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C’ERA UNA VOLTA IN AMERICA……

Il sogno americano
venerdì 12 marzo 2010 di Giovanna D’Arbitrio

Argomenti: Folclore e Tradizioni Popolari
Argomenti: Mondo
Argomenti: Ricordi


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- Tenetevi le vostre antiche terre, la vostra celebrata fastosità - ella grida con labbra silenti.
- Datemi le vostre stanche, povere masse affollate, bramose di vivere libere,
- I miserabili rifiuti della vostra brulicante costa.
- Mandatemi questi, i senza casa, tempesta scagliata contro di me.
- Io innalzo la mia fiaccola accanto alla porta d’oro -.
- (The New Colossus, Emma Lazarus)

Qualche giorno fa un nostro amico americano, Jerry, ci ha inviato delle belle immagini in bianco e nero sull’America dei vecchi tempi, quando il cosiddetto “sogno americano” ancora aleggiava nell’immaginario collettivo come una speranza di benessere, ricchezza, libertà, democrazia nelle mille possibilità di realizzare se stessi a livello lavorativo,sociale, umano.

L’imponente Statua della Libertà che accoglieva migranti e rifugiati politici nel porto di New York era l’emblema del sogno. Tre Francesi ebbero l’idea di regalarla agli U.S. A. nel 1885: l’architetto F. A. Bartoldi, lo storico E. de Laboulaye e il designer A. G. Eiffel. La significativa poesia, The New Colossus (chiaro riferimento al Colosso di Rodi) dell’ebrea Emma Lazarus, scritta sulla base della statua, dava il benvenuto a tutte le persone che arrivavano là con la speranza di migliori condizioni di vita.

Guardando le vecchie foto degli “anni ruggenti” che mi ricordavano i tempi dei miei nonni, ho ripercorso il cammino del “sogno americano”, soprattutto in quel tratto che mi riguarda più da vicino, dagli anni ’50 fino ai nostri giorni. Dalle foto ora potevo costatare che gli USA anche allora erano un paese non facile da comprendere per i suoi numerosi aspetti contrastanti, ma noi Europei non ne eravamo ancora consapevoli. I ricordi mi riportano ai tempi lontani in cui da bambina vidi nel porto di Napoli navi cariche di emigranti tra i quali c’erano anche zia Nicoletta e i suoi figli, i nostri parenti poveri. Per loro un giorno mia madre, che aveva una bella voce da soprano, incise su un disco la nostalgica canzone “Santa Lucia ” e la inviò a loro, a New York. Ogni tanto i parenti “americani” venivano a trovarci e raccontavano storie meravigliose su “The Big Apple”, la favolosa città nella quale avevano realizzato i loro sogni: un buon lavoro, una bella casa e una vita agiata.

Erano gli anni ’50 e noi invece risentivamo ancora degli effetti della guerra e così mi sembravano un po’ strani i racconti degli zii “americani”: calzini che non venivano mai rammendati ma buttati nella spazzatura come tanti altri oggetti che, benché ancora utilizzabili, venivano presto sostituiti da modelli più nuovi e più belli, una casa piena di elettrodomestici, un televisore a colori con tanti canali, una pubblicità (molto diversa dal nostro Carosello) che interrompeva senza alcun riguardo anche i programmi più seri, caloriferi così potenti da consentire l’uso di abiti estivi in casa anche quando nevicava, la possibilità di avere tante scarpe e vestiti carini a basso costo ecc. ecc. ecc.

I loro racconti mi affascinavano, ma mi sembravano un po’ irreali come quel loro modo di parlare alla “Stanlio e Olio” e, con un pizzico di cattiveria, pensavo che in fondo quei parenti ex-poveri erano degli ignoranti e raccontavano un mucchio di fandonie per darsi delle arie. Cresceva così in me un gran desiderio di andare a controllare “di persona” ciò che avveniva oltreoceano. Ci regalavano caramelle coloratissime, cioccolato, gomme masticanti e Coca - Cola, cappellini alla Joe Di maggio, magliette e blu jeans e noi ci sentivamo tanto Americani di Kansas City, come Ferdinando Meliconi, il personaggio interpretato da Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”.

Amavamo i cartoni animati di Walt Disney, il jazz e la musica rock, i divi americani e i western con i loro coraggiosi pionieri ed intrepidi soldati dalle giubbe blu che combattevano contro feroci Indiani, ma il grido “arrivano i nostri” presto si spense sulle nostre labbra, quando i miti si rivelarono in parte falsi e pian piano cominciarono a sgretolarsi sotto le picconate della Verità.

Unica realtà ben presto riscontrabile anche in Italia fu quella del “Boom Economico” e il nascere del consumismo, così le favole dei parenti americani bussarono alle nostre porte: la nostra casa negli anni ’60 si riempì di elettrodomestici e di tanti altri oggetti spesso inutili, numerose industrie fiorivano ovunque, la lingua inglese gradualmente sostituì il francese nelle scuole. Sempre più alta, intanto, si levava la protesta dei giovani che nel ‘68 coinvolse tanti paesi. Circolavano nuove idee, film e libri che ci mostrarono un’altra faccia dell’America: “Soldato Blu” di Ralph Nelson ci scioccò con le orribili e violente scene sugli Indiani massacrati a Sand Creek; la sconvolgente realtà della guerra nel Vietnam ci raggiunse attraverso TV e giornali; i romanzi di John Steinbeck, come “Uomini e Topi”e “Furore”, misero in evidenza stenti e lotte dei braccianti agricoli in California; le dittature militari del Sudamerica evidenziarono gli interessi delle potenti lobby statunitensi ; l’assassinio di J. Kennedy, Bob Kennedy, la strana morte di Marilyn Monroe, l’uccisione di M. L. King si portarono via le nostre illusioni giovanili sul sogno americano.

Nonostante tutto ciò continuavo a desiderare di fare un viaggio negli USA e spesso di notte , in un sogno ricorrente, mi ritrovavo a passeggiare tra i grattacieli di New York. E alla fine il sogno divenne realtà negli anni’80 quando i nostri amici scozzesi David e Isobel ci invitarono a trascorrere una vacanza nella loro bella casa nel New Jersey. Vi andai con la mia famiglia e fu una meravigliosa esperienza. I miei figli, allora bambini, impazzirono per enormi gelati, Coca- Cola, hamburger e patatine fritte, bagni in piscina e soprattutto per gli Action Park, enormi parchi in cui era possibile trascorrere un’intera giornata, facendo una serie infinita di divertenti attività. Gli spettacoli naturali imponenti, grandiosi, di una dimensione sconosciuta per noi Europei, ci tolsero il fiato. Tutto ci sembrava nuovo e triplicato in grandezza. Il Museo dello Spazio a Washington ci fece stupire con i suoi missili e le prime navi spaziali, come l’Apollo 11 arrivato sulla Luna nel ’69. Lungo le strade dei vari Stati che visitammo, a contatto con la gente, ritrovai allora il mio antico amore per un popolo cordiale, aperto, ottimista e disponibile, sempre pronto ad aiutarci durante quei venti giorni in cui visitammo New York, Boston, Washington, Capo Cod, le cascate del Niagara e tanti altri luoghi. Unica grande delusione: Miss Liberty, cioè la statua della Libertà (così chiamata a New York), era tutta “ingabbiata” per lavori in corso.

Quando nell’’85 vedemmo il film “C’era una volta in America”, le nostalgiche note di Amapola, ci indussero a spiare con il protagonista, attraverso il buco della serratura, sui quartieri poveri americani brulicanti di ragazzi facili prede dei loro giovani istinti e di una criminalità organizzata sempre attiva in tutti i tempi e luoghi. Ripensai allora a quel viaggio negli USA, un grande paese ricco di aspetti affascinanti e terribili, dalle mille sfaccettature non facili da comprendere.

Passava il tempo e nel’’89 la caduta del Muro di Berlino segnò per sempre la fine della Guerra Fredda e l’incontrastato dominio degli USA nelle politiche internazionali, mentre nella civile Europa, in Kosovo, ritornavano gli orrori della guerra . L’Italia, uscita con difficoltà dagli “anni di piombo” e sempre duramente provata dai conflitti tra i partiti politici, avanzava insieme all’Europa verso il 2000 con preoccupazione per il futuro, mentre in tanti altri paesi del globo imperversavano qua e là guerre e dittature di vario genere sotto l’incalzare di uno sfrenato free trade. Tutto potevamo immaginare però tranne l’apocalittico 11 settembre 2001. Le immagini delle Twin Towers che si sgretolavano, stravolsero il mondo e lo fecero ammutolire. Quel giorno anche nelle strade di Napoli c’era un silenzio insolito, irreale e lo spettro del terrorismo cominciò ad agire con le sue gelide mani sulle nostre menti col più potente dei mezzi: la PAURA. E così guerre si aggiunsero ad altre guerre e USA e paesi occidentali, paladini di democrazia e libertà, combatterono e ancora combattono in Iraq, Afganistan e altri paesi, (guarda caso!) ricchi di petrolio o altre preziose risorse. M. Moore, regista e attento osservatore del suo paese e del mondo in Fahrenheit 9/11, Sycho, Capitalism, my love, ha documentato validamente i mali della nostra difficile epoca e soprattutto degli USA, con quella capacità di autocritica sempre presente in molti Americani, a testimonianza dei valori di libertà e democrazia.

E poi arrivò quella magica notte in cui restammo svegli davanti al televisore e vedemmo Obama, un uomo di colore, diventare presidente e con commozione osservammo gli occhi pieni di speranza di milioni di persone rivolti verso di lui. Ora già qualcuno avanza dei dubbi sul suo operato, condizionato da mille egoistiche pressioni e pulsioni. Quindi siamo in molti a chiedergli: - Sig. Presidente è ancora possibile gridare “YES, WE CAN”? Noi amiamo l’America e vorremmo ancora sognare -.

 

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