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La crisi del libro

La storia si ripete
giovedì 3 giugno 2010 di Odino Grubessi

Argomenti: Storia


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La crisi del libro che appare un fenomeno di contrazione commerciale tutto moderno è invece antica almeno quanto l’invenzione della stampa ed ha nella storia più di un esempio famoso.

Il primo di essi riguarda i proto-tipografi e chierici renani Corrado Sweynheym e Arnoldo Pannartz. i quali sfuggiti al sacco di Magonza del 1462, introdussero in Italia l’arte tipografica.

Corrado Sweynheym, stampatore nell’officina di Giovanni Fust, allievo, socio e continuatore di Gutenberg a Magonza, associandosi ad Arnaldo Pannartz scese in Italia dirigendosi al monastero di S. Scolastica a Subiaco, dove nel 1464 impiantò la prima tipografia italiana, prendendo a modello le scritture dei manoscritti posseduti dalla biblioteca del monastero di Santa Scolastica.

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Monastero di S.Scolastica a Subiaco

Qui venne creato un nuovo carattere, il tipo romano, dalle forme tonde e dalle linee regolari, che si ispirava alla scrittura carolina (a sua volta ripresa nel Quattrocento dalla scrittura umanistica libraria) così chiamato perché si ispirava alla scrittura latina degli antichi monumenti romani.

Il procedimento di stampa consisteva nell’allineare i singoli caratteri in modo da formare una pagina, che veniva cosparsa di inchiostro e pressata su un foglio di carta o di pergamena. L’innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri.

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Torchio di stampa

Nel 1467 i due stampatori si trasferirono in una casa dei Massimi. non bene identificata, che si trovava nei pressi di Campo dei Fiori, come appare dalle loro sottoscrizioni: In domo Petri de Maximis… iuxta Campum Florae.

Questa prima officina tipografica di Roma e d’Italia non disponeva dì grandi attrezzature; pare anzi che tutto il macchinario consistesse in tre soli torchi. Nonostante questi mezzi limitati, si sa che fra il settembre 1467 e il maggio 1473 i due soci diedero alle stampe non meno di 48 edizioni con un totale di esemplari che si avvicina ai 17.000 volumi, il che per quel tempo è un bel primato.

E non stampavano certo opericciuole, ma i magni testi in folio della letteratura classica e patristica fra cui Sant’Agostino e San Gerolamo; San Tommaso d’Aquino e la Bibbia; Cesare e Tito Livio; Cicerone, Virgilio e Plinio per tacere di numerosi altri. La tiratura era limitata a 275 o 300 copie per ogni opera e l’esito della vendita nei primi tempi non doveva essere scarso se si pubblicarono nuove edizioni di quelle già edite.

Per un certo tempo, quindi, gli affari andarono bene.

Nel marzo del 1472, o per il costo non certo basso dei libri, o per la saturazione di un mercato, i cui acquirenti non potevano essere numerosi, o forse, maggiormente, per la concorrenza di altri tipografi, i due soci dopo tanta fatica e tanto fervore di lavoro vennero a trovarsi in cattive acque tanto da non poter far fronte alle spese della tipografia e al loro stesso mantenimento a causa di una montagna di libri invenduti che s’innalzava paurosamente nella loro casa paralizzando ogni proficua attività da cui trarre il necessario per vivere.

E corsero ai ripari.

Ai ripari pensò un dotto bibliofilo di quel tempo, il prelato Giovanni Andrea de’ Bussi (Vigevano 1417 - Roma 1475), vescovo di Aleria, Corsica, che era al tempo stesso bibliotecario della Vaticana e il curatore delle editiones principes dei due tipografi.

Innamorato dei libri e infervorato dai risultati delle nuova arte pressoria, a cui dava gratuitamente le sue cure, il prelato scrisse in uno stile fra l’aulico ed il sentimentale, una supplica al pontefice Sisto IV (Francesco della Rovere - 1414-1484) perorando la causa dei due tipografi.

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Sisto IV

Essa forma la prefazione al volume quinto dell’opera Glossa in universa bibla del francescano Niccolò da Lyra, e il vescovo de’ Bussi non ha mancato di stenderla con tutti gli accorgimenti e la documentazione necessari perché l’esito fosse quello sperato.

Si evidenziano largamente i meriti dei proto-tipografi a vantaggio della Curia Romana, la laboriosità e la fatica dei due imprenditori, testimoniata dall’elenco di ben 12.475 volumi stampati fino allora, dei quali si dà l’elenco, primo tipico esempio di un catalogo editoriale.

Poi si entra nel vivo della questione: la sopravvenuta crisi che ha interrotto la vendita:

Dice il vescovo ... e i compratori mancano, come è provato dalla nostra casa pur grande, e ingombra di volumi, mentre mancano le cose necessarie. In Te, dunque, clementissimo Padre... è la nostra speranza affinché tu sovvenga la nostra situa:ione e ci salvi dalla rovina…..

Il cuore dei Pontefice fu toccato e pensò a provvedere i due chierici d’un beneficio ecclesiastico ciascuno secondo la loro richiesta.

Ma la tipografia non risorse; dopo il maggio 1473 i due soci si separarono, ma prima il Pannartz nel marzo 1476, indi lo Sweynheym nel 1477 passarono a miglior vita, lasciando il campo libero ai non pochi tipografi rivali e concorrenti che già si erano installati a Roma.

Oggi gli incunaboli dei due sfortunati proto-tipografi si pagano fior di euro.

Di questa prima crisi dei libro parvero accorgersi subito altri tipografi accorsi a Roma e ne trassero proficuo insegnamento.

Ma che volumi in folio! Ma che classici e santi padri! Ma che glosse bibliche!

Molta fatica e scarso guadagno.

E si volsero al pratico, con libretti leggeri di piccola mole, di poco costo: pronostici e lunari, le succinte guide di Roma note coi nome di Mirabilia, i trattatelli di medicina popolare e gli opuscoletti con le notizie dei giorno: dalla necrologia d’un cardinale alla scoperta dell’America.

Proprio così, perché la scoperta dell’America è documentata in un raro incunabulo di sole quattro paginette, uno dei più rari cimeli della tipografia romana, stampato in due successive edizioni da Stephan Plannck dopo il 29 aprile 1493 ed è costituita dalla traduzione latina della famosa lettera di Cristoforo Colombo inviata al tesoriere di Ferdinando il Cattolico sulle nuove terre da lui scoperte: In laudem Serenissimi Ferdinandi Hispaniorum regis, Beticae et regni Granatae, obsidio victoria et triumphus, Et de insulis in mari Indico nuper inuentis’’.

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Incunabolo
Gli Incunaboli sono i libri stampati dall’invenzione della stampa fino al 1500

Evidentemente Plannck e altri tipografi dei tempo avevano praticamente risolta la crisi dei libro senza intervento di vescovi e di pontefici: sapevano interessare il pubblico.

 

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