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COSSIGA: "Fotti il potere" (Aliberti editore 2010)

COSSIGA SPIEGA CHE COSA è LA REALTA’ POLITICA

Un libro "istruttivo"
venerdì 19 novembre 2010 di Carlo Vallauri

Argomenti: Politica
Argomenti: Recensioni Libri
Argomenti: Andrea Cangini


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La lunga conversazione di Andrea Cangini con Francesco Cossiga si trasforma, di pagina in pagina del libro Fotti il potere (Aliberti editore), in una specie di piccolo trattato sulla logica del potere. Il giornalista incalza il suo interlocutore nel chiedere chiarimenti e precisazioni su punti che sono stati al centro dell’attività politica del Presidente ed ottiene risposte che confermano quella mentalità estremamente pragmatica di Cossiga, che non si affida – come qualche suo successore – a modelli virtuosi di vita, ma anzi tiene a configurarsi estremamente realistico nelle valutazioni degli altri come dei propri caratteri ed errori. Sulla scia di un Kissinger infatti preferisce affrontare di petto i problemi più delicati ed insidiosi senza “infingimenti” a sostegno di “false virtù”.

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Cossiga

L’uomo – “lupo per gli altri uomini” – non può che comportarsi seguendo il proprio tornaconto e, perciò, pretendere dai politici atteggiamenti “egregi”, non si addice affatto a chi ha scelto l’impegno politico, che richiede ed impone determinati atti e non prepara a futuri posti nel paradiso. Comportarsi diversamente sarebbe esiziale. Così, considerata la condizione di paese “a sovranità limitata”, l’Italia repubblicana non aveva – afferma il presidente “fustigatore” – che scelte obbligate. D’altronde egli da giovane – rivelazione di questo libro – si recò negli Stati Uniti con altri promettenti giovani europei di formazione euro-occidentale, e così fu “allevato” a ben comprendere come è fatto il mondo, insieme a tanti altri rispettabili futuri capi politici del nostro continente, dalla Thatcher a Schmidt, a Giscard d’Estaing. La sua strada era quindi già tracciata e fedelmente alle istruzioni ricevute, egli si è comportato in coerenza di quanto si pretendeva da lui. D’altronde precisa alcuni punti al riguardo: ad esempio per la nomina del ministro degli Esteri in Italia occorre il via libera degli americani.

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Andrea Cangini

Le grandi potenze hanno sempre “eliminato” i propri nemici: violenze, assassini, colpi di Stato diventano indispensabili quando appaiono “utili”, e lo sguardo storico ripercorre anche i secoli passati, citando vari casi. Tornando alla politica interna, il piano “Solo” redatto dal generale Di Lorenzo per il presidente Segni – dice Cossiga – non era altro che un documento necessario per ottenere un preciso e determinato risultato, presto verificatosi con il freno al centro-sinistra appena avviato. Ed egli, tra l’altro, rivendica di aver “infiltrato” agenti provocatori nel corpo dei gruppi estremisti negli anni di piombo: ne conosciamo – vogliamo aggiungere – gli effetti nell’assassinio di Giorgiana Masi a Ponte Garibaldi.

Nella “logica di Caino” si spiega anche il caso Moro. Tutto è dipeso – a suo avviso – da una “imperizia” dei sequestratori che non vollero attendere un possibile scambio del prigioniero con brigatisti in carcere e compiendo l’assassinio per “una leggerezza, un calcolo sbagliato: un caso” (!) (l’esclamativo è nostro). E che dire del governo D’Alema? Lo stesso Cossiga assicurò gli americani – che non si fidavano troppo di Prodi e delle propensioni pacifiste di alcuni esponenti politici cattolici – circa la convenienza ad avere in quel preciso momento un presidente come l’ex esponente comunista, disponibile ad effettuare l’operazione Nato contro la Serbia.

Questo realismo – che sconfina nello scetticismo sui comportamenti umani – diviene così “alta politica”, cioè mezzo per risolvere qualsiasi problema, senza pregiudizi e nessuna riserva morale. Questa visione concretista della politica come “arte” fa comprendere come la violenza e il tornaconto siano alla base dell’agire dei governanti. Alla luce dei tradimenti “doverosi” e degli omicidi “necessari”, il panorama illumina di un grigio tendente al buio peggiore la storia della nostra repubblica. E’ la realtà, ragazzo, non un gioco. Pensare diversamente significa allora non “capire” la politica. Un insegnamento utile, nella “ottusità generale” di cui il presidente fornisce la chiave di lettura. La forza è forza, e tutto ciò che diviene “necessario” anche, anzi specie, se si tratta di un atto di per sè non encomiabile.

Leggere per credere e per apprendere altre interessanti rivelazioni, dai legami di Licio Gelli con la diplomazia degli Stati Uniti, ai dirigenti del servizio segreto italiano nominati d’accordo con il partito comunista. Quanto alla magistratura, l’ex Presidente del Consiglio Superiore di quella istituzione spiega che le avvisaglie di quel che poi successe in quegli organismi è nella legge che garantì la promozione per “anzianità” di tutti i magistrati indipendentemente dai meriti o demeriti. L’ideale dei magistrati – dice Cossiga – è di fare essi direttamente tutte le leggi. La stessa Corte Costituzionale è, a suo avviso, un organo di “arbitraggio politico esercitato in finta forma giurisdizionale”.

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Cossiga

Critico nei confronti del falso pacifismo, afferma inoltre che la guerra, quando è necessaria per una parte, diviene inevitabile. A proposito della tesi del “doppio Stato” che sarebbe esistito in Italia egli afferma che “la verità è persino peggiore” di quel che si dice comunemente, nel senso che i vari terrorismi, servizi deviati e le notizie su fatti del genere sono tutti fenomeni spiegabili con la logica del potere. Quanto a Berlusconi ritiene che “l’interesse, a braccetto con la follia, può averlo spinto a scendere in politica”. In conclusione “l’interesse generale non esiste”, “la ragione non conta nulla” e i politici per essere realmente pronti all’esercizio del potere “devono aver frequentato il male”: ecco il panorama dell’Italia di ieri e di oggi, secondo il presidente sardo.

 

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