano ‘nobile’ di affermati artisti si sia associata a quella di altrettanto valenti artigiani.

E di certo i Riccardi in questo senso non sfigureranno davvero. Come del resto dimostra la grande passione del giovane Francesco Maria, dove però appare del tutto evidente, dalla precisa ricostruzione della Sperindei, come questa inclinazione collezionistica verso tutte quelle lavorazioni a carattere sacro celasse in realtà un’autentica vocazione religiosa.

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Fig. 3

A questa in effetti avevano non poco contribuito le frequentazioni con esponenti dell’ordine dei Gesuiti, iniziate già a Firenze attraverso l’amicizia con un noto rappresentante come padre Giuseppe Sotomayor (fig. 3) , proseguite poi a Roma dove divenne assiduo frequentatore delle funzioni dell’oratorio del padre Caravita.

Proprio in questi frangenti, si sarebbe affermata la vocazione religiosa del giovane, con grande rammarico da parte del padre che però, alla fine, pur “sbalordito dai repentini avvenimenti” si adoperò “affinchè Francesco Maria ottenesse un adeguato incarico presso la Curia romana”.

Nel 1728 , ottenuta la prelatura, il giovane si trasferiva nel palazzo Ruggeri (fig 4) insieme con tutta la sua collezione di cose d’arte e con la sua notevole libreria, senza però ridimensionare né la sua figura di mecenate, potendo altresì avere a disposizione, in forza della sua elevata condizione sociale, i maggiori artisti dell’epoca, come Antonio David ed Andrea Valadier, capostipite della nota famiglia, né la sua opera di benefattore, come testimonia il fatto che fece stampare cinquecento incisioni con l’effigie di San Vincenzo Gonzaga a seguito di un evento miracoloso (fig 5).

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Fig 5

Il solidissimo legame con i gesuiti crebbe ancor più dopo la prima messa celebrata proprio nella cappella del padre fondatore dell’ordine, sant’Ignazio di Loyola alla Casa Professa del Gesù; ma le pagine del volume della Sperindei sono piene di benemerenze favori e donazioni che il neo sacerdote concesse in vario modo all’ordine.

Senza tralasciare lo stretto legame intessuto col padre generale dell’ordine dei cappuccini, Pier Maria da Lucca (fig. 6) o l’attaccamento, condiviso peraltro da tutta la famiglia Riccardi, per la figura di San Vincenzo Ferrer (fig. 7)

La salita al soglio pontificio, nel 1730, del concittadino Clemente XII, al secolo Lorenzo Corsini (Firenze 1652 – Roma 1740) di cui aveva frequentato il salotto letterario in via della Lungara, gli consentì di entrare ancor più nei ranghi dell’amministrazione pontificia e più avanti, nel decennio tra il 1745 e il 1755, di accumulare prestigiose cariche ecclesiastiche, promuovendo sempre, da vero mecenate, l’ammodernamento di varie chiese e cappelle, tanto a Roma che fuori.

Tuttavia proprio a partire dagli anni cinquanta la sua vita privata come scrive Sperindei “fu segnata da liti malattie e lutti che lo colpirono negli affetti famigliari più cari … all’improvviso anche le sue condizioni di salute si aggravarono tanto che nel 1751 sofferente per una grave malattia respiratoria, prese la decisione di redigere il suo testamento e far realizzare la sua sepoltura nella chiesa del Gesù (fig. 8; fig. 9)

La sua scomparsa il 4 ottobre del 1758 venne registrata in questo modo “Per una penosa infermità Mercoledì mattina circa le ore 12 passò da questa miglior vita Monsig. Francesco Maria Ignazio Riccardi Fiorentino, in età di 61 anni, Segretario della Visita Apostolica e Revisione delle Messe; Protonotaro Apostolico § c”.

Finiva così l’esistenza di uno degli ultimi esponenti di quella generazione di mecenati e collezionisti il quale, come conclude Simona Sperindei “nel corso di tutta la sua esistenza fu costantemente impegnato nella raccolta di oggetti, emblema significativo della cultura e della sensibilità del tempo”



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