Urge la consapevolezza che se ognuno non farà la sua parte, rischiamo il collasso. Chi avrà la presunzione di farcela da solo non potrà che soccombere.
Le forze culturali, salvo rare eccezioni, non osano tendersi la mano per superare insieme difficoltà epocali e mutevoli scenari internazionali, risultando ancora legate a vecchie logiche autarchiche, non solo nazionali ma perfino continentali.
Le forze economiche e sociali, costrette dalle dinamiche planetarie, sono tentate dal non farci i conti, di ripiegare su antiche certezze invece di affrontare i nuovi problemi nella loro complessità. Il caso più eclatante nel nostro Paese è il poco coraggio nel misurarsi con la punta dell’iceberg della globalizzazione selvaggia (proposte di Marchionne incluse), cercando di contenere la revisione dei rapporti di lavoro, innovando e non ripudiando l’obiettivo di nuovi equilibri a prezzo di reciproci sacrifici.
- Cardinale Ruini.
Le forze di ispirazione religiosa, che da tempo in spirito ecumenico gettano ponti per un nuovo e più giusto equilibrio mondiale, pagano altissimi prezzi all’estero in sacrifici umani alla vulgata “Cristiani = Occidente: vecchie e nuove forme di colonizzazione” e in Italia vedono prevalere la logica del rapporto tra poteri istituzionali, sacrificando l’autonomia dei laici, comprimendo i loro carismi per la crescita della comunità ecclesiale al servizio delle comunità civili,
- Cardinale Bagnasco
attraverso un accentramento di rappresentanza di cui la linea Ruini, ancora imperante, rivela gli immancabili condizionamenti. Cadono così nel vuoto gli appelli e le sollecitazioni che vengono dalla CEI e dal suo Presidente Cardinal Bagnasco per una autonoma ed indilazionabile assunzione di responsabilità dei laici nei confronti dei problemi del Paese, a partire da quelli istituzionali.
Sul piano delle forze politiche non pare acquisita la consapevolezza che siamo in piena emergenza democratica, che siamo nell’anticamera di un cortocircuito istituzionale dagli esiti imprevedibili ed incontrollabili. La scintilla potrebbe scaturire tra pochi giorni dall’esito della pronuncia della Consulta sulla costituzionalità o meno della legge sul legittimo impedimento, lo scudo che ha protetto il Cavaliere finora dall’assalto, sempre a suo dire, “delle toghe rosse in perenne agguato per detronizzarlo”. Ad occhio nudo appare evidente che per superare, anche solo temporaneamente, la norma costituzionale dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, a prescindere dal merito, era necessario procedere nelle forme dell’articolo 138 con la doppia lettura di Camera e Senato, tempi non brevi come quelli ad horas richiesti da Berlusconi per parare i colpi di processi ormai a conclusione, come quello denominato Mills dall’avvocato condannato per corruzione di un magistrato per conto e sul conto del Cavaliere.
- I tre referendum
Non solo l’11 gennaio è destinato a segnare le sorti di un governo e della legislatura, ma nel caso che una soluzione di prudenza o “all’italiana” consenta ulteriori dilazioni, il giorno seguente la Consulta è chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità delle proposte referendarie promosse da Di Pietro su temi scottanti. La prima è quella sull’incostituzionalità della legge sul legittimo impedimento, la seconda riguarda la proprietà e l’uso pubblico delle acque contro la tentazione di privatizzarle e la terza quella sull’esclusione del nucleare nel dotarsi delle fonti energetiche alternative per attutire la dipendenza da altri Paesi. Ma su tutte la preoccupazione primaria è quella di salvaguardare la governabilità.
Finchè questa garanzia condivisa non ci metterà al riparo da una conflittualità permanente tra e dentro le contrapposte coalizioni, crescerà enormemente il potere di condizionamento e di veto delle forze più marginali con la conseguente ingovernabilità del Paese in un momento di sfide epocali, che potrebbero costare ancor più gravi sacrifici, non dissimili da quelli a cui sono andati incontro la Grecia e l’Irlanda. Siamo tutti sull’orlo di un baratro, che avvertiamo nel crescente disagio sociale, su cui può innestarsi una non mai sopita tentazione di ricorrere alla violenza organizzata. Per Paesi come il nostro ci sono prove dure da affrontare, ma la carenza a cui dobbiamo mettere riparo in via prioritaria è l’indisponibilità tra forze politiche e sociali, delegittimatesi reciprocamente, a fare fronte comune quando la situazione lo richieda. Rimuovere gli ostacoli politici ed istituzionali che impediscono l’assunzione di comuni responsabilità è l’obbiettivo prioritario delle forze riformatrici, che su questo traguardo saranno giudicate idonee o meno a guidare e salvare il Paese, accantonando la tentazione ricorrente e reciproca delle spallate senza un futuro.
- Aldo Moro
- Roberto Ruffilli
Due sono gli obbiettivi prioritari per chi ha a cuore le sorti del Paese, raccogliendo peraltro il testimone pagato con la vita da Aldo Moro e da Roberto Ruffilli. Il primo obiettivo è l’appello profetico di Moro a promuovere una “democrazia matura” fondata sulla fisiologia del ricambio per liberarsi dalle tossine di un ininterrotto esercizio del potere, a partire dalla sua DC, non appena fosse terminata la guerra fredda. Il secondo, intimamente legato al primo, è la sacralità per una democrazia autentica di non intaccare il principio del “cittadino arbitro” sia della rappresentanza che del governo del Paese, strenuamente sostenuta da Ruffilli, voce profetica la sua per aver saputo avvertire in anticipo il passaggio autoritario dall’elezione per scelta popolare alla nomina dei parlamentari, un compito riservato alle oligarchie dei partiti e gestito con criteri a dir poco discutibili e in taluni casi riprovevoli a tal punto da incentivare l’antipolitica, cioè la disaffezione dall’assunzione delle proprie responsabilità, antipolitica che pericolosamente potrebbe incrementare forme di violenza in mancanza di un rapporto di fiducia e di un dialogo permanente.