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PAGINE - Una mostra dentro lo spazio, verso l’ignoto

Alla Galleria Edieuropa i {segni erranti e senza meta}, di Roberto Almagno. Palazzetto Cenci, Roma, fino al 21 maggio 2010
domenica 2 maggio 2010 di Pietro di Loreto

Argomenti: Arte, artisti
Argomenti: Mostre, musei, arch.


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Quando qualcosa di nuovo nel mondo dell’arte riesce ad attirare l’attenzione dei critici e degli addetti ai lavori perché traduce in materia percepibile quanto un comune sentire esprime, si è soliti dire che una pagina importante è stata aperta e che comunque il corso delle vicende comincia a non essere più quello di prima.

La particolare attenzione rivolta in vario modo e da più parti, alle espressioni artistiche del nostro tempo nasce anche da questa presa d’atto, cioè dall’idea, o dalla esigenza, di rendere visibili, attraverso realizzazioni innovative, sensazioni, stati d’animo, condizioni che incidono sull’esistenza e sull’integrità stessa della persona nella società contemporanea, ma che non emergono se non come mere percezioni cui pochi sanno dar forma.

Ecco perchè va sottolineata l’intuizione della Galleria Edieuropa di Roma, oltre che la competenza della curatrice Micol Forti, che con la mostra PAGINE presentano, in una meditata dialettica tra scultura e pittura, gli ultimi lavori di Roberto Almagno (Aquino, 1954), il cui linguaggio -commovente e scioccante al tempo stesso- si conferma il più adatto a esprimere una rinnovata linea di tendenza nel panorama artistico contemporaneo.

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Roberto Almagno

Roberto Almagno (fig.1) come molti sanno, ha maturato una serie di esperienze artistiche che lo hanno portato, come scultore, ad un eccezionale livello espressivo. Il suo elemento, com’è noto, è il legno: raccolto, sgrezzato, combusto e infine lavorato come scultura al limite tra illusorio e reale che ne sfrutta l’asprezza ricavandone vibrazioni arcane, in immagini che si definirebbero neutrali se non lasciassero intravedere un substrato visionario al di là, se non contro, le forme della apparenza.

Lavori sconcertanti, come è stato SCIAMARE (fig.2), una “colossale e lievissima ’macchina’ figurativa”, come ha ben scritto Claudio Strinati presentando la mostra tenuta nel 2006 a Palazzo Venezia, capace di offrire “l’immagine del distaccarsi, della separazione … l’idea della dialettica degli elementi che marcando lo spazio lo creano in termini di presenza e assenza”.

Lavori che si spingono, come ora suggerisce Micol Forti “a toccare i misteri dell’equilibrio” fino a “indagare il valore dell’estensione “; si vedano, nella mostra, opere come Velario (2009-2010) o Fibula (2009-2010) o Ancora (2008) (figg. 3, 4, 5) dove, nello ’slancio’ verso l’infinito di movimenti scaleni, elicoidali ed ellittici (figg,.6, 7, 8, 9), protesi a testare la possibilità di uno ’sfondamento’ spaziale, sembra potersi percepire, riproposto ex post, il tema della meraviglia, unito al virtuosismo, entrambi cari alle poetiche concettiste del seicento

Ma sarebbe ingenuo e limitativo proporre per Almagno paragoni con altri movimenti ed esperienze artistiche: se è consono al lavoro del critico individuare retroterra e radici – e per il nostro Maestro ne sono stati citati molti, ma essenziale resta l’insegnamento di Pericle Fazzini- tuttavia va detto che la vicenda artistica di Almagno si caratterizza come un unicum, difficilmente catalogabile, certamente estranea ad ogni tipo di stereotipa classificazione.

Al contrario, i suoi lavori possono addirittura dimostrare quanto avesse ragione anni fa Umberto Eco nel suo libro Opera aperta. Forma ed indeterminazione nelle poetiche contemporanee , con cui si avviò il dibattito sulla problematizzazione della questione del ’significato’ di un’opera d’arte (il noto semiologo si riferiva alla letteratura, ma il discorso coinvolge, per estensione, ogni espressione ’poetica’), vale a dire su come sul prodotto artistico possano giustapporsi differenti ’apporti’ di significato da parte del fruitore, frantumando cioè l’idea di un ’contenuto’ certo, strutturato al prodotto stesso.

E’ proprio questa, a nostro parere, la ’proprietà’ che l’artista ha voluto conferire di proposito alle sue creazioni, in ragione di una precisa finalità e strategia, destrutturando la logica interpretativa insita nell’immagine tout court, partendo evidentemente dal presupposto che un’opera assume una sua particola ricettività proprio in ragione della sua pluralità semantica.

Lo stallo, per così dire, interpretativo è insomma frutto di un’ambiguità semantica cercata, voluta, per cui il problema della riconoscibilità del significato della rappresentazione porta proprio al fondamentale problema della sua ricezione; di qui una sorta di rivoluzione espressiva che induce chiunque si ponga di fronte a quelle sculture a riflette, a vedere ’qualcosa’, a impegnare la mente: non è poco di questi tempi !